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 2015  marzo 14 Sabato calendario

INDIA, QUANDO LA CRESCITA ECONOMICA DA SOLA NON BASTA

«Il primo obiettivo di questa Assemblea è liberare l’India con una nuova Costituzione, cibare il popolo affamato, vestire le masse spoglie e dare a ogni indiano la piena opportunità di realizzarsi secondo le proprie capacità». Con queste parole Jawaharlal Nehru aprì i lavori dell’Assemblea costituente indiana, all’indomani dell’indipendenza. Era il 1946, da allora molto è stato fatto, ma il cammino per assicurare cibo e benessere alle masse affamate e spoglie resta ancora lungo.
Quest’anno novanta indiani compaiono nella classifica degli uomini più ricchi al mondo stilata da Forbes: tre sono fra i primi cinquanta, con patrimoni superiori a 19 miliardi di dollari. Solo un miliardo in meno di quanto New Delhi deve stanziare in sussidi alimentari per le decine e decine di milioni di poveri che vivono sotto o a ridosso della soglia di sussistenza. Il Subcontinente ospita la più grande concentrazione di poveri del globo, con il 60% della popolazione che vive con meno di due dollari al giorno e il 22% con meno di 1,25 dollari. Per il 25-30% della popolazione, tutto il reddito disponibile se ne va per comprare di che sfamarsi. Fonti non ufficiali stimano che le persone sotto la soglia di povertà siano in realtà 350 milioni.
Un quarto delle persone malnutrite di tutto il mondo popola i villaggi e le città indiane: 190,7 milioni di donne, uomini e bambini. Come sottolinea il World food programme, non ci può essere progresso nella lotta alla fame nel mondo se non sarà affrontato e risolto il problema indiano. Per usare le parole del Nobel per l’economia Amartya Sen, «la storia dello sviluppo mondiale offre pochi altri esempi, se ce ne sono, di Paesi che crescono così rapidamente e tanto a lungo con così limitati risultati in termini di riduzione delle deprivazioni umane». L’India ha sperimentato a lungo tassi di crescita prossimi e superiori al 10% e ha sollevato dalla miseria decine di milioni di individui. Secondo l’Onu, quest’anno potrebbe centrare il traguardo del dimezzamento della povertà rispetto ai livelli del 2000.
Ma la crescita è stata diseguale, ha accentuato le disparità e ha consentito la concentrazione di grandi patrimoni in poche mani, lasciando indietro molte più persone di quante avrebbe potuto. E nonostante i programmi varati da tutti i governi che si sono succeduti fin dall’indipendenza (soprattutto a partire dal 1971, quando Indira Gandhi fece dell’espressione hindi garibi hatao - abolire la povertà - il proprio slogan elettorale), alcuni fallimenti sono enormi, a partire proprio dalla malnutrizione, in particolare quella dei bambini. L’India è il secondo Paese più popoloso al mondo dopo la Cina (ma si appresta a superarla). Grazie alla robusta crescita degli anni 90, ha raggiunto lo status di economia a reddito medio (basso) nel 2012. Il reddito pro-capite è più che triplicato negli ultimi due decenni. Ma il consumo medio giornaliero di calorie è diminuito e in base al Global hunger index (indice mondiale della fame) l’India è al 55° posto sui 76 Paesi considerati.
Il prezzo più alto lo pagano i soggetti più deboli: i bambini. Sono circa 23 milioni quelli che soffrono di malnutrizione e che sono sotto peso per la loro età (fino a 6 anni) secondo i dati del programma Day care center, che si prende cura di circa 80 milioni di bambini. La povertà e la fame toccano le punte massime negli Stati rimasti ai margini dello sviluppo, come Bihar, Chhattisgarh, Jharkhand, Madhya Pradesh, Odisha, Rajastan e Uttar Pradesh. Nel Bihar, sempre secondo il Day care center, la malnutrizione colpisce un bambino su due, in Andhara Pradesh il 37%, in Uttar Pradesh il 36% nel Chhattisgarh e nel Rajastan il 32%. Ma la piaga non risparmia le metropoli, nonostante i vantaggi che le città dovrebbe offrire: a New Delhi il 35% dei bambini è sotto-peso. Le condizioni degli slum insomma non sono migliori di quelle delle aree rurali del Paese.
In India, il problema della malnutrizione è esacerbato dalle disastrose condizioni igieniche. Il 60% delle abitazioni nelle zone rurali, e il 9% nelle città è sprovvista di bagni. I bisogni fisiologici devono essere espletati all’aperto. Le reti fognarie sono spesso fatiscenti, come le reti idriche. La diarrea colpisce in modo diffuso, impedendo la corretta assimilazione del cibo.
Qualche risultato c’è. L’Unicef stima che i bambini sotto-peso siano il 31% del totale, dieci anni fa erano il 45%. E l’International food policy research istitute, quello che elabora l’indice mondiale della fame, ha riclassificato da «allarmante» a «grave» la situazione in India. Secondo lo stesso istituto, però, praticamente tutti i secondi geniti sono malnutriti e un terzo dei bambini affamati nel mondo è indiano (Onu). La deprivazione di cibo in età infantile significa problemi di crescita e ritardo nell sviluppo cognitivo: un bambino malnutrito difficilmente diventerà un ingegnere o un chirurgo.
In uno degli ultimi provvedimenti varati dal precedente esecutivo guidato dal Partito del Congresso della dinastia Nehru- Gandhi, New Delhi ha esteso il programma nazionale di sicurezza alimentare portando sotto il suo ombrello due indiani su tre, 800 milioni di persone (per il 75% nelle aree rurali e per il 50% in quelle urbane) che possono chiedere razioni sussidiate di generi alimentari di base.
Nel budget appena varato dall’esecutivo guidato dal Partito nazionalista hindu (Bjp), per il 2015/16 vengono stanziati 1,24 milioni di miliardi di rupie in sussidi alimentari, il 12% in più rispetto all’anno precedente. Buona parte dei fondi pubblici destinati ai poveri si perdono però nei gangli della mastodontica e vessatoria burocrazia indiana, finiscono a chi non ha bisogno, quando non diventano strumento di clientela e corruzione.
In India, come in generale in tutta l’Asia, la forma prevalente di assistenza alimentare passa per i sussidi sul riso. Come riconosce il World food programme (Wfp), questi programmi si sono però spesso dimostrati molto costosi per la casse dello Stato e distorsivi in termini economici. Per di più sono spesso accompagnati da errori nell’individuare i soggetti da aiutare e da “dispersioni”. Ad esempio, nel 2005/06, solo l’11% dei fondi erogati attraverso il principale programma indiano (il Target public distrubution system, creato nel 1997) è davvero arrivato a chi ne aveva bisogno. Da allora sono stati fatti progressi. Ma ancora oggi, ammette la Economic survey 2014/15 del ministero delle Finanze, il 54% dei sussidi sulla farina e il 15% di quelli sul riso non arriva a chi li dovrebbe ricevere.
Anche se autosufficiente sotto il profilo della produzione alimentare (a differenza di altri Paesi), con il 60% dei terreni classificati come agricoli e il 50% della forza lavoro impiegata nel settore, l’India ha visto negli ultimi decenni cadere produttività e volumi che erano decollati ai tempi della Rivoluzione verde - dal 1965 e per tutti gli anni 80. Per sfamare una popolazione sempre più numerosa (dall’indipendenza nel 1947 alla metà degli anni 90 è aumentata del 2% l’anno, attualmente cresce di circa l’1,3%) e che entro il 2030 conterà 270 milioni di abitanti in più, avrebbe bisogno di una nuova rivoluzione agraria, come scrive l’economista George Magnus (Uprising - Will emerging markets shape or shake the world economy? - 2011). Ma soprattutto dovrà sollevare dalla condizione di povertà le sue masse.