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 2015  marzo 15 Domenica calendario

UNITÀ DEI CATTOLICI DISUNIONI DEI PROTESTANTI

Fatico a capire perché lei, trattando delle Chiese protestanti più volte le denomina «sette». Il termine «setta» potrebbe rientrare nella definizione del Devoto Oli: associazione caratterizzata da distinzione o separazione ideologica nei confronti di una dottrina e si citano appunto le... ereticali. Credo, però, che la parola andrebbe ridefinita perché la Riforma protestante ha raggiunto una tale profondità di pensiero teologico e una dimensione numerica tanto rilevante da rendere dubbio quale debba essere il termine di paragone: se la Chiesa cattolica romana o l’insieme delle Chiese protestanti. Si potrebbe obiettare che le Chiese protestanti sono tante, ma non sarebbe difficile elaborate una piattaforma teologica comune sui punti essenziali che caratterizzano la riforma luterana e quella di Calvino, per citare i due più noti riformatori. Resta il fatto che la parola «setta» ha, nella comprensione comune, una valenza spregiativa che certo non le sfugge, e non credo le sfugga neppure che a quelle che lei denomina «sette» si associa solitamente un’etica che ha forgiato alcuni dei Paesi che oggi reggono le sorti del mondo. Oggi mi sembra più appropriato chiamare le denominazioni protestanti con la parola «Chiese» o, se proprio non lo si ritiene adeguato per le proprie convinzioni, con qualsiasi altro termine che non si presti a una interpretazione spregiativa.
Paolo Fabbri

Caro Fabbri,
È vero, la parola setta e l’aggettivo settario richiamano alla mente l’immagine di famiglie religiose che si contendono le anime dei fedeli e si accusano a vicenda di avere tradito lo spirito delle Sacre Scritture. In un clima ecumenico, almeno nelle intenzioni, converrebbe parlare di credi, confessioni, o addirittura Chiese, spesso pronte a confrontare dialetticamente le loro tradizioni religiose e i loro principi. Sull’importanza delle teologie protestanti nel grande dibattito ecumenico degli scorsi decenni non possono esservi dubbi. Credo che i primi a esserne consapevoli siano gli studiosi delle Università pontificie, dalla Gregoriana alla Lateranense.
Eppure l’universo protestante appare, a uno sguardo esterno, sempre più frantumato. Il vento della modernità ha provocato parecchie crepe in antichi edifici religiosi come quello della Chiesa anglicana (una istituzione che fu agli inizi molto più scismatica che protestante). Vi sono Paesi come gli Stati Uniti in cui il grande mondo delle confessioni evangeliche (battisti, metodisti, avventisti del settimo giorno) è sempre più dominato da personalità carismatiche e intraprendenti, impresari più che sacerdoti, creatori di piccoli imperi religiosi in cui non è sempre facile stabilire dove termini il campo della fede e cominci quello degli affari. Per la scena religiosa americana, esiste un libro di Massimo Gaggi («Dio, patria, ricchezza») pubblicato da Rizzoli nel 2006, di cui, caro Fabbri, le consiglio la lettura. Una situazione analoga esiste in Brasile dove gli evangelici, negli ultimi decenni, hanno strappato molte anime al cattolicesimo.
In questo contesto il caso della Chiesa romana è un fenomeno, sul piano istituzionale, straordinariamente ammirevole. Anche la Chiesa deve adattarsi ai tempi, ma l’unità sotto la guida di una sola persona la rende molto più autorevole e credibile di altre confessioni religiose.