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 2015  marzo 15 Domenica calendario

VA IN SCENA LO SCRITTORE

Una volta varcate le porte del successo (basta anche un successo medio, anche un successo stagionale, anche un successo precario) per uno scrittore le tentazioni pubbliche sono quasi infinite. Tra festival grandi e piccoli, presentazioni in libreria, dibattiti, reading, convegni è possibile stare in tournée quasi tutto l’anno, nella migliore delle ipotesi inanellando un discreto numero di gettoni di presenza, nella peggiore scroccando cena e albergo a committenti quasi sempre felici di averti con loro.
Siccome non si sputa nel piatto dove si mangia, ogni considerazione supponente o annoiata su questo fiorente indotto della letteratura è del tutto fuori luogo; anche perché non si può passare la vita a deplorare la tendenza della gente a rimarsene a casa in mutande, inchiodata alla televisione e ad altri schermi domestici, e poi rimproverarla perché affolla i festival letterari, anche solo per avere una dedica malferma su un libro magari mai aperto, né destinato ad esserlo. Però è legittimo chiedersi se tutto questo incontrarsi, parlarsi, toccarsi, complimentarsi, tra scrittori e lettori, abbia una ricaduta positiva sulle rispettive attività, appunto scrivere e leggere. O sia, al contrario, molto divagante e dispersivo rispetto all’attitudine solitaria e silente che apparenta entrambi i protagonisti dello scambio letterario, scrittore e lettore.
Per quanto riguarda i lettori non saprei bene che dire. È possibile che la trasformazione degli scrittori in celebrities di vario calibro (ce n’è per tutti i gusti) distolga l’attenzione del pubblico dal testo e la sprofondi nel contesto. Dopotutto avere l’autografo dello scrittore Tizio, o addirittura bere un bicchiere con lui al bar adiacente il luogo del dibattito, può essere un’esperienza più intensa, più breve e soprattutto meno gravosa rispetto alla lettura del suo ultimo romanzo, per altro già ampiamente sviscerato nel corso della presentazione (la scena madre è stata letta da una brava attrice, con pathos ineguagliabile da un lettore ordinario). Ma è anche possibile, al contrario, che si instauri un contagio benefico tra contesto e testo, e dunque la dimestichezza con scrittori, intellettuali, critici, penne illustri, visti in tutta la loro carnale inadeguatezza, magari con una macchia sul pullover e una scarpa slacciata, infranga finalmente l’aura sacrale che mette soggezione, e faciliti l’approccio almeno di qualche non lettore alla lettura; o addirittura che la performance ispirata di uno scrittore, il fascino di una frase o di un concetto, riescano a rendere sexy, appetibile, desiderabile quella Kultura che, in genere, non ha tra le sue infinite virtù la maneggevolezza.
Quanto agli scrittori, mi è un poco più facile provare a mettere giù un paio di regolette, del tutto empiriche e del tutto personali, sperimentate lungo gli anni. La prima, anzi forse l’unica, è che bisogna imparare a selezionare le occasioni non tanto a protezione di se stessi, quanto dei propri libri. Mi spiego: per proteggere se stessi basterebbe individuare le località più amene, gli alberghi più di charme, il rimborso spese più pingue e i festival più frequentati e meglio illuminati dai media. Ma per proteggere quello che si è scritto, sia un singolo romanzetto sia l’opera omnia, bisogna capire bene come è organizzata, e con chi, la faccenda detta pomposamente “evento”: se il testo ha l’aria di essere solo un pretesto per parlare d’altro, o per sventolare la vanità tua o altrui, bisogna tenersi rigorosamente alla larga.
Per questo in genere preferisco i reading (in italiano: letture in pubblico), perché sono tecnicamente inespugnabili: la pagina scritta viene letta ad alta voce, al massimo con l’ausilio di un bravo musicista, in un’oretta tutto è finito, se è andata bene o male o così così il merito è tutto e solo delle parole che sono state messe in scena; la piccola vanità di stare on stage è appagata, ma senza danni collaterali. Non c’è equivoco, è un lavoretto pulito, onesto, un servizio supplementare che fai al lavoro che davvero conta, quello precedente, scrivere.
Ho partecipato, temo, a circa un milione di dibattiti sui miei libri o su libri scritti da altri, ricavandone molto raramente la sensazione di avere capito qualcosa in più su quel libro. Più spesso si discute, anche appassionatamente, di tutto ciò che sta attorno al libro, gli fa da cornice o da pretesto. Ma un libro è sempre e solamente un testo, quel testo, ci pensa già la critica a dimenticarlo nove volte su dieci, se Madame Bovary uscisse oggi si scatenerebbe un dibattito mediatico sull’adulterio, la famiglia, la provincia, la morale sessuale in provincia, tutti degnissimi argomenti ma nessuno in grado di surrogare la lettura di quel libro, scritto in quel modo e con quelle parole; così che per leggere il nuovo romanzo di Flaubert senza farsi fuorviare da eventuali illazioni sulle abitudini sessuali di Flaubert, un lettore dovrebbe chiudersi in casa e non parlarne con nessuno, tantomeno con Flaubert.
Ecco, quando uno scrittore affronta di persona un pubblico, qualunque pubblico, deve stare molto attento a non fare ombra alla propria scrittura. Senza arrivare alla ormai mitologica fuga dal mondo di Salinger, non c’è dubbio che l’eccesso di loquacità, di presenzialismo, di mondanità, anche se frutto innocente di un carattere molto socievole, rischi di indebolire l’opera anche quando rafforzi la figura pubblica del suo autore.
Il paradigma al quale riferirsi, per capire meglio di che cosa stiamo parlando, sono Madonna e Lady Gaga. Strepitosi personaggi planetari il cui repertorio, per quanto possa essere rinvigorito, di qui in poi, da un paio di canzoni o di spettacoli memorabili, è comunque largamente meno noto di loro, meno ammirato di loro. Ma se nello show business la celebrità può anche catalizzarsi sulla figura della star (l’opera omnia di Madonna è Madonna, di Lady Gaga è Lady Gaga), nella scrittura non c’è altra materia degna di attenzione che la scrittura stessa. La parola scritta, quando è scritta per davvero, parla, suona e danza per suo conto. Lo scrittore, se lo ritiene, può supportarla con discrezione, e accompagnarla in pubblico, ma tenendosi sempre almeno un paio di passi indietro, a scanso di equivoci su chi è la vera star: la scrittura, non lo scrittore.
Michele Serra, la Repubblica 15/3/2015