Andrea Schianchi, La Gazzetta dello Sport 14/3/2015, 14 marzo 2015
GIALLO PARMA
La città color malva che Marcel Proust descriveva con tenerezza e rimpianto si è trasformata in un luogo popolato di ombre, dove strani personaggi salgono e scendono dal palcoscenico con la furbizia dei guitti, fanno affari discutibili e, soprattutto, accumulano debiti. Seguire la strada dei soldi, a Parma, in questo periodo è impossibile, perché di soldi non ce ne sono. Cassaforte vuota, un dissesto finanziario che sfiora i 200 milioni di euro (lordi): la gente è prigioniera della rabbia e della disillusione. Se non ci fossero di mezzo centinaia di famiglie che rischiano di trovarsi senza lavoro e senza futuro, questa sarebbe una storia comica e grottesca. Seguendo il filo delle azioni dei tanti personaggi che si alternano sulla scena, forse si può capire qualcosa di più di una vicenda che ha sconvolto il calcio italiano.
L’ATTO D’ACCUSA E’ la primavera del 2014 quando Tommaso Ghirardi si dimette da presidente del Parma, gridando al complotto perché non gli è stata concessa la licenza Uefa (per un mancato versamento di una quota Irpef). La sua squadra non potrà partecipare all’Europa League. «Io col calcio ho chiuso, voi vergognatevi per quanto avete fatto». Poco più di tre mesi dopo, Ghirardi ci ripensa e rimonta in sella. Siamo in autunno, in città si parla di fornitori che non vengono pagati, di problemi di liquidità, le voci corrono. Ghirardi si arrende: il 15 novembre non versa gli stipendi ai tesserati e il Parma, già messo male in classifica, verrà penalizzato (-2, ieri la sentenza).
LA MOSSA Ormai è chiaro: Ghirardi venderà il club. Lo cede al petroliere albanese Rezart Taçi che, tuttavia, non vuole apparire e nei posti di comando mette i suoi uomini di fiducia. Ufficialmente, però, il club viene acquistato dalla Dastraso Holdings Limited, una società con un capitale di 1.000 euro costituita all’inizio di novembre a Limassol, Cipro. Il legale rappresentante della Dastraso è Pietro «Petrit» Doca, un gioielliere di origini albanesi che vive a Lodi ed è amico d’infanzia di Taçi. Sarà lui il nuovo presidente del Parma. Ma resterà in carica soltanto per un giorno. Spaventato dal clamore mediatico, rifiuterà subito l’incarico. Al suo posto l’avvocato romano Fabio Giordano che esordisce in conferenza stampa scusandosi per la febbre alta, sbaglia più volte il nome della società che rappresenta (Dastrosa? Dasastro?) e afferma che non sono ancora stati controllati i conti economici del Parma. Giordano dice che dietro la Dastraso ci sono imprenditori russo-ciprioti. Confermato nel ruolo di direttore generale Pietro Leonardi che viene convocato a Tirana, negli uffici della Taçi Oil, e ottiene rassicurazioni: presto ci saranno i soldi. A Collecchio sbarca l’affascinante Anika Taçi, sorella di Rezart: una semplice visita, zero investimenti. E’ in questa fase che entra in scena un curioso personaggio: si tratta di Eugenio De Paolini Del Vecchio, due ergastoli per un triplice omicidio (pena finita di scontare qualche anno fa). Nel 1974 ha ammazzato il patrigno e nel 1979 due cugini: non voleva che scoprissero che aveva sperperato il patrimonio di famiglia. De Paolini è l’uomo che ha il compito di convincere Taçi a tirare fuori i soldi. Si adopera affinché il petroliere albanese venga ricevuto nei salotti buoni della città. Il 20 gennaio organizza una cena al Palace Hotel Maria Luigia alla quale partecipano Taçi, Leonardi, il sindaco Pizzarotti, il direttore e il presidente dell’Unione degli Industriali. Nel frattempo, secondo quanto sostiene la Procura di Parma, De Paolini tenta di corrompere un ufficiale della Guardia di Finanza per ritardare l’analisi dei bilanci del club. E sempre in questo periodo, attorno alle vicende del Parma, si concentra l’attenzione di un altro soggetto noto alla magistratura: è Paolo Signifredi, faccendiere già arrestato nel 2013 assieme a Massimo Ciancimino. L’Antimafia lo arresta nell’ambito di una retata di ‘ndrangheta prima che possa «rendersi utile» alla causa del Parma.
UN EURO Ermir Kodra, un ragazzino che pare venuto giù da Marte, succede a Giordano sulla poltrona di presidente, ma nulla cambia. Taçi non apre il portafoglio e, all’improvviso, cede la società a Giampietro Manenti, titolare della Mapi Grup, società con sede a Nova Gorica (Slovenia), capitale di 7.500 euro. Costo dell’affare Parma: un euro. Siamo alla farsa. Manenti si presenta al fianco del consulente di fiducia Fiorenzo Alborghetti e comincia a promettere: è il suo sport preferito. Si prodiga, dice che farà, che pagherà, che progetterà: tutto al futuro. In realtà, il 16 febbraio, giorno in cui dovrebbe versare gli stipendi ai tesserati e ai dipendenti, non scuce nulla. Sostiene che ci sono problemi tecnici per far arrivare il denaro dall’estero. Convocato dal sindaco Pizzarotti viene messo alla porta: non è credibile. I giocatori sono sul piede di guerra. La società non ha soldi per organizzare la partita contro l’Udinese al Tardini: rinviata. E quella successiva, a Marassi contro il Genoa, non si disputa perché la squadra di Donadoni si rifiuta di giocare. Capitan Lucarelli si traveste da sindacalista, chiede l’intervento delle istituzioni del calcio. Il presidente della Figc Tavecchio appronta un tavolo di discussione, la Lega mette sul piatto 5 milioni per proseguire regolarmente il campionato, i giocatori accettano pensando soprattutto ai dipendenti del Parma Football Club che da mesi non vedono lo stipendio. Ma ormai la vicenda è finita sul tavolo dei magistrati. Ghirardi indagato per bancarotta fraudolenta, Leonardi per concorso in bancarotta fraudolenta, a due ufficiali della Guardia di Finanza viene contestato il reato di omissione di atti d’ufficio, e il 19 marzo si discuterà la richiesta di fallimento del club avanzata dalla Procura. Questo, oggi, è il calcio a Parma. Più che in campo si gioca in tribunale .