Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 14/3/2015, 14 marzo 2015
MATERIE PRIME, LA SPECULAZIONE È UN RICORDO
Raccolti da primato, speculatori distratti e ora anche il crollo del petrolio, che abbassa i costi di produzione e frena la corsa ai biocombustibili. Sui mercati delle materie prime agricole è tornata la calma: sono ormai quasi quattro anni che le quotazioni di quasi tutti i prodotti - e dei cereali in particolare - stanno calando. E tutto lascia pensare che continueranno a farlo, a meno di catastrofi climatiche. Un quadro rassicurante, insomma. Tanto rassicurante che il problema della sicurezza alimentare rischia di essere espulso dall’agenda politica dei potenti della Terra.
Il timore che un nuovo rally speculativo torni a infiammare i prezzi dei prodotti agricoli è rimasto un chiodo fisso solo per papa Francesco. «Addolora - ha ripetuto poche settimane fa il pontefice - constatare che la lotta contro la fame e la malnutrizione viene ostacolata da priorità di mercato, dalla supremazia del profitto, che hanno ridotto il cibo a una commodity qualunque, soggetta a speculazioni anche di natura finanziaria». Temi già cari a papa Woytila - celebre il suo discorso sul “paradosso dell’abbondanza” - e poi ripresi anche da Ratzinger. Ma all’epoca non era solo il Vaticano a preoccuparsi.
L’allarme era entrato di prepotenza nelle stanze della politica con le crisi alimentari del 2007-2008 e del 2010-2011, quando i fortissimi rincari dei cereali - amplificati in borsa dalla massiccia presenza di soggetti finanziari - provocarono violenze e disordini da un capo all’altro del pianeta. L’aumento vertiginoso dei prezzi alimentari ha avuto un ruolo determinante anche nello scatenare la Primavera araba, avviando una fase di destabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa di cui ancora oggi soffriamo le conseguenze.
Dalla Banca mondiale al Fondo monetario internazionale e persino il G-20, tutte le istituzioni internazionali si erano mobilitate di fronte all’emergenza. Gli eccessi della speculazione finanziaria, accusata di essere corresponsabile dell’impennata dei prezzi alimentari - e dunque in ultima istanza dell’aumento della fame nel mondo - diventarono oggetto di inchieste parlamentari e di provvedimenti delle autorità di mercato, soprattutto negli Stati Uniti, dove la Commodity Futures Trading Commission (Cfct) si mosse per limitare le scommesse degli hedge funds sui mercati delle materie prime.
Con regole più rigide - e anni di performance deludenti sui mercati delle materie prime - molti speculatori hanno abbandonato il campo. E la discesa dei prezzi ha fatto acquietare le polemiche. Oggi il Food Price Index della Fao, che rispecchia i prezzi internazionali di un paniere di generi alimentari, è ai minimi da luglio 2010 (179,4 punti in febbraio). Nel corso del 2014 ha perso quasi il 10% ed è calato in dieci degli ultimi undici mesi. Rispetto a un anno fa tutto costa meno, tranne le carni: cibo “da ricchi”, la cui domanda cresce insieme al benessere economico, e i cui rincari non suscitano allarme (anche se nel lungo termine il boom dell’allevamento minaccia di creare carenze di cereali e soia).
Attualmente gli alimenti base abbondano. Per i cereali in particolare i raccolti sono stati da record nel 2014: 2,542 miliardi di tonnellate, stima la Fao. E le scorte globali a fine giugno dovrebbero salire a 630,5 milioni di tonnellate, il massimo da 15 anni.
Nessuna sorpresa che i prezzi siano crollati, anche in Borsa: al Chicago Board of Trade (Cbot) mais e grano oggi scambiano a quotazioni più che dimezzate rispetto ai rispettivi record storici, raggiunti nel 2012 e nel 2008. Il valore del riso Thai, principale riferimento per il cereale che sfama miliardi di asiatici, è diminuito di oltre il 60% dal 2008, quando l’India - spaventata da possibili carenze - ne aveva limitato le esportazioni, presto imitata da altri paesi.
Clima avverso e barriere al commercio sono stati le cause principali anche dei rally di altri cereali. Nel 2010 la Russia, con le coltivazioni devastate da un’ondata di caldo anomalo, aveva addirittura proibito l’export di grano. Nessun divieto invece negli Stati Uniti, paladini del libero scambio. Ma la gravissima siccità che nel 2012 si era abbattuta sul Midwest e in altre regioni della “corn belt” aveva assottigliato drammaticamente le forniture di mais, riducendo le scorte mondiali a livelli critici. Ad acuire le tensioni in passato c’era anche il boom dei biocombustibili. Il petrolio oltre 100 dollari al barile (e addirittura vicino a 150 $ nell’estate 2008) aveva scatenato una corsa alla produzione di carburanti alternativi, di origine vegetale: l’etanolo, distillato da mais, grano o canna da zucchero, e il biodiesel, per cui si utilizzano soprattutto soia, colza o olio di palma. Anche questo allarme si è smorzato, in parte grazie al recente calo delle quotazioni del barile. Il mini-greggio sta inoltre riducendo i costi di produzione in agricoltura, portando un ulteriore beneficio ai coltivatori che nelle ultime due stagioni, in moltissime aree geografiche, sono già stati benedetti da condizioni climatiche ottimali.