Simonetta Fiori, la Repubblica 15/3/2015, 15 marzo 2015
UN SUICIDIO SOSPETTO LA FINE DI MAJAKOVSKIJ DIVENTA UN’INCHIESTA
«Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare». Nel congedarsi dalla vita, Majakovskij non immaginava che la sua ultima lettera avrebbe fissato un canone nell’arte dell’addio, imitato da Pavese ma non solo.
Il defunto odiava i pettegolezzi è anche il bel titolo del nuovo lavoro di Serena Vitale, annunciato da Adelphi per fine aprile.
Secondo una tecnica già sperimentata ne Il bottone di Puskin, la studiosa rilegge i documenti che riguardano uno dei grandi misteri del Novecento russo: la tragica uscita di scena del «primo poeta delle masse». Ma al di là del valore simbolico di quel commiato — la fine dell’utopia rivoluzionaria — che cosa realmente accadde nella piccola stanza dove il poeta era appena arrivato in compagnia di una bellissima attrice, sua amante? Fu proprio lui a premere il grilletto? E il suicidio fu istigato dalla polizia segreta di Stalin? O si trattò di omicidio? Al principio degli anni Novanta lo storico Valentin Skoriatin cominciò a mettere in dubbio la versione ufficiale, dopo una ricerca nell’archivio personale di Ezhov, che era stato capo della Nkvd (antenata del Kgb). Le carte lumeggiavano una rete di strani personaggi che si erano avvicinati al poeta negli ultimi mesi, tanto da indurre lo studioso a ipotizzare la diabolica regia di Stalin. L’ipotesi prese a circolare, avallata anche se in modo velato dall’unica testimone diretta, l’affascinante Veronika Polonskaja, che era appena uscita di casa quando esplose il colpo di pistola. Fu Majakovskij la prima vittima delle purghe del Cremlino? Non resta che aspettare il romanzo-inchiesta della Vitale, che comincia con lo squillo indemoniato di tutti i telefoni di Mosca. È il 14 aprile del 1930, più o meno le 11 del mattino: il mistero di Majakovskij fu annunciato da un terribile frastuono.
*** «Io sono tutte le persone che ho conosciuto. Sono tutte le storie che ho ascoltato, le case e le città che ho abitato». Per gli scrittori lo scoglio grande non è mai il debutto, ma la seconda prova. Appare felicemente superata quella di Paola Soriga, che tre anni dopo Dove finisce Roma torna in libreria a fine marzo da Einaudi con un romanzo generazionale poco rituale, sia nello stile che nella luce interiore dei personaggi. Tre amici trentenni che si ritrovano in Sardegna dopo esperienze diverse, come «un rito che li richiama indietro e li tiene uniti». È quella generazione che crede di essere senza storia, molto raccontata in questi anni, ma che qui appare tutt’altro che ripiegata su se stessa. Vite senza epica ma provviste di una notevole colonna sonora. Da Gian Maria Testa a Patti Smith, da Jovanotti a Violeta Parra, occupa un paio di pagine alla fine del romanzo la lista dei cantautori ringraziati.
Nelle loro voci, insieme a quelle di Caproni e Montale, ci si imbatte spesso nel corso della narrazione, anche se il tributo non è esplicito. Le hanno rubato il futuro, sembra dire Soriga della sua generazione, ma le parole no, quelle nessuno può togliergliele. Anche le parole degli altri.
Simonetta Fiori, la Repubblica 15/3/2015