Federico Fubini, la Repubblica 14/3/2015, 14 marzo 2015
MA SPERARE NON BASTA
Un sondaggio elettronico costa lo sforzo di appoggiare il dito su un bottone, non quello di mettere mano al portafogli o camminare fino alla banca per chiedere un prestito.
Ma su questa base almeno, sembra di vivere in un altro Paese rispetto a quello che dal 2008 ha perso un quarto della sua produzione industriale.
In un sondaggio in sala, gli imprenditori italiani riuniti ieri a Cernobbio per il Workshop Ambrosetti hanno dato l’impressione di prepararsi a festeggiare per essere sopravvissuti. Più di metà di loro si sono detti pronti a aumentare il personale nel 2015, due su tre vedono fatturati in crescita, intendono accelerare sugli investimenti e indicano l’Italia come di gran lunga la prima destinazione per farlo. Appena sei mesi fa, quando Ambrosetti tentò l’ultimo sondaggio del genere, la platea di Cernobbio era di umore decisamente più avverso: appena il 30% si preparava ad aumentare il numero dei dipendenti, mentre la quota di coloro che volevano invece liberarsi di parte del personale (al 18%) era doppia rispetto ad oggi.
Difficile dire quali conseguenze abbiano i voti di Cernobbio sul tessuto reale dell’economia. Impossibile intuire quanti nella platea dell’Ambrosetti facciano parte dei 18.600 milionari italiani che, secondo il rapporto di Knight Frank, negli ultimi dieci anni hanno trasferito la propria residenza in un altro Paese. Nella classifica sulla fuga dei ricchi l’Italia risulta del resto fra i primissimi al mondo, dietro solo a India, Cina e Francia ma davanti alla Russia. I milionari temono le tasse o controlli del Fisco, a volte giustificati e altre no, ma sempre spietatamente aggressivi. Si preoccupano che le regole per la propria impresa cambino in modo retroattivo ogni sei mesi. Non è sorprendente se la sala di Villa d’Este ieri era quasi unanime nell’indicare quella che considera l’“azione prioritaria” per assecondare la ripresa: “Assicurare la certezza del diritto e del fisco”, ha chiesto l’89,8% dei presenti.
Il loro ottimismo non è di maniera. Non serve solo ad alimentare educate conversazioni in riva al lago a Villa d’Este. Nelle ultime settimane la Tamburi Investment Partners, una boutique milanese che sceglie, fa crescere e porta in Borsa le imprese più promettenti d’Italia, ha selezionato un campione di 250 aziende con fatturati sopra ai 5 milioni e ha chiesto ai loro manager cosa pensassero del futuro. Le loro risposte non parlano per tutt’Italia, certo non per quella dei milioni di aziende più piccole dove si concentrano gran parte dei posti di lavoro, dei debiti privati e dei problemi del Paese. Ma le risposte di quei manager sentiti da Tamburi parlano di un’Italia che in questi anni di crisi ha affilato le armi in silenzio. L’88% degli imprenditori di quelle aziende si è detto ottimista per sé e il 63% anche per il Paese. Malgrado il credit crunch e i 340 miliardi di prestiti deteriorati nei bilanci delle banche, due su tre nel campione dei manager di Tamburi si considerano persino “sostenuti dagli istituti in maniera adeguata”.
Una crescita dello zero-virgola è sempre una media, fra chi fallisce e chi è in pieno boom. Mai come oggi forse questo è stato un Paese duale, oggetto di una selezione darwiniana fra produttori. Sta succedendo qualcosa di complesso oggi in Italia, che chi ha le leve del sistema ha il dovere di capire e interpretare. Molti fra coloro che hanno resistito alla tempesta perfetta degli ultimi anni, ora vogliono godersi una primavera perfetta. L’energia qui costa sempre più che in Germania o in Francia, ma il suo prezzo è caduto di quasi un terzo. La Banca centrale europea ha portato tassi bassissimi sul debito pubblico e un euro che, svalutandosi, ha prodotto l’impensabile: non solo un mercato americano più accessibile, ma un recupero di competitività del 25% sulla Cina nel giro di dodici mesi.
Non è ottimismo di maniera, ma neppure le preoccupazioni degli imprenditori di Cernobbio lo sono. Chiedono al governo certezze fiscali e legali. Aspettano una riforma tributaria che faccia pagare il dovuto, ma garantisca le imprese dall’arbitrio di ispezioni condotte con lo stile di chi vuole intimidire e spingere a confessare anche peccati non commessi. Vogliono sentenze civili in tempi accettabili.
Se la Bce avrà successo, un po’ d’inflazione ripartirà. Ora il debito pubblico non è più un problema, ma tra due o tre anni i tassi d’interesse decennali risaliranno e gli equilibri potranno di nuovo cambiare. Il tempo di rimettere l’Italia in assetto di marcia, per le imprese e per il governo, è ora. Chi lo lascia passare per nulla, avrà perso l’occasione del secolo.
Federico Fubini, la Repubblica 14/3/2015