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 2015  marzo 15 Domenica calendario

«L’OCCIDENTE PERDE PERCHÉ ORA È FEMMINA»

[Intervista a Éric Zemmour] –
La fama di Éric Zemmour ormai ha travalicato i confini francesi. Ebreo di origini algerine, giornalista, è stato cacciato dall’emittente per cui lavorava per aver pronunciato alcune frasi scorrettissime sugli islamici. Da poco Piemme ha ripubblicato in Italia un suo pamphlet altrettanto caustico, Sii sottomesso, dedicato alla «femminilizzazione della società». Oltralpe invece è diventato un clamoroso bestseller Il suicidio francese. Zemmour ieri era a Roma per partecipare al convegno «L’era del post-umano», organizzato dal Circolo Proudhon (presieduto da Lorenzo Borré) e dal quotidiano online L’Intellettuale Dissidente, il cui coraggioso direttore Sebastiano Caputo ha introdotto l’incontro. Monsieur Zemmour, che cosa intende quando parla di «femminilizzazione» della nostra società? «I valori tradizionalmente maschili, ovvero forza, dignità, autorità e poi l’onore, l’audacia sono ostracizzati, messi alla berlina, associati al ridicolo o alla violenza. Tranne quando questi valori vengono portati avanti da donne. In quel caso le nostre società trovano la cosa splendida». Quali processi culturali e sociali ci hanno condotto a questo punto? «È l’intera storia del nostro Novecento a spiegare questa evoluzione. Credo che ci siano due ragioni fondamentali. Il primo motivo è appunto la guerra e nella fattispecie il primo conflitto mondiale. Questa guerra ha due, anzi tre specificità. Prima caratteristica è che tutti gli uomini in età adatta a poter combattere sono stati arruolati. Secondo motivo è l’industrializzazione della guerra, quella che dagli storici è stata chiamata “brutalizzazione della società”. Che è stata vissuta come qualcosa di insostenibile, che doveva essere evitato ad ogni costo. Il terzo motivo è che c’era un rapporto paradossale con il guerriero. Nel passato il guerriero poteva anche perdere la vita, però poteva guadagnare l’eroismo, e guadagnandosi l’eroismo poteva guadagnarsi anche le donne. Invece qui, per la prima volta, i combattenti - quelli che abbiamo in mente nelle trincee della guerra del ’14 - vivevano proprio come ratti, come topi nelle loro trincee. Non erano più gli eroi che stanno davanti alla mitragliatrice che li abbatte in modo indistinto. Io credo che questo cambiamento di paradigma della guerra abbia causato una forma di desacralizzazione e di fuga davanti a ciò che è la virilità. E credo che il grido dei francesi dopo la guerra del ’14, “Mai più questo”, significasse in realtà: “Meglio vivere da donne piuttosto che essere uomini morti”». Lei, per quanto riguarda la femminilizzazione, attribuisce molte responsabilità anche al capitalismo. «Il sociologo americano Christopher Lasch spiega come l’evoluzione del capitalismo americano, sin dagli anni Venti, sia una doppia evoluzione. La prima evoluzione è quella vista in Tempi moderni di Chaplin, che ci mostra come l’operaio americano sia stato trasformato in macchina. La seconda evoluzione è che le crisi di sovrapproduzione hanno sempre portato gravi problemi, sistemati tramite un iper consumo. Queste due evoluzioni sono state risolte dal padronato americano da una parte con la distruzione del patriarcato operaio affinché accettasse la sottomissione al lavoro robotizzato. Dall’altra parte, per poter sviluppare il consumo, bisognava sviluppare la femminilizzazione della società, esaltare la ricerca della felicità individuale a discapito della famiglia. E in questo hanno dato una mano psicanalisti, psicologi, riviste femminili eccetera. Tutto ciò è stato chiamato liberazione, ma si tratta di una liberazione del capitale. E il femminismo diventerà l’utile idiota di questa evoluzione del capitalismo americano, che verrà vissuta in Europa dagli anni 60 in poi». E come si concretizza, in Europa, questa femminilizzazione? «Ci sono storici che hanno spiegato il dominio dell’Europa con la ferocia del guerriero europeo nel momento delle grandi conquiste. Possiamo dire che oggi la caratteristica dell’Europa è esattamente il contrario: è il continente di Venere. E il paradosso - in realtà una semplice compensazione - è che gli altri continenti stanno diventando sempre più i continenti di Marte. In Medio Oriente e nel mondo islamico in genere vediamo l’ascesa di una forma di patriarcato sempre più feroce che è come una esacerbazione, una caricatura, in risposta alla femminilizzazione della nostra società. Società di questo genere, e adesso lo vediamo bene con la Russia, la Cina o il mondo arabo, considerano la nostra femminilizzazione come la forma suprema della nostra decadenza. Poi c’è un punto particolarmente importante». Quale? «Dopo quarant’anni di evoluzione, la femminilizzazione della società, chiaramente sotto le vesti dell’uguaglianza, è diventata il dominio della norma omosessuale. Vi è da un po’ di anni un dominio ideologico e culturale dell’universo gay: la norma eterosessuale deve scomparire e deve essere sostituita dalla norma omosessuale. E qui abbiamo tutti gli sviluppi della teoria del genere. Che, sotto le vesti dell’uguaglianza, della parità fra uomini e donne, è in realtà un cavallo di Troia per l’indifferenziazione sessuale». Quali altre conseguenze porta, secondo lei, la femminilizzazione? «Una forma di neopuritanesimo femminista, che molto semplicemente è subentrato a quello dell’Ottocento, quello cattolico, sostituendo alla virtù femminile la dignità della donna. Ma in realtà è la stessa paura del sesso, che viene associato alla violenza e soprattutto alla diseguaglianza, perché naturalmente nella sessualità eterosessuale c’è una diseguaglianza. Che deve essere distrutta per imporre l’assoluta eguaglianza. Lo abbiamo visto molto bene con il processo a Dominique Strauss-Khan. Sotto le vesti di un’accusa di sfruttamento, si è trattato di un processo alla virilità. Un processo alla sessualità senza amore. Un tipo di sessualità che dovrebbe essere propria dell’uomo, e che viene assolutamente rifiutata dalla società odierna, perché le vengono preferite una forma di sentimentalismo un po’ stucchevole e una vittimizzazione permanente». Se l’Europa è «femminilizzata», una società come quella islamica appare invece particolarmente «virile». «Ci troviamo in un momento molto particolare. L’Occidente viene sottoposto a un totale matriarcato. Mentre le altre società si convertono a un patriarcato sempre più caricaturale e violento. Come se ci fosse una specie di gioco di vasi comunicanti. La cosa impressionante è che nelle nostre società l’islam incarna la reazione violenta della virilità assoggettata. Tra l’altro è così che io spiego l’ondata di conversioni sempre più grande nella Francia di oggi». Una questione trattata anche da Michel Houellebecq in Sottomissione. «Infatti è una delle tematiche poco evocate, ma che a me sembrano fondamentali, del romanzo di Houellebecq. In cui il protagonista è proprio la caricatura dell’uomo castrato e femminilizzato, che quindi tenta di riconquistare il suo potere, la sua dominazione sulle donne dal punto di vista sessuale e sociale unicamente grazie all’islam. Perché questa è l’unica soluzione che egli trova, dopo aver tentato con il cattolicesimo, che però gli appare totalmente femminilizzato. Già Nietzsche diceva che il cristianesimo era, dei monoteismi, quello più femminile. Quindi questo cattolicesimo non può consentire il ritorno a un’autostima virile». In che modo, secondo lei, la femminilizzazione è legata all’immigrazione? «Certamente un continente in cui vengono adottati valori femminili come l’accoglienza, l’apertura, eccetera non può difendersi davanti a un’invasione immigratoria». Che peso hanno sull’emergenza immigrazione le politiche dell’Unione europea? «Io parlo della situazione francese. E posso dire che l’Unione europea non è all’origine dei problemi della Francia. Tra i responsabili c’è il padronato, che ha fatto venire gente per farla lavorare. Poi ci sono Giscard d’Estaing e il suo allora primo ministro Jacques Chirac: hanno varato la legge sul ricongiungimento famigliare del 1976, che consentì a tutti gli immigrati presenti sul territorio francese di farsi raggiungere dalle loro famiglie. L’Unione Europea ha sacralizzato la follia francese, l’ha messa nelle convenzioni europee e l’ha fatta proteggere dai giudici europei. E poi ha aggravato la situazione spalancando i confini con Schengen». Lei dice che non è la prima volta nella storia in cui si assiste a una «femminilizzazione» della società. Quando si è verificata, in precedenza? «Per esempio nella società francese del Settecento. In particolare nell’aristocrazia, in cui l’estrema raffinatezza dei costumi aveva portato a una femminilizzazione, di cui si lamentava già Rousseau. In quell’epoca ci fu una reazione molto violenta - che iniziò con una reazione culturale, con un ritorno agli eroi dell’antichità greco-romana - e che si concluse con la rivoluzione francese. Che è stata in realtà una rivoluzione contro il potere eccessivo delle donne e dell’aristocrazia femminilizzata considerata decadente. Parlando di femminilizzazione potremmo risalire a diversi periodi, ognuno dei quali si conclude con reazioni estremamente violente. Io non so ancora quali saranno le sorti della nostra, di epoca, e quali saranno le reazioni virili e violente a prevalere. Ma ciò di cui sono sicuro è che questo avverrà».