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 2015  marzo 15 Domenica calendario

PERCHÉ NON HA SENSO PROTEGGERE L’ITALIANO

Esiste in Italia una nuova questione della lingua? Esiste sì, ed è seria, anche alla luce dei ripetuti appelli perché vengano espunti dal nostro parlato anglismi ritenuti fastidiosi e inutili. L’iniziativa “Dillo in italiano”, rimbalzata in rete e sui giornali, è solo l’ultimo segnale di una estesa reazione “protezionista” che va montando nel nostro paese rispetto al dilagante inglese. Ne è spia anche una recente sentenza del Tar di Milano che boccia i corsi universitari in quella lingua. E sono rivelatori i musi lunghi della Crusca davanti al più stimato linguista italiano, Tullio De Mauro, colpevole di aver sostenuto che l’inglese è la lingua veicolare dell’Europa. Che ci sta succedendo? Perché reagiamo con tale cipiglio purista dinanzi a una realtà già accettata da molti altri?
Quale sia questa realtà è detto senza cerimonie in un interessante saggio di Andrea Graziosi, pubblicato ora dal Mulino insieme a una riflessione di Gian Luigi Beccaria. Fino a quarant’anni fa un intellettuale come Isaiah Berlin poteva tenere una conferenza in italiano perché la nostra era una delle grandi lingue di cultura. Oggi è più difficile trovare grandi ita- lofoni in giro per il mondo. La nostra lingua ha subito una perdita di prestigio, così come sono stati indeboliti nel loro status sia il francese che il tedesco. Possiamo fare finta di niente? Sarebbe pericoloso, suggerisce Graziosi. Se vogliamo continuare ad avere voce nella comunità internazionale, ormai in tutte le discipline, è necessario impadronirsi della lingua del “sopramondo”, ossia dell’inglese. L’hanno capito nel Nord Europa e in Germania assai prima di noi. Perché allora ostinarsi in una difesa protezionista?
Qui interviene la lente dello storico che ripercorre quali siano state nel passato le questioni della lingua, dalla selettività aristocratica di Pietro Bembo alle liste antifrancesi al principio del XIX secolo. Un rapido viaggio che ci mostra come nella penisola abbia sempre prevalso un modello linguistico elitario, nel segno della chiusura e del purismo passatista. E nel segno della “chiusura difensiva” e di un “rancoroso ancoraggio alla tradizione nazionale” reagiamo oggi dinanzi alla nuova questione della lingua, anche se non dipende più da invasioni straniere (come accadde nel Cinquecento e nell’Ottocento) e non è più un affare interno bensì internazionale.
Alla voce di Graziosi si contrappone quella di Beccaria, il quale non crede nel tramonto delle lingue nazionali come lingue della comunità intellettuale. Contenendo l’inglese all’università — è la tesi del linguista — l’italiano potrebbe continuare a esercitare il suo magistero di grande lingua di cultura. Ma la storia può essere fermata? Due sguardi molto diversi, quelli proposti da Lingua madre, che rivelano quanto sia lunga la strada per trovare una soluzione condivisa.
Simonetta Fiori, la Repubblica 15/3/2015