Anais Ginori, la Repubblica 15/3/2015, 15 marzo 2015
“IL BIMBO-BOIA È IL NOSTRO COMPAGNO DI CLASSE”
PARIGI.
L’ultima volta l’avevano visto era sui banchi di classe, in cortile mentre giocava a calcetto. Di lui non si avevano più notizie dal 14 marzo 2014. Un anno dopo, Ryan non è tornato a scuola, ma ha fatto il suo battesimo di guerra. Gli amici lo hanno incrociato per caso su You-Tube, dentro a un video di dieci minuti che ha fatto il giro del mondo. Ryan, 12 anni, è il nuovo bimbo-boia dell’Is che compie l’esecuzione di Mohammed Musallam, un araboisraeliano, presunta spia del Mossad. È lui che spara alla testa all’ostaggio, e lo colpisce di nuovo quando è a terra.
Giovedì mattina, un gruppo di alunni della scuola media Vauquelin di Tolosa è arrivato in classe piangendo. Il giorno prima avevano scoperto su Internet il video dell’Is. La prima reazione dei maestri è stata di capire come avevano fatto a trovare quel filmato così violento, che non dovrebbe essere alla portata di minorenni. Il problema però è diventato subito un altro. «Abbiamo visto Ryan» hanno detto in coro i ragazzini. Quando il filmato è stato diffuso, martedì scorso, il bimbo-boia non aveva ancora un nome. Nel video i servizi segreti francesi avevano confermato solo la presenza di Sabri Essid, 31 anni, il fratellastro di Mohammed Merah, il “killer con lo scooter” che nel 2012 ha ucciso tre militari, un rabbino e tre bambini all’uscita della scuola ebraica di Tolosa.
Sono stati gli ex compagni di classe a riconoscere Ryan, seguendo un’innocente curiosità, navigando a casa su computer e tablet. Le autorità francesi non vogliono per adesso confermare l’identità del bambino ma a Tolosa nessuno ha più dubbi. Fino all’anno scorso, Ryan frequentava la quinta elementare nella scuola Vergers, senza aver mai creato problemi. Faceva parte della squadra di calcetto, era invitato a tutti i compleanni. «Un bambino calmo e tranquillo» ricordano ora le mamme intervistate dal quotidiano locale La Dépêche. La scuola media di Vauquelin, dove avrebbe dovuto studiare Ryan se fosse rimasto a Tolosa, è sotto choc. Il preside ha chiesto rinforzi di psicologi e medici per dare supporto ai bambini e alle famiglie. «L’emozione è grande. L’intera comunità scolastica è stravolta», spiega Jacques Caillaut, ispettore inviato dal Rettorato per gestire qualcosa di inaudito per le nostre società: un bambino francese portato in guerra e trasformato in un boia senza pietà. «Abbiamo creato dei gruppi di ascolto, per fare in modo che tutti possano esprimere quello che risentono» continua ancora Caillaut. «Dobbiamo riuscire a mettere delle parole su un evento che sembra insensato, spiegando ai bambini che quello che hanno visto non è normale».
Tra gli alunni c’è chi non riesce a parlare, a trattenere le lacrime. E c’è chi fa domande incalzanti, esprimendo un’angoscia crescente: «E se Ryan tornasse a Tolosa?» «Perché non punta la pistola contro i cattivi?» «Potrà fuggire da quel posto?». A 12 anni non si è quasi più bambini, ma neanche adulti. Anche per maestri e genitori è difficile rispondere, mantenere la lucidità e una spiegazione che possa sembrare razionale.
Ryan è sparito da un giorno all’altro, un anno fa, a cavallo dell’anniversario degli attentati di Mohammed Merah. Nessuno a scuola aveva avuto sentore di un indottrinamento religioso o di un progetto di fuga. Il filmato in cui è riapparso è stato diffuso l’11 marzo, a tre anni esatti dal primo omicidio del killer di Tolosa. Il jihadista Essid ha sposato la madre di Ryan con cui ha avuto tre figli. Nella primavera di un anno fa, tutti sono partiti con un volo per la Turchia, via la Spagna, per andare poi in Siria. Dopo la famiglia di Essid, la sorella di Merah, Souad, è partita con i suoi quattro figli. I servizi segreti francesi pensano che le due partenze, a pochi mesi di distanza, siano legate. Il più piccolo dei figli di Souad Merah frequentava un’altra scuola elementare in città. E a Tolosa molti sperano di non riappaia più, o almeno non come il piccolo Ryan che da una primavera all’altra è stato trasformato in un giocattolo dell’orrore.
Anais Ginori, la Repubblica 15/3/2015