Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 14/3/2015, 14 marzo 2015
BULLARÒ
Giorni, settimane, mesi trascorsi a discutere pro o contro l’uso del decreto legge o invece del disegno di legge per l’epocale riforma della Rai, all’insegna dello slogan – già in voga ai tempi di Fanfani – “fuori i partiti da Viale Mazzini”. E ora il Consiglio dei ministri non partorisce né un decreto né un ddl, ma le solite “linee guida”. Cioè il consueto blabla di Renzi in una conferenza stampa un po’ bullesca e senza domande, nella consueta tradizione orale che rinverdisce i fasti di Omero con una spruzzatina di Putin e un tocco di conte Mascetti. La stampa governativa a prescindere spaccia il tutto per una rivoluzione copernicana “per il Paese che riparte”. Ma finora l’unica cosa che riparte è la supercazzola. La novità più rivoluzionaria è che – nel ddl che vedremo prossimamente su questi schermi – il Cda Rai scenderà da 9 a 7 membri. E la maggioranza dei Magnifici Sette sarà nominata non più dai partiti riuniti nella commissione di Vigilanza, bensì dai partiti riuniti nel Parlamento in seduta comune. Roba forte.
Piccolo dettaglio: le occasioni in cui il Parlamento può riunirsi in seduta comune sono regolate dalla Costituzione, che purtroppo non prevede l’elezione del Cda Rai: occorrerebbe una riforma costituzionale ad hoc, tempo minimo due anni. L’altra sconvolgente novità è che uno dei Sette sarà eletto dai 12 mila dipendenti della Rai e, naturalmente, conterà come il due di coppe a briscola quando comanda bastoni. Quanto al direttore generale, sarà sempre indicato dal Tesoro (azionista di super-maggioranza), ma attenzione: si chiamerà amministratore delegato. Nessuna gara pubblica trasparente, nessun curriculum su Internet, tutto nelle segrete stanze della politica. Immediate le congratulazioni di Gasparri, che vede confermato tutto il peggio della sua legge (sua si fa per dire). Anche perché la Rai renziana “non dovrà più inseguire gli ascolti”: che è quel che dicono da sempre B. e Confalonieri.
Renzi non lo dice, ma il suo governo – vedi Carlo Tecce a pa gina 8 – ha quintuplicato in un anno la pubblicità istituzionale sulle reti Mediaset: un modo come un altro per regalare a B. una carrettata di soldi pubblici. In attesa della rivoluzione, che con questo ritmo sarà d’ottobre (se va bene), si a avanti col vecchio Cda. Dove B., dato da tutti per morto e sepolto, ha la maggioranza.
Il consigliere Antonio Verro, infatti, resta al suo posto a pie’ fermo grazie all’inerzia del governo. Il 19 febbraio il Fatto pubblicò una lettera da lui inviata nel 2010 all’allora premier B. in cui Verro spiegava come sabotare otto programmi di punta della sua azienda, a suo dire “antigovernativi”: Annozero, Report, Ballarò, Che tempo che fa, Parla con me, Tg3 Lineanotte, In mezz’ora e Glob. “Unico rimedio ipotizzabile – scriveva il presunto amministratore del cosiddetto servizio pubblico al suo mandante – sarebbe quello di mettere paletti relativi a composizione del pubblico, strettoie organizzative e scelta di ospiti politici (e non)... tramite i direttori di rete”, cambiando subito quello di Rai2 Massimo Liofredi con Susanna Petruni. Interpellato dal Fatto, Verro giurò: “Impossibile che abbia potuto scrivere questo. Indicare il nome della Petruni poi! Smentisco al 100 per cento. No: al 102 per cento”. L’altro giorno, audito in Vigilanza, ha confessato: “I contenuti della lettera sono sicuramente miei: come quella lettera poi sia stata scritta e trasmessa, questo mi riservo di dirvelo dopo che la commissione Rai (il Comitato etico, ndr) ha fatto tutti i suoi accertamenti”. Quindi, per giorni e giorni, ha spudoratamente mentito. E ancora fa il furbo, lasciando credere che una lettera firmata da lui e spedita via fax alla villa di Arcore si sia scritta da sola. Ma la cosa non pare turbare granché il governo che dice di voler cacciare i partiti dalla Rai.
Quando la lettera di Verro uscì sul Fatto, Renzi fece sapere di averla trovata “vergognosa”. E Pier Carlo Padoan, suo ministro del Tesoro e primo azionista Rai, si disse “indignato”. Marco Lillo, sul Fatto, spiegò loro che non sono dei passanti, ma gli unici abilitati per legge a innescare le procedure per la revoca di Verro dal Cda. Funziona così: il ministro del Tesoro intima al presidente della Rai di convocare l’assemblea degli azionisti con all’ordine del giorno l’immediata revoca dell’amministratore ritenuto “vergognoso” per aver violato la legge Gasparri (che è tutto dire). Questa infatti, varata nel 2004 dal governo B., prescrive ai consiglieri Rai “notoria indipendenza di comportamento”. Un requisito che per Verro è venuto meno con la pubblicazione della sua lettera al capo del governo e di Mediaset contro i programmi della sua stessa azienda (alcuni dei quali puntualmente scomparsi dai palinsesti).
Purtroppo, in queste tre settimane, il governo non s’è mosso e la Tarantola s’è limitata al ridicolo deferimento di Verro al Comitato etico. Qualche lettore continua a scriverci che siamo prevenuti con il governo Renzi. Ma se il governo Renzi lascia la Rai in mano a un soggetto che racconta bugie e viola persino la legge Gasparri, sarà mica colpa nostra?
Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 14/3/2015