Ariel Pensa, Corriere della Sera 15/3/2015, 15 marzo 2015
«CARA PFM, TI LASCIO» FRANCO MUSSIDA DICE ADDIO ALLA BAND DOPO 45 ANNI «COLPA DELLO STRESS. E POI SERVIREBBERO IDEE NUOVE»
«Non mi aspettavo di commuovermi così. Non suonerò e non canterò più tutta la musica che ho fin qui scritto e prodotto per il gruppo: per me è legata solo a quell’esperienza umana». Il breve comunicato con cui la Pfm annuncia che «dopo tanti anni di intenso lavoro insieme Franco Mussida ha deciso di uscire dal gruppo» è stato diffuso da poche ore. Lui — il quasi 68enne fondatore, chitarrista, compositore e cantante della più longeva e celebrata rock band italiana — è seduto al tavolo del soggiorno nella sua bella casa di Cernusco sul Naviglio, un quarto d’ora dal centro di Milano. Guarda dall’ampia vetrata il giardino in penombra che sa già di primavera e ha l’aria un po’ smarrita di chi ha preso una decisione importante, meditata a lungo, ma che solo ora ne contempla la portata.
Perché adesso, dopo 45 anni?
«È spiegato qua — prende in mano e comincia a leggere il comunicato concordato con gli amici di sempre Franz Di Cioccio e Patrick Djivas —: le attività di ricerche artistiche collaterali e di presidente del CPM Music Institute non mi consentono più di portare alla band il consueto apporto…».
Sia sincero: qui non si parla di aziende o istituzioni, anche se la Pfm in un certo senso lo è, nel panorama della musica italiana. Oltre a questo?
«Beh, io ascolto con attenzione i segnali che mi arrivano. E negli ultimi tempi questi segnali mi sono arrivati netti, a partire dal fisico: a Firenze, di recente, mi sono fermato per crampi alle mani. Anche in passato mi è capitato di dover interrompere un concerto».
È preoccupato?
«Macché — sorride — so benissimo qual è la causa: stress. La verità sta proprio in queste righe scritte assieme a Franz e Patrick: i miei troppi impegni fanno a pugni con la gestione del tempo. Il lavoro della Pfm è orientato principalmente a dare soddisfazione ai suoi fan e non sarò io a fermare la macchina se loro intendono continuare. Ci vogliono anche idee nuove. Mi sono chiesto: quali possono essere oggi queste idee nuove? E non ho trovato risposte da condividere».
Ma vi abbiamo appena visto a Sanremo, con la rilettura del Nabucco assieme alla Banda dell’Esercito…
«Il progetto Pfm in classic è stato fantastico e massacrante. Esaltante dialogare con Verdi, Beethoven, Mozart e Rossini, fare concerti in mezzo mondo… Pur usando linguaggi popolari ho sempre tenuto a mantenere alto il livello delle suggestioni emotive di ciò che scrivo. Vivo la musica mettendola al centro di altre attività che non sono solo i concerti».
Ecco, le altre attività. Ma il CPM, la sua scuola per musicisti, funziona da 30 anni; ha già scritto diversi libri; le sue sculture «musicali», le mostre esperienziali hanno suscitato ampia eco.
Quando ha deciso che il tempo non bastava più?
«Ho cominciato a pensarci un paio d’anni fa. Mi sono accorto che il tempo mi veniva a mancare. Desideravo esprimere tutto quello che sentivo e che avevo da dire sul mondo del suono oltre i riflettori. Ogni scelta richiede dedizione e troppe dedizioni insieme sono inconciliabili. Lavoro per comunicare, specie ai ragazzi, che la musica è un mistero ancora da scoprire. Sto dedicando tante energie anche al Progetto CO2 , finanziato dalla Siae: la creazione di speciali audioteche in quattro carceri italiane. Vorrei clonarmi…». Ride.
Avete lavorato con De André, Battisti, Fortis, Conte, Vecchioni. Con quale altro artista le sarebbe piaciuto che la Pfm avesse collaborato?
«Sarebbe stato bellissimo lavorare con una donna, con Mia Martini: sono certo che ne sarebbe uscito qualcosa di importante».
Lei si era già preso una lunga vacanza dalla band a partire dall’87. Poi tornò. Questa volta sul palco con la Pfm non la vedremo più?
«Manterrò gli impegni già presi per due concerti questo mese, il 26 a Varese e il 29 a Trento, e altri due ad aprile, il 28 ad Assisi e il 29 a Roma. Poi basta. In futuro? Non credo. Ma dire mai più sarebbe…».