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 2015  marzo 14 Sabato calendario

COME LA CODA DEL MAIALE

Da qualche settimana, a Bologna, tengo un corso che si intitola Scuola elementare di letteratura russa, e l’altro giorno, lunedì, era arrivato il momento che bisognava parlare di Dostoevskij che, da un lato, ero contento per via che mi piace molto, Dostoevskij, dall’altro ero preoccupato per via che io, a parlare di Dostoevskij, non so mai cosa dire.
E la scorsa settimana mi son chiesto più di una volta cos’avrei detto, di Dostoevskij, poi per fortuna son stato male, un’influenza, ho avuto il tempo di leggere Povera gente, di Dostoevskij, e il saggio Dostoevskij di Michail Bachtin. Povera gente, che è il primo romanzo scritto da Dostoevskij, aveva 23 anni, non l’avevo mai letto perché ero convinto che fosse una cosa minore e, non lo so, forse è minore, ma a me è piaciuto molto e una delle cose che mi sono piaciute di più è che, son due che si scrivono, una sartina e un impiegato, che vivono uno di fronte all’altra e non vogliono che ci siano pettegolezzi e invece di vedersi si mandan delle lettere e sono poveri, ma molto, gli va male come a San Violino, come dicono a Parma, e il lettore continuamente pensa che non può andare peggio di così e invece la lettera dopo scopre che può, andare peggio di così. Che è una cosa che mi fa venire in mente un’altra cosa che dicevano a Parma che sembra che agli inizi del secolo, a Parma dicessero: «In casa nostra c’era una miseria che quando siam diventati poveri abbiamo fatto una festa».
E niente, dopo, quando è stato lunedì, ho letto un po’ di pagine, di Dostoevskij, la parte dell’Idiota in cui uno diventa il riflesso di una campana, e un paio di lettere di Povera gente di quelle che va ancora peggio, poi ho detto un po’ di cose belle di quelle che tira fuori il critico Bachtin, su Dostoevskij, e poi ho anche detto una cosa che diceva un altro critico russo che si chiama Šklovskij che diceva che Dostoevskij una volta aveva detto: «Se mi pagassero bene come Turgenev, scriverei bene come lui». «Scriveva meglio», ha commentato Šklovskij, «e non lo sapeva». Che a me questo Šklovskij piace moltissimo perché parla di letteratura in un modo che sono pochissimi, secondo me, quelli che ne parlano così, e ne parla nel modo in cui Manganelli diceva che bisogna parlar di cultura, che Manganelli diceva che «Bisogna arrivare a parlare di cultura come si parla di figa», mi sembra.
Poi, visto che in questo pezzetto si parla di Dostoevskij, devo aggiungere almeno una cosa: Tolstoj. Che, non so se ci avete fatto caso, ma quando vien fuori Dostoevskij, dopo vien sempre fuori anche Tolstoj, son sempre insieme: se te dite a qualcuno che state leggendo un romanzo di Tolstoj, quello vi guarda, si aggiusta gli occhiali, ammesso che abbia gli occhiali, e vi dice «Maaa... Dostoevskij, non ti piace?»; se gli dite che state leggendo un romanzo di Dostoevskij, quello vi guarda, si aggiusta gli occhiali (ammesso che abbia gli occhiali) e vi dice «Maaaa... Tolstoj, non ti piace?»: è così, non si sa cosa farci, quando vien fuori Dostoevskij, viene sempre fuori anche Tolstoj, come Stanlio e Ollio, o Gianni e Pinotto, o Ric e Gian, o il babbo e la mamma, delle cose del genere, fermiamoci qui.