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 2015  marzo 14 Sabato calendario

«UN ATTORE DIPENDE SEMPRE DALL’AMORE DEGLI ALTRI»

«Il fatto è che siamo tutti bambini, per sempre» dice Valeria Bruni Tedeschi, di fronte a una tisana, in un caffè di Saint-Germain. Che sollievo, enunciare questa dolce verità mentre si prova a fare i genitori, a lavorare e a essere adulti, memori di Diane Keaton che in Manhattan liquida il vissuto con un «ok, ok, ma bisogna pur crescere». Invece no, non si cresce mai davvero ed è questo uno dei temi di Latin Lover, la commedia di Cristina Comencini nella quale Valeria Bruni Tedeschi è Stéphanie, una delle quattro figlie certe o quasi del bellissimo attore Saverio Crispo - «una specie di Marcello Mastroianni» dice lei, partito da un paesino delle Puglie alla conquista di Hollywood e del mondo attraverso le donne. Per i dieci anni dalla morte la famiglia allargata si ritrova alla celebrazione del grande latin lover, e Stéphanie soffre per non essere stata amata abbastanza, per non avere mai potuto accompagnare il padre adorato sul set, per l’essere frutto di una breve “parentesi francese” nella vita di Crispo. «Una parentesi» ripete disperata Stéphanie con le lacrime agli occhi, mentre litiga con le sorelle.

Un gruppo di bambine che si litiga il ricordo del papà.
È così e come le sorelle litigano anche le mogli, ovviamente tradite. Tutte, dalla figlia più piccola, la svedese, alla prima moglie, che è Virna Lisi nella sua ultima interpretazione, sono delle bambine. Abbandonate, arrabbiate, insicure… Mi pare un aspetto molto commovente.

E secondo lei il fatto che si resta bambini è vero anche nella realtà?
Completamente, per tutti. Se la guardo mi immagino lei in prima elementare…

Ah ecco. Ma se l’infanzia è così decisiva ed eterna, con che coraggio si può fare i genitori? Lei non sente questo peso?
Certo, si possono fare disastri con i bambini. Capisco anche quelli che non vogliono fare figli, per evitare catastrofi. Ma la vita è la possibilità di combinare guai, di ripararli, di fare miracoli… Quando sono diventata madre mi hanno detto una frase che mi ha molto aiutato: non bisogna essere dei genitori bravissimi, ai bambini non fa bene. Meglio essere una madre media.

Lei si definisce una mamma imperfetta?
Sì, lo rivendico, diciamo che è per il bene dei bambini. Così da adolescenti potranno criticarmi e ribellarsi, che è un passaggio molto importante.

In Latin Lover c’è questo grande uomo al centro di una specie di harem di donne adoranti. Non è una figura un po’ fuori moda?
Sì, forse, ma era il pretesto per raccontare molte altre cose credo. L’attaccamento all’infanzia, come dicevamo. E poi il tema dei genitori che occupano tutto lo spazio, che hanno carisma e potenza.

Come vivono i figli questa situazione?
Il mio personaggio è quello di un’attrice che non si è mai sentita libera fino in fondo, perché “figlia di”.

A lei capita?
Un po’ sì, quando mi identificano troppo con la mia famiglia, con la classe sociale dalla quale provengo. Da una parte è giusto, le origini contano nell’identità di una persona, però per un’artista è anche importante provare a essere unicamente se stessa. Per dire, qual era la classe sociale di Totò? A nessuno viene in mente quando vediamo i suoi film, è riuscito a rendersi libero.

È vero che a poche attrici come a lei viene sempre ricordata l’appartenenza all’alta borghesia piemontese-parigina.
È così, anche se poi ci sono molti attori che restano impigliati nelle loro origini più semplici o popolari. Quella della classe sociale è un trappola per tutti.

Latin Lover è anche la celebrazione di una grande epoca del cinema italiano.
Sì. Ma allo stesso tempo, trovo che racconti anche come il cinema spesso bruci le persone. Una sensazione di vita, vita, vita, e poi restano dei bambini soli e delle donne abbandonate. Il cinema fa sognare ma fa anche tanto rumore per nulla. Alla fine i film restano, ma gli uomini e le donne che li fanno pagano un prezzo abbastanza alto.

I suoi figli faranno gli attori?
Decideranno loro ma spero di no. L’attore vive in modo infantile, dipende dall’amore degli altri per tutta la vita. Anche a 60 anni gli attori aspettano che squilli il telefono, sperano che venga loro offerta una parte, vogliono essere rassicurati sul fatto che il pubblico non li ha dimenticati. Non è una cosa che augurerei ai miei figli.

Com’è stato recitare con Virna Lisi?
Mi sono trovata benissimo. Una donna un po’ severa all’inizio, che mette un po’ soggezione ma invece molto gentile, intelligente, simpatica, giovane. Quando abbiamo girato, a giugno dell’anno scorso, era in grande forma, splendida. La notizia della morte (il 18 dicembre, ndr) mi ha sorpresa e addolorata. Sono contenta di averla conosciuta, sul set abbiamo parlato molto di Patrice Chéreau, che la scritturò per La regina Margot (e diresse Valeria Bruni Tedeschi quasi agli esordi, in Hôtel de France, ndr), ed era morto da qualche mese.

Dopo i film da regista sulla sua famiglia, Latin Lover è un altro film corale.
È vero, ma è un caso. Lavorare con Cristina Comencini mi è piaciuto, mi ha filmato con dolcezza, mettendomi in valore. Per una volta ho sopportato anche di rivedermi. È una cosa che di solito detesto, non riesco a guardarmi al cinema, lo trovo molto sgradevole, non so spiegare perché. Invece in questo film c’è qualcosa che mi ha reso l’esercizio accettabile.