Isabella Bossi Fedrigotti, Corriere della Sera - La Lettura 15/3/2015, 15 marzo 2015
I VERSI IRRIVERENTI DELLA SZYMBORSKA CHE INDISPETTIRONO IL VATE MILOSZ
Un lavoro certosino quello delle due biografe di Wislawa Szymborska, la poetessa polacca premio Nobel per la Letteratura scomparsa tre anni fa. Per comporre Cianfrusaglie del passato (Adelphi) le due ricercatrici, Anna Bikont e Joanna Szczesna, hanno avvicinato decine di amici e conoscenti della poetessa, hanno passato al setaccio fine la sua opera, hanno letto, indagato, controllato un numero straordinario di fonti, dirette e indirette, e poi, naturalmente, hanno incontrato più volte la protagonista del loro libro, intrattenendosi in lunghe conversazioni con lei.
Tessera dopo tessera il ritratto si è andato formando, ma si sente che il compito è stato particolarmente impegnativo: per la semplice ragione che Wislawa non amava parlar di sé e della sua vita privata, evitava con massima cura gli incontri pubblici, le cerimonie ufficiali e volentieri faceva a meno di firmare copie dei suoi libri; era timida, discreta e riservata. Del resto, lei stessa diceva: «Non sono al centro dei miei interessi». Figurarsi, perciò, lo stress che deve aver rappresentato per lei l’assegnazione, nel 1996, del Nobel con tutto il suo contorno di cerimonie.
Si può dire che da quel momento la sua vita si trasformò in una battaglia di posizione per cercare salvezza dagli inviti a tenere conferenze, inaugurare festival, salire su palchi, pronunciare discorsi, visitare centri culturali, istituzioni e biblioteche dentro e fuori la Polonia. Non a caso per tre anni non riuscì a scrivere nemmeno una poesia. Però rime scherzose sì, che erano un po’ la sua specialità, brevi filastrocche giocose per il divertimento suo e degli amici, una specie di «seconda linea» che è sempre andata in parallelo con la prima, quella alta e (più) seria.
Così scherzando descrisse, per esempio, il suo conterraneo, il poeta e premio Nobel a sua volta, Czeslaw Milosz, con il quale, a partire appunto dal ’96, entrò in una certa confidenza, sempre mista — da parte di lei — a soggezione: «Incede Milosz, severo, assorto./ Prostrati e recita un Padrenostro». E pare che il vate non si divertì affatto quando gliela lessero.
L’ironia — mista a melanconia — è comunque il segno di riconoscimento di tutta la sua opera, come lo sono anche i temi domestici, mai «alti», e i toni lievi, mai solenni, per dei versi sostanzialmente facili, accessibili, dai quali volentieri ci si fa accompagnare, come fossero testi di un breviario da tenere sempre a portata di mano. Raccontano questi versi di quel che vede e sente, commentano quel che succede intorno a lei. Per questo le biografe li hanno analizzati con puntiglio, spremendoli, in un certo senso, per ottenere più notizie possibili sulla loro autrice. E infatti, disseminati con criterio tra le pagine, accuratamente riecheggiano gli avvenimenti, i ragionamenti, gli incontri narrati da quanti conoscevano e frequentavano Wislawa, qualche rara volta anche da lei stessa.
Apprendiamo così della sua famiglia «bene», un tempo agiata poi finita in miseria, dell’adesione — breve — al comunismo seguita da un distanziamento progressivo dalla politica di qualsiasi segno; del suo primo marito, il poeta Adam Wlodek, rimasto amico e suo primo lettore anche dopo la separazione; apprendiamo del grande amore, durato oltre vent’anni, con il bellissimo scrittore Kornel Filipowicz, appassionato di pesca, di bridge e di escursioni nella natura; apprendiamo della sua passione per i collage che mandava ad amici e conoscenti, dei suoi ripetuti viaggi — lei che non amava viaggiare — in Italia dove, tra l’altro, a Bologna, nell’aula magna dell’Università, in un colloquio con Umberto Eco, fece accorrere millesettecento spettatori, numero mai uguagliato in nessun’altra sua apparizione pubblica.
E apprendiamo anche di come la vedevano coloro che le erano vicini, familiari, colleghi scrittori, amici: una signora fragile, schiva, elegante, quasi una dama settecentesca di grande classe, spiritosissima, che leggeva, leggeva, in modo quasi maniacale, qualsiasi cosa, anche guide o manuali di vario tipo, per esempio di geografia, di archeologia, perfino di ornitologia.