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 2015  marzo 15 Domenica calendario

«HI TECH, CLUB MASCHILISTA» ORA TREMA LA SILICON VALLEY

NEW YORK Qual è il confine tra discriminazione e vittimismo? Un’azienda può essere condannata perché al suo interno prevale una cultura maschilista? Chi può garantire che in un giudizio di inadeguatezza professionale motivato non con l’assenza di competenze tecniche ma con la mancanza di «leadership» e di capacità relazionali non abbiano un peso pregiudizi sessisti o razziali? Il processo, in corso da tre settimane in California, per la causa intentata da Ellen Pao contro il suo ex datore di lavoro, la società di venture capital Kleiner Perkins, cuore finanziario della Silicon Valley, sta tenendo con il fiato sospeso il mondo dell’economia digitale.
Non è la prima volta che le Internet Company, nelle quali solo l’11% dei dirigenti sono donne, vengono accusate di discriminazione su base sessuale. Ma controversie di questo tipo fin qui erano state sempre messe a tacere: risolte in genere con indennizzi. Non stavolta. Ellen Pao, licenziata nel 2012 dopo sette anni difficili alla Kleiner (oggi è amministratore delegato di Reddit) sostiene di essere stata ostacolata in tutti i modi e scavalcata da altri colleghi meno competenti perché donna. Per questo ha denunciato il suo ex datore di lavoro chiedendo un risarcimento stellare (16 milioni di dollari), decisa a diventare la bandiera di una battaglia delle donne che dice di voler far uscire dal ghetto culturale nel quale sono segregate nella Silicon Valley, ma anche altrove (anche la finanza di Wall Street, ad esempio, ha fama di essere maschilista). La questione non è nuova e il caso fece discutere già tre anni fa quando la Pao protestò dopo il licenziamento. Ma la vera sorpresa ora è venuta dalla Kleiner Perkins che, anziché pagare per chiudere il caso ed evitare la pubblicità negativa, ha deciso di affrontare il processo. Il giudizio è molto difficile, la posta in palio è alta: queste tre settimane di udienze davanti alla corte di San Francisco sono state seguite con attenzione spasmodica dal mondo delle imprese e da un centinaio di giornalisti e blogger che hanno, di fatto, trasmesso il dibattito in diretta.
Per due settimane ad attaccare sono stati gli avvocati e i dipendenti della società di venture capital portati a testimoniare: hanno descritto la Pao come una donna aggressiva, piena di risentimento, che ha usato la sua femminilità come uno strumento per fare carriera. E quando non è stata promossa ha accusato i suoi capi di discriminazione. Kleiner Perkins non è un’impresa qualunque: è la cattedrale finanziaria dell’economia digitale, primo grande investitore in Google, Amazon e Uber. «Ma non in Twitter — ha raccontato la Pao —. Proposi di entrare nel 2007, quando la società era ancora agli inizi: mi risposero che non generava reddito».
Un po’ poco per sentirsi discriminata, certo, ma nell’ultima settimana Ellen ha raccontato la sua vicenda con grande eloquenza, a cominciare dalla storia sentimentale con un manager, Ajit Nazre, che piantò sei mesi dopo quando scoprì che il suo amante non era stato affatto lasciato dalla moglie, come aveva sostenuto. Lì sono cominciati i guai della Pao, sistematicamente boicottata da allora da Nazre e poi da tutti gli altri suoi colleghi quando lei denunciò la discriminazione. Avrebbe potuto essere uno dei tanti casi di abuso sessuale sul posto di lavoro ma questa manager di 45 anni tanto qualificata quanto ostinata ha scelto di non sporgere denuncia per «sexual harassment»: in quel caso i 12 giurati, sei donne e sei uomini, avrebbero dovuto semplicemente stabilire se c’era stata aggressione sessuale.
Sarà molto più difficile giudicare un caso nel quale il sesso c’entra, ma in modo assai più sottile: riunioni, viaggi aziendali, eventi riservati solo ai dirigenti maschi della Kleiner perché, sostiene la Pao, la presenza di donne avrebbe obbligato tutti a misurare le parole. Ma anche l’ammissione che lei stessa non ha mai assunto un manager donna.