varie 14/3/2015, 14 marzo 2015
ARTICOLI SUL GIUBILEO DI PAPA FRANCESCO DAI GIORNALI DI SABATO 14 MARZO 2015
GIAN GUIDO VECCHI, CORRIERE DELLA SERA -
Lo ha detto fin dall’inizio: «La Chiesa è madre: deve andare a curare i feriti, con misericordia. Questo è il tempo della misericordia. Se il Signore non si stanca di perdonare, noi non abbiamo altra scelta che questa: prima di tutto, curare i feriti, eh?». Lo ripeteva ai confessori di Santa Maria Maggiore nel primo giorno di pontificato, «misericordia, misericordia», lo scandì il 17 marzo 2013 dicendo messa a Sant’Anna, il giorno del primo Angelus: «Per me, lo dico umilmente, questo è il messaggio più forte del Signore: la misericordia». Così ora, mentre parla a San Pietro a metà pomeriggio, a due anni esatti dalla votazione che lo elesse Papa nella Sistina, l’annuncio di Francesco va al cuore del suo pontificato: «Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. È un cammino che inizia con una conversione spirituale. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio».
L’«Anno Santo della Misericordia» inizierà l’8 dicembre di quest’anno e si concluderà il 20 novembre 2016, «Domenica di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo e volto vivo della misericordia del Padre». Anche la data di inizio scelta da Francesco, nel giorno dell’Immacolata Concezione, è significativa: la Porta Santa in San Pietro si aprirà nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, l’8 dicembre 1965, quando Paolo VI indicò il Buon Samaritano come «paradigma spirituale» dell’apertura della Chiesa al mondo.
Un segnale a tutta la Chiesa, alla vigilia del grande Sinodo di ottobre sulla Famiglia. La scelta di Francesco si spiega con il discorso memorabile che ha rivolto a tutti i cardinali il 15 febbraio, dopo l’ultimo Concistoro: l’intera storia della Chiesa, aveva detto, «è percorsa da due logiche di pensiero e di fede: la paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti». Da una parte la logica ipocrita dei «dottori della Legge», che si sentono puri ed «emarginano» i «malati»; dall’altra «la logica di Dio» che «con la sua misericordia abbraccia e accoglie reintegrando», perché «il Signore è presente» in tutti.
Ieri Francesco, come l’anno scorso, si è confessato e ha confessato nella Basilica. «Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio; tutti conoscono la strada per accedervi e la Chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta», ha scandito. Nelle sue parole c’è come il senso di un’urgenza. Sarà che ha «la sensazione un po’ vaga» che il suo pontificato «sarà breve, quattro o cinque anni», come ha detto alla tv messicana Televisa. Oppure il fatto di vivere nell’«ultima corte che rimane in Europa» perché «le altre si sono democratizzate», spiega alla vaticanista Valentina Ala-zraki che gli chiedeva della Curia: «Ogni cambiamento inizia dal cuore. Bisogna cambiare: abbandonare ciò che ancora ha della corte ed essere un gruppo di lavoro, al servizio della Chiesa, dei vescovi. Questo implica una conversione personale».
Parla anche del Sinodo e delle «aspettative smisurate», e spiega: «Credo che il Signore voglia che noi affrontiamo questo: preparazione al matrimonio, accompagnamento di coloro che convivono, di coloro che si sposano e conducono bene la loro famiglia, di quelli che hanno avuto un insuccesso e hanno una nuova unione, preparazione al sacramento del matrimonio. Quanti matrimoni sono nulli per mancanza di fede!». Il problema è «reintegrare» nella Chiesa, ad esempio le «seconde unioni», la comunione ai divorziati come «una coccarda, un’onorificenza» di per sé non risolve nulla. In tema di immigrazione, Francesco elogia l’Italia: «È stata molto generosa, e voglio dirlo. Il sindaco di Lampedusa si è messa totalmente in gioco, anche a costo di trasformare l’isola da terra di turismo a terra di ospitalità. Con quello che comporta il non guadagnare soldi. Ci sono gesti eroici».
Un rammarico? Il non poter uscire senza che nessuno lo riconosca e andarsene tranquillamente in una pizzeria.
*****
GIAN GUIDO VECCHI, CORRIERE DELLA SERA -
Il 18 agosto dell’anno scorso, di ritorno da Seul, aveva scherzato sulla propria morte facendo il gesto di chi se ne va: «Io so che questo durerà poco tempo, due o tre anni e poi via, alla casa del Padre!». Nell’intervista alla tv messicana ha confermato «la sensazione un po’ vaga» che il suo Pontificato «sarà breve» («Quattro o cinque anni, non so, o due o tre... Beh, due sono già passati»), salvo aggiungere: «È come la psicologia di chi gioca e allora crede che perderà per non restare poi deluso. E se vince è contento. Non so cos’è. Ma ho la sensazione che Dio mi ha messo qui per una cosa breve, niente di più. Ma è una sensazione. Per questo lascio sempre aperta la possibilità». Eppure, di là da questa «sensazione», la cosa notevole è che Francesco respinga sia la possibilità di un limite di età fissato magari a 80 anni («a me non piace fissare un’età... parlare di 80 anni crea una sensazione di fine Pontificato che non farebbe bene, qualcosa di prevedibile») sia l’idea in generale di un papato a termine, come se la «rinuncia» fosse ormai un esito inevitabile. Bergoglio spiega che Benedetto XVI «ha aperto con grande coraggio la porta dei Papi emeriti» e non bisogna considerarlo «come un’eccezione» ma «una istituzione». Oggi «si è aperta la possibilità che possa esistere». Una possibilità: Ratzinger «forse sarà l’unico per molto tempo, forse non sarà l’unico». In questo senso dice di essere «dell’idea di Benedetto»:
in condizioni analoghe, si farebbe la stessa domanda. Sarà quel che Dio vorrà, «il papato è una grazia». Ai ragazzi arrivati a San Pietro il 7 giugno, per la festa dello sport, aveva detto: «Vi prego di pregare per me, perché possa fare il mio gioco fino al giorno che il Signore mi chiamerà a sé».
*****
LUIGI ACCATTOLI, CORRIERE DELLA SERA -
Una decisione a sorpresa — questo del Giubileo della Misericordia — che ha significati vecchi e nuovi tra loro intrecciati e apparentemente contrastanti. Un intreccio che fa dell’Anno Santo annunciato ieri da Francesco un unicum, un caso unico, nella lunga storia degli Anni Santi, che ha più di sette secoli. Sarà il 29° della serie, che era stata avviata da Bonifacio VIII nell’anno Trecento, che è anche l’anno in cui Dante colloca idealmente il viaggio ultraterreno della Divina Commedia.
Il primo intreccio è tra vecchio e nuovo: i Giubilei sono legati alle indulgenze e alle prassi penitenziali del Medioevo, appaiono dunque lontani dal sentimento moderno della fede cristiana che parrebbe professato da Papa Francesco; ma questo Giubileo è dedicato alla Misericordia, e non si è mai avuto un Giubileo della Misericordia. Qui forse il vecchio prevale sul nuovo, essendo che ogni Giubileo era un richiamo al perdono — un tempo era anche detto «perdonanza» — e dunque indirettamente faceva riferimento alla misericordia di Dio che perdona.
Ma c’è un altro intreccio, dove invece a prevalere è la novità: ed è quello tra il carattere devozionale delle ritualità giubilari e il rimando di questo Giubileo al cinquantenario del Vaticano II, le cui quattro sessioni si tennero dal 1962 al 1965.
Qui la sensazione del contrasto si fa impressionante, almeno per chi ha l’età per ricordare il dibattito che accompagnò nel 1974-1975 l’indizione e lo svolgimento del primo Giubileo venuto dopo il Concilio, quando molti ritenevano che non era più concepibile che venisse indetto un Anno Santo da parte dello stesso Papa — Paolo VI — che aveva promulgato i documenti del Vaticano II e che ne aveva guidato la prima applicazione.
In questo richiamo intrecciato al Vaticano II e alla pietà popolare si può vedere un’astuzia del Papa argentino: egli ha grande presa presso il popolo dei fedeli ma subisce qualche resistenza da parte di ambienti intellettuali di orientamento tradizionale. Indicendo un Anno Santo in ricordo del Concilio sorprende gli oppositori, in quanto fa appello al popolo chiamandolo ad atti tradizionali (pellegrinaggio a Roma, indulgenze) e insieme gli ripropone la novità del Concilio.
Chi accusa il Papa di trascurare la tradizione e di porre troppi atti di discontinuità rispetto ai predecessori dovrà ora ammettere che l’iniziativa di maggiore impegno organizzativo e celebrativo, tra quante questo Papa ne ha prese fino a oggi, è del tutto tradizionale. Nello stesso tempo sarà chiaro a tutti che un anno di rievocazione del Vaticano II configurerà una valorizzazione diffusa e capillare di quel patrimonio quale fino a oggi non era stata tentata da nessuno dei predecessori.
Due anni dopo la conclusione di quel Giubileo arrivò il Papa polacco, che aveva una vera e propria passione per gli Anni Santi e ne celebrò due: uno che chiamò «Anno Santo straordinario della Redenzione» nel 1983 (nel titolo vi era un richiamo al cinquantenario dell’Anno Santo straordinario della Redenzione che Pio XI aveva indetto nel 1933, con richiamo ai 33 anni di Cristo) e un altro, nell’anno Duemila, che qualificò come «Grande Giubileo» con riferimento al passaggio del millennio.
L’esito numerico del Grande Giubileo fu imparagonabile rispetto a tutti i precedenti. Secondo la stima dell’Agenzia Romana per il Giubileo, il numero totale di arrivi a Roma nel corso di quell’Anno Santo fu di 24,5 milioni di pellegrini, mentre il Censis valutò in 32 milioni il totale degli arrivi. Fu affermato che il solo pellegrinaggio dei giovani (detto anche Giornata mondiale della gioventù di Tor Vergata) avesse portato a Roma due milioni di ragazzi.
I Giubilei ordinari si tennero inizialmente ogni 50 anni (1300: Bonifacio VIII; 1350: Clemente VI: 1400: Bonifacio IX); ma a partire da Martino V, che ne indisse uno per il 1423, la periodicità scese ai 25 anni e si ebbero regolari celebrazioni nel 1450, nel 1475 e così via fino al 1775. Non si ebbe il Giubileo nel 1800 per le vicende napoleoniche (Pio VI prigioniero in Francia fino alla morte nel 1799, Pio VII eletto a Venezia nel marzo del 1800) e di nuovo saltò l’appuntamento del 1850 a motivo della fuga del Papa a Gaeta nel 1849. Regolari furono anche tutte le altre celebrazioni venticinquennali fino a quella del 2000. A parte i due Giubilei straordinari della Redenzione, ricordati sopra, Anni Santi in anni non cinquantenari o venticinquennali si ebbero soltanto nel 1390 e nel 1423.
*****
CORRIERE DELLA SERA -
Giubileo. Il termine riprende il nome ebraico «Jobel» (caprone, in riferimento al corno di montone utilizzato nelle cerimonie sacre). Per la Chiesa cattolica consiste nel perdono generale, nell’indulgenza aperta a tutti e nella possibilità di rinnovare il rapporto con Dio e il prossimo. Comunemente viene chiamato «Anno Santo» e costituisce per i cattolici l’opportunità per approfondire la fede e vivere con rinnovato impegno la testimonianza cristiana.
*****
MARCO ANSALDO, LA REPUBBLICA -
Due anni di pontificato, ma con l’annuncio di un nuovo Anno Santo. Papa Francesco festeggia la sua elezione del 13 marzo 2013 e subito rilancia. Il Giubileo straordinario si terrà dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016. «Una nuova tappa» nella «missione» della Chiesa, per portare a tutti «il Vangelo della misericordia». Concetto che evoca i poveri, gli ultimi, le periferie, cioè le parole chiave del pontificato, con un tema però caro al Concilio Vaticano II, e tuttavia rimasto allora emarginato. La Chiesa dei poveri fu evocata da papa Roncalli prima di indire il Concilio, ma ebbe meno spazio degli altri due temi forti, dialogo interreligioso e rapporto con il mondo contemporaneo.
L’annuncio del Pontefice, a San Pietro, è stato accolto da un applauso. Poi il Papa si è confessato inginocchiandosi, confessando infine lui stesso alcuni fedeli. Il Giubileo comincerà con l’apertura della Porta santa della Basilica di San Pietro. E porterà l’indulgenza plenaria. «Dio perdona tutto e perdona tutti», ha ricordato Jorge Bergoglio. Ieri è stata anche diffusa la nuova intervista del Pontefice. Questa volta, dopo il giornale argentino delle Villas miserias, alla Televisa messicana, concessa alla decana dei vaticanisti che seguono il Papa nei suoi viaggi all’estero, Valentina Alazraki. Tante le considerazioni interessanti. «Ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve. Quattro o cinque anni. Non lo so, o due, tre. Ben due sono passati da allora. È come un vago sentimento, una sensazione, ma potrei sbagliarmi». E se Benedetto XVI con la rinuncia «ha aperto una porta», l’idea di mettere fine a un pontificato per motivi di età «non mi piace», ha detto Francesco. Quindi ha confermato di essere attaccato al suo habitat. «Non mi piace viaggiare, è la penitenza più grande». È però contento di vivere a Santa Marta, «perché c’è gente, la solitudine non l’avrei sopportata. Mangio alla mensa, celebro messa quattro volte a settimana con persone che vengono da fuori. Tutto questo mi piace». Ma confida: «Quanto mi piacerebbe un giorno uscire, senza essere riconosciuto, e andare a mangiare in pizzeria». Ha promosso l’Italia sull’immigrazione: «Molto generosa». E dato una bordata alla Curia, «ultima corte d’Europa». Ha detto il premier Matteo Renzi: «L’annuncio del Giubileo è una buona notizia che il governo accoglie con i migliori auspici. L’Italia, che quest’anno ospita l’Expo, saprà fare la sua parte». «Lavoreremo per garantire che questo grande evento, non solo religioso ma di richiamo alla pace universale, si svolga in piena sicurezza», ha assicurato il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. ( m. ans.)
*****
MARCO ANSALDO, LA REPUBBLICA -
La medicina della “misericordina”, il farmaco- rosario consigliato ai fedeli, riposta in un cassetto della sua stanza a Casa Santa Marta. Fuori, lo stemma pontificio, con il motto “Miserando atque eligendo” tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile («lo guardò con un sentimento di amore, e lo scelse »). Papa Francesco ha a lungo riflettuto, gli ultimi mesi dello scorso anno, così come fa nei rari momenti in cui, all’alba, nella “Camera 201”, stende le sue omelie prima della messa mattutina, e poi ha deciso: il prossimo Giubileo straordinario sarà sotto il nome della misericordia.
E proprio questa parola, più di altre, questo «sentimento di amore», rappresenta uno dei termini chiave del pontificato di Francesco. L’altro è «armonia», come ha giustamente rilevato appena l’altro ieri padre Antonio Spadaro, il direttore della rivista La Civiltà Cattolica , uomo che forse più di altri, anche per la comune appartenenza gesuitica, è in grado di spiegare, di decrittare il pensiero di Jorge Mario Bergoglio.
E di «armonia» il Papa ha parlato a lungo a dicembre, nel viaggio compiuto in Sri Lanka e nelle Filippine. Altre latitudini. Ma tornato a Roma, concentrandosi sugli eventi di un anno che si presenta come decisivo fra visite previste in Africa e in America, in Italia (tre) e la conclusione a ottobre dell’importante Sinodo sulla Famiglia, Bergoglio ha inserito più volte la parola «misericordia » nei suoi discorsi. Prima, nel Concistoro di febbraio, quando ha parlato ai 20 nuovi cardinali appena creati. Poi, giusto poche settimane fa, nella lettera inviata al suo successore nella diocesi di Buenos Aires, quel Mario Poli pescato nella Pampa argentina, portato nella capitale, e fatto cardinale. Anche lì, in quelle righe, l’esortazione alla misericordia assumeva toni vibranti e da meditare. Dentro di sé, un pensiero fisso: la crisi della fede in Occidente.
C’è chi dice, nella cerchia in realtà non larga degli amici di Francesco in Vaticano, che la parola «misericordia» sia ben scolpita in lui fin da quando è diventato vescovo, il lontano 20 maggio 1992, secondo quanto volle Karol Wojtyla. E che quel concetto abbia attraversato l’intera sua vita sacerdotale, prima da arcivescovo della sua città, poi da cardinale, fino all’elezione al soglio pontificio. Una costante lunga come un arco.
In realtà, se solo si rileggono i discorsi degli ultimi mesi, quella parola ricorre in modo insistente confrontandosi con un’altra sua frase cardine. Questa: «La paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti». Concetto che chi leggerà il prossimo libro del Papa “La logica dell’amore” (in uscita il 19 marzo per Rizzoli), con introduzione di padre Antonio Spadaro, ritroverà in capitoli che come tappe della Via Crucis scandiscono tutto il testo. Una «misericordia», dunque, che si salda con il momento di peniten- za destinato alla Pasqua.
Ma perché le date dell’8 dicembre e del 20 novembre, scelte come apertura e chiusura di un evento che un tempo la Chiesa stabiliva ogni 25 anni, e oggi il Pontefice annuncia come Anno straordinario a soli 15 anni di distanza dall’ultimo Giubileo, quello convocato nel 2000 da Giovanni Paolo II? Il giorno dell’Immacolata Concezione indica con chiarezza per Francesco l’importanza di Maria, figura sulla quale tante volte il Papa è tornato con esempi capaci di amplificare l’affetto e il rispetto nutrito per la madre di Gesù. Altro richiamo voluto: l’apertura avverrà nel 50° anniversario della chiusura del Vaticano II, e acquista così significato spingendo la Chiesa a continuare l’opera iniziata in un Concilio cui questo Papa rimanda spesso. La data di chiusura è invece il giorno di Cristo Re, quando i gesuiti pronunciano i voti. Un richiamo fortissimo per la Compagnia, che considera quel giorno il momento in cui Cristo giudica, il giorno della penitenza (il Re Eterno, secondo la definizione del fondatore Sant’Ignazio). Non manca un ulteriore, e finale, senso simbolico: Bergoglio ha deciso di indire l’Anno Santo il giorno del secondo anniversario della sua elezione a Pontefice di Santa Romana Chiesa, quel 13 marzo 2013 in cui annunciò al mondo di accettare la nomina con il nome sorprendente di Francesco.
«Nessuno può essere escluso dalla misericordia», aveva detto durante il suo primo viaggio all’estero, quello in Brasile, con il record (oggi già battuto) di 6 milioni di persone sulla spiaggia di Copacabana, a Rio de Janeiro. Un concetto andato in crescendo, con un’insistenza evidente negli ultimi mesi. «La misericordia — ricorda ancora padre Spadaro — è una sua costante. Direi, anzi, che è proprio la cifra del suo pontificato. Francesco non sta facendo la riforma della Curia, ma sta affrontando la crisi della fede in Occidente. Punto». Una frase che può sorprendere. Che fa pensare. Dove per Occidente si intende l’Emisfero Nord, l’area secolarizzata che conosciamo. Nella quale appunto l’immagine di Dio appare in crisi, non paragonabile a zone del mondo dove la fede invece è in crescita, Asia e Africa. La crisi è qui. È ora. Ed è qui che c’è bisogno non solo di «armonia». O di «compassione». Ma, dice il Papa, soprattutto di un sentimento di amore. Di «misericordia».
*****
ORAZIO LA ROCCA, LA REPUBBLICA -
Cardinale Kasper, il Giubileo di Francesco sarà paragonabile a quello del 2000 di Giovanni Paolo II?
«Si tratta di eventi diversi e celebrati in altri contesti. Il Giubileo del 2000 fu l’evento principe con cui Wojtyla traghettò la Chiesa nel terzo millennio e milioni e milioni di pellegrini per 12 mesi si dettero appuntamento sulla tomba di San Pietro, in Vaticano, e nei luoghi della cristianità romana. Ci furono eventi liturgici, spettacoli, meeting. Non credo che per il Giubileo della Misericordia sarà la stessa cosa. Immagino che sarà un anno di meditazione, di riflessione sul senso del peccato e del perdono alla luce della misericordia di Dio. Forse non ci saranno grandi raduni. Ma è ancora presto per fare previsioni. E poi, papa Francesco sorprende sempre”.
Walter Kasper, 82 anni il 5 marzo scorso, creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 2001, è Presidente emerito del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e stretto ed ascoltato collaboratore di Bergoglio, che — non a caso — lo ha nominato relatore ai lavori introduttivi del Sinodo straordinario sulla famiglia dello scorso ottobre.
È rimasto sorpreso dall’annuncio del Papa?
«È una iniziativa molto, molto importante. Un annuncio che dà gioia e sorprende allo stesso tempo, grazie alle intuizioni di un grande pontefice come papa Francesco che sta facendo tanto bene alla Chiesa e a tutti gli uomini di buona volontà che lo ascoltano».
Perché secondo lei è stato dedicato alla misericordia?
«La Divina misericordia è nel Dna del papa. Fin dalla sua elezione ha predicato sempre e ovunque il senso del perdono, della speranza e della certezza che in Dio nostro Padre c’è sempre accoglienza, ascolto e soprattutto perdono misericordioso. Lo sta predicando alle grandi folle, ma anche negli incontri nelle periferie delle metropoli e nei piccoli centri. Dio è misericordia, Dio perdona, non stancatevi di rivolgervi a lui, ci ricorda sempre, basta cercarlo, aprirsi a lui, confidargli le nostre angosce, i nostri peccati».
E cosa può legare un intero Anno Santo, fatto di incontri, celebrazioni, persino spettacoli come si è sempre visto nei passati Giubileo, ad un tema come la Misericordia?
«Il legame tra Giubileo e Misericordia è forte, intimo, costruttivo perché per ben dodici mesi la Chiesa universale si interrogherà sul grande insegnamento che da sempre è possibile cogliere nella Misericordia Divina. Proprio l’altro giorno, il Papa ha ricordato che Dio può perdonare tutto e tutti perché è superiore a ogni forma di peccato. Il perdono Divino però occorre cercarlo, desiderarlo sinceramente, con la profonda volontà di non sbagliare più e con la certezza che in Dio ogni uomo, peccatore e non, troverà sempre accoglienza come un figlio presso il padre. È una tematica che da sempre sta a cuore al Santo Padre e certamente il Giubileo sarà per lui una importantissima occasione di plasmare la Chiesa universale al senso della Misericordia Divina».
Un tema solo religioso?
«Assolutamente no. È un insegnamento che per i cristiani è strettamente legato al Vangelo di Cristo, il figlio di Dio fatto uomo per salvare l’umanità dai peccati, gesto supremo di Divina Misericordia. Ma che va al di là dei credenti. Tutta la società civile ne potrà trarre vantaggi. Il senso del perdono, dell’accoglienza dell’altro, dell’ascolto di chi sbaglia e si pente è un modo di vivere che riguarda tutti, ma che specialmente in Occidente si sta smarrendo. Questo nuovo Giubileo potrà servire molto a credenti non credenti, cristiani e non cristiani, a recuperare il senso dell’amicizia, dell’ascolto e del perdono reciproco. È qui la genialità dell’annuncio di Francesco».
*****
AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI, LA REPUBBLICA -
Papa Francesco non finirà mai di stupirci. Il giorno del secondo anniversario del suo pontificato promulga un anno santo di «misericordia». Il trentesimo Giubileo cristiano si aprirà dunque l’8 dicembre, cinquant’anni dopo quello indetto da Paolo VI a chiusura del Concilio Vaticano II. È il nono da poco più di un secolo.
Il ritmo di cinquant’anni si ispira all’Antico Testamento. La legge di Mosè aveva prescritto al popolo ebraico di dichiarare «il cinquantesimo anno» un anno di «Giubileo», durante il quale «ognuno tornerà in possesso del suo» (Levitico, 25, 10-13). Era un anno particolarissimo, in cui si restituivano terre agli antichi proprietari, si rimettevano i debiti e si lasciava riposare la terra.
Per più di un millennio il cristianesimo restò insensibile al concetto di giubileo, forse anche perché vigeva allora una visione del tempo non scadenzata come oggi da secoli e ancor meno da periodi più brevi. Non a caso il primo Giubileo cristiano fu promulgato nel 1300, da Bonifacio VIII (1294-1303), proprio in corrispondenza del passaggio di un secolo. Per Papa Caetani i futuri giubilei cristiani non avrebbero dovuto riprendere il ritmo dell’Antico Testamento, ma essere promulgati ogni cento anni. Ad ogni passaggio di un secolo dunque, come fu per il suo.
Presso i fedeli che si erano recati alla basilica di San Pietro in Vaticano il primo gennaio 1300 era corsa voce che il papa avrebbe indetto un’indulgenza plenaria che avrebbe «lavato la macchia di ogni peccato». Ma erano soltanto dicerie. Attese popolari si manifestarono anche il 17 gennaio, giorno in cui si portava in processione l’icona della Veronica recante l’immagine di Cristo che si venerava nella basilica di San Pietro in Vaticano. Bonifacio VIII, sorpreso dal fervore popolare, fece svolgere delle ricerche in archivio per sapere se un giubileo fosse stato celebrato altre volte, ma non si trovò nulla. Finalmente, il 22 febbraio 1300, festa della Cattedra di San Pietro, il papa salì sull’ambone di marmo situato nella navata centrale della basilica e promulgò la bolla del Giubileo che fece depositare sull’altare maggiore della basilica. Il papa permise di poter ricevere le indulgenze anche retrospettivamente, dalla festa di Natale dell’anno precedente. I romani dovevano visitare le basiliche di San Pietro e di San Paolo una volta al giorno. Si trattava di un impegno gravoso che il papa dovette alleggerire il Giovedì Santo davanti «ad una moltitudine di fedeli » riunita sulla piazza del Laterano. Il Giubileo di Bonifacio VIII costituiva una novità storica, che conferiva alla città di Roma una nuova centralità, a soli nove anni dalla grande sconfitta di Acri (1291) che segnava un punto di arresto alle Crociate. Per l’Europa cristiana, con il Giubileo del 1300, Roma prendeva il posto di Gerusalemme.
Il secondo Giubileo (1350) rispettò il ritmo dei cinquant’anni, ma anche questa volta l’idea non venne dal papa. Clemente VI (1342-1352) fu convinto dai romani, aiutati da Petrarca che risiedeva allora alla corte papale di Avignone. Il ritmo di cinquant’anni conoscerà una sola interruzione, nel 1850 a causa delle turbolenze della Repubblica romana. Il papa era assente da Roma e vi fu portato dai Francesi soltanto il 12 aprile.
Già nel 1475 si tenne il primo giubileo con un ritmo di 25 anni. Il giubileo di Sisto IV (1471-1484) fu importante per la storia di Roma, ormai uscita definitivamente dalla crisi del Grande Scisma di Occidente durante il quale invece furono indetti due giubilei che non furono mai celebrati, uno nel 1390, il secondo nel 1423.
Il Giubileo del 1423 voleva riprendere quello che il primo papa romano dopo il lungo ‘esilio’ avignonese avrebbe voluto celebrare nel 1390, ossia dopo 33 anni, un numero che ricorda gli anni di Cristo. L’idea di celebrare un giubileo con un ritmo di 33 anni non andò però perduta. Anzi fu ripresa, con successo, ben due volte. Nel 1933 da Pio X (che aveva già celebrato un giubileo nel 1925) e cinquant’anni dopo da Giovanni Paolo II, nel 1983. Sono comunque giubilei che vennero ad intercalarsi nel ritmo dei venticinque anni che fu osservato dal 1475 in poi con pochissime eccezioni.
Il Giubileo del 1950, durante il quale Pio XII promulgò il dogma dell’Assunzione di Maria, lasciò il segno nella storia dei giubilei, perché costituì la prima grande occasione di mobilità per i fedeli cattolici in Europa, dopo la Seconda Guerra mondiale. Ma già per il primo giubileo cristiano, del 1300, Dante era stato impressionato da quell’ “essercito molto” di pellegrini che sul ponte di Castel Sant’Angelo, durante il Giubileo, si incrociavano andando o tornando da San Pietro. Straordinarie furono le folle di pellegrini per l’ultimo Giubileo, indetto da Giovanni Paolo II per l’anno 2000. Celebrato anche in Terra Santa, fu un evento mediatico impressionante. L’apertura della porta santa a San Pietro, il 24 dicembre 1999, fu vista in mondovisione. Così il giorno dopo, quando il papa aprì la porta santa di San Giovanni in Laterano, e il 1° gennaio 2000 quella di Santa Maria Maggiore.
*****
GIACOMO GALEAZZI, LA STAMPA -
L’obiettivo è rendere più evidente la missione della Chiesa: «Essere testimone della misericordia». Un cammino che richiede «una conversione spirituale». E così, nel secondo anniversario della sua elezione, Francesco annuncia a sorpresa il «Giubileo della misericordia». Un Anno Santo straordinario: dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016. Verrà aperta la Porta Santa, arriveranno a Roma milioni di pellegrini.
Intanto in un’intervista alla tv messicana Televisa, il Papa racconta che vorrebbe poter andare ancora in pizzeria senza esser riconosciuto e soprattutto confida l’impressione di avere poco tempo a disposizione. «Ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve. Quattro o cinque anni, ma potrei sbagliarmi». La rinuncia di Benedetto XVI è stata coraggiosa ma l’idea di dimettersi non gli piace. Il papato, infatti, è «una grazia speciale» senza il limite d’età dei vescovi diocesani. Francesco trasforma i 50 anni dalla chiusura del Concilio da commemorazione a spinta in avanti: l’8 dicembre prossimo inaugurerà un Anno Santo straordinario, per realizzare «una nuova tappa» nella «missione» della Chiesa di portare a tutti «il Vangelo della misericordia». La conversione evoca poveri, ultimi, periferie, parole chiave del pontificato.
L’annuncio è arrivato durante una liturgia penitenziale in San Pietro, e le sue parole sono state accolte da un applauso. E Bergoglio si è inginocchiato per farsi assolvere prima di essere lui a confessare per tre quarti d’ora. Parroco del mondo. L’Anno Santo sarà indetto il 12 aprile, la domenica della Divina Misericordia, con la pubblicazione della bolla, e inaugurato l’8 dicembre con l’apertura della Porta Santa della basilica vaticana. Si concluderà nella festa di Cristo Re. Ieri nell’omelia il Pontefice ha esortato a riconoscere la misericordia di Dio, per essere capaci di accogliere ognuno. La Chiesa in uscita. «Dio perdona tutto e tutti», ha ricordato. Se ne devono ricordate «in particolare i confessori». Bergoglio contrappone la figura della «pubblica peccatrice» a quella di Simone il fariseo. Chiede a laici e sacerdoti la capacità di riconoscersi bisognosi di conversione. Solo attraverso questa presa d’atto ci potrà essere riforma delle istituzioni e della Curia. Il Giubileo porterà a Roma almeno 25 milioni di persone. Una stima prudente considerato che Bergoglio è già il Papa delle grandi folle e nel viaggio nelle Filippine ha toccato un record storico per un evento pubblico, con 7 milioni di fedeli presenti alla messa di Manila. In realtà Francesco vuole un evento diffuso in ogni diocesi, non focalizzato solo sulla città eterna. Il prete antidroga don Vinicio Albanesi osserva come «Bergoglio non ha scelto di fare un’enciclica sulla pace o la giustizia, ma di indire un Giubileo». Dunque «è l’uomo il suo obiettivo, anche se sempre all’interno di un messaggio religioso». La notizia dell’Anno Santo è stata accolta con le campane a festa dai frati del Sacro Convento di Assisi. Nel segno del dialogo.
«L’annuncio del Giubileo è una buona notizia che il governo italiano accoglie con i migliori auspici - commenta il premier Matteo Renzi - L’Italia saprà fare la sua parte». Secondo il teologo della Pontificia Università Lateranense, Mauro Cozzoli la misericordia è il filo conduttore del magistero. «Misericordia è il cuore che si china su ogni miseria, fisica e morale. Il Papa non ha detto perché ha proclamato un Giubileo straordinario, ma può contribuire alla ricentratura sulla misericordia di tutto il pensare, l’essere e l’operare cristiano». Amare i poveri non è marxismo, è Vangelo. «La Chiesa non rifiuta nessuno», assicura l’ex prete di strada Bergoglio.
*****
DOMENICO AGASSO JR, LA STAMPA -
Cos’è un Giubileo?
Anticamente per gli ebrei era un anno dichiarato santo che cadeva ogni 50 anni, nel quale si doveva restituire l’uguaglianza a tutti i figli d’Israele, offrendo nuove possibilità alle famiglie che avevano perso le loro proprietà e la libertà personale. Adesso si chiama Giubileo universale. La Chiesa ne ha dato un significato più spirituale. Ora consiste in un perdono generale, un’indulgenza aperta a tutti. È l’anno della remissione dei peccati e delle pene dei peccati, della riconciliazione, della conversione e della penitenza sacramentale.
Cosa significa la parola «giubileo»?
Deriva dall’ebraico, «jobel» (o yobel), che vuol dire «caprone», in riferimento al corno di montone utilizzato nelle cerimonie sacre durante gli antichi giubilei.
Perché è chiamato Anno Santo?
Perché si svolge con solenni riti sacri, ma anche perché ha come obiettivo la santità degli uomini.
Cosa sono le indulgenze, e in particolare quelle giubilari?
Secondo la dottrina della Chiesa cattolica, il peccato grave ha una duplice conseguenza: la privazione della comunione con il Signore (pena eterna, l’inferno) e l’attaccamento malsano alle creature (pena temporale da scontare in purgatorio). Al peccatore pentito Dio, attraverso la confessione, dona il perdono dei peccati e la remissione della pena eterna. Con l’indulgenza la misericordia divina condona anche la pena temporale per i peccati confessati, aiuta a superare i disordini lasciati nell’uomo dal male commesso. L’indulgenza giubilare è detta plenaria perché è una grazia straordinaria che guarisce completamente l’uomo.
Come si può ricevere l’indulgenza giubilare?
Con un atteggiamento di distacco da ogni peccato. Confessandosi. Partecipando alla Messa. Con atti di carità e di penitenza: per esempio il pellegrinaggio a una delle Basiliche giubilari, a Roma, in Terra Santa e nelle chiese designate in ogni diocesi del mondo; l’astensione almeno per un giorno da fumo, alcool, e devolvendo ai poveri una somma di danaro proporzionata con le proprie sostanze.
Come inizia il Giubileo?
Il rito iniziale è l’apertura della porta santa. Si tratta di una porta che viene aperta solo durante l’Anno santo, mentre negli altri anni rimane murata. Hanno una porta santa le quattro basiliche maggiori di Roma: San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura e Santa Maria Maggiore. Il rito di aprire la porta santa esprime simbolicamente il concetto che, durante il Giubileo, è offerto ai fedeli un «percorso straordinario» verso la salvezza. Le porte sante delle altre basiliche verranno aperte successivamente all’apertura della porta santa della basilica di San Pietro.
Qual è il Giubileo cattolico più antico?
Fu promulgato da papa Bonifacio VIII nel 1300.
C’è un solo tipo di Giubileo?
No. Può essere: ordinario, legato a scadenze prestabilite (prima ogni 50 ora ogni 25 anni); straordinario; particolare, cioè limitato agli abitanti di una determinata città, provincia, o località.
Quando avviene quello straordinario?
Viene indetto per qualche avvenimento o motivo di speciale importanza, oppure quando qualche necessità viene percepita più forte e urgente.
Quando sono stati gli ultimi giubilei straordinari? E il primo?
L’ultimo si è aperto il 25 marzo 1983: lo promulgò Giovanni Paolo II per celebrare i 1950 anni dalla redenzione attuata da Gesù sulla croce nell’anno 33. Il penultimo era stato quello di Pio XI il 6 gennaio 1933 per lo stesso motivo. Il primo, invece, fu concesso da Sisto V nel 1585 per inaugurare il suo pontificato, tradizione continuata da diversi suoi successori.
Quando è stato l’ultimo Giubileo ordinario?
L’ha indetto Papa Wojtyla nel 2000.
*****
ANDREA TORNIELLI, LA STAMPA -
L’Anno Santo della misericordia annunciato ieri da Papa Francesco è un’iniziativa direttamente connessa con il messaggio più autentico del pontificato. Questo Giubileo straordinario, che inizierà l’8 dicembre, mezzo secolo dopo la chiusura del Concilio, è una sorpresa e al tempo stesso una logica conseguenza di quanto il Papa argentino ha cercato di comunicare in questi primi due anni. «Il messaggio di Gesù è la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore», aveva detto quattro giorni dopo l’elezione in un’omelia a braccio nella chiesa parrocchiale di sant’Anna in Vaticano. «Io credo che questo sia il tempo della misericordia», ha ribadito qualche mese dopo, sul volo di ritorno dal Brasile, nel luglio 2013. «La misericordia non è solo un atteggiamento pastorale, ma è la stessa sostanza del Vangelo», ha scritto in una lettera inviata lunedì scorso all’Università cattolica argentina.
Chiesa accogliente
Per Francesco, molto più che le riforme strutturali della Curia o delle finanze vaticane, è sempre stato centrale l’invito a testimoniare il volto di una Chiesa accogliente, che «facilita» la fede delle persone senza comportarsi come una «dogana». Una Chiesa «ospedale da campo», preoccupata di tamponare le ferite mortali, non di sottoporre il moribondo a troppi test specialistici per misurare quanto i suoi valori siano in regola con le norme della dottrina morale. Una Chiesa che va alla ricerca dei lontani, di chi ha perso la fede o di chi si è sentito rifiutato o incompreso. Una Chiesa che segue l’esempio di quel falegname di Nazaret, che duemila anni fa scandalizzava i benpensanti chiamando vicino a sé i peccatori, perdonando le prostitute, contaminandosi con il lebbroso messo ai margini della società, e spiegava di essere venuto per i malati, cioè i peccatori, non per i sani, cioè i giusti, che non hanno bisogno del medico. Anche ieri, nella breve omelia, pronunciata prima di inginocchiarsi lui stesso davanti a un confessore, Francesco ha ricordato che quello di Gesù è un «amore che va oltre la giustizia», va oltre quell’atteggiamento così diffuso tra i dottori della legge, tra certi uomini di religione. Quelli di duemila anni fa e quelli di oggi.
Guardare oltre
«Il richiamo di Gesù spinge ognuno di noi a non fermarsi mai alla superficie delle cose - ha detto il Papa - soprattutto quando siamo dinanzi a una persona. Siamo chiamati a guardare oltre, a puntare sul cuore per vedere di quanta generosità ognuno è capace. Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio; tutti conoscono la strada per accedervi e la Chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta. Le sue porte permangono spalancate, perché quanti sono toccati dalla grazia possano trovare la certezza del perdono. Più è grande il peccato e maggiore dev’essere l’amore che la Chiesa esprime verso coloro che si convertono». Questo è il cuore del messaggio di un Papa molto meno frainteso o male interpretato di quanto non si creda: lo attesta ad esempio il risultato di una ricerca condotta da Almawave su sette milioni e mezzo di twitter che nelle ultime settimane hanno discusso le sue parole: proprio la misericordia è risultata il tema centrale e percentualmente più rilevante. Francesco agisce con l’orizzonte di un missionario consapevole della scristianizzazione in atto nelle nostre società. Cerca di comunicare quale sia la natura del cristianesimo. Per arrivare ai lontani e toccare loro il cuore, non c’è altra via che l’abbraccio della misericordia. Come il Padre della parabola, che corre incontro al Figliol prodigo e lo stringe a sé, prima ancora di ascoltare le sue spiegazioni e la richieste di perdono per i sui suoi trascorsi dissoluti. Una misericordia così grande da provocare il risentimento dell’altro figlio della parabola, quello bravo, rimasto a casa a lavorare. Proprio come oggi fa irritare i fautori di una religione tutta Law & Order, abituati a usare la dottrina come una clava, indispettiti per l’insistenza con cui Francesco parla di «misericordia» e di «poveri» seguendo le orme di quel falegname di Nazaret.
*****
MARIO AJELLO, IL MESSAGGERO -
Il Giubileo è un momento meraviglioso. Oltre a quella religiosa, è una grande opportunità culturale, turistica, di mobilitazione sociale, di sviluppo urbano, di protagonismo di Roma sul palcoscenico del mondo che poi è quello che le è più naturale da tanti secoli a questa parte, ovvero da sempre.
Basti pensare - se non al Giubileo del 2000 che pure è stato un successo, a dispetto dei catastrofisti alcuni dei quali geniali come Alberto Ronchey - a quello del 1300, che significò per esempio sotto Bonifacio VIII il mega restauro della basilica di San Giovanni in Laterano con la nuova loggia delle benedizioni e con gli affreschi di Giotto (o giotteschi) e di Cimabue, poi andati perduti. O ancora: il Giubileo di metà del ’700 che proiettò su scala globale un’immagine della Chiesa sensibile a suo modo agli stimoli dell’illuminismo o comunque non tacciabile di oscurantismo e per certi aspetti - l’insistenza sulla carità di Benedetto XIV, che era stato cardinale Lambertini - somigliante alla Chiesa di Papa Bergoglio. Il successivo anno santo, quello del 1775, tornò alla pomposità e alla esteriorità dei secoli precedenti, ma vabbè.Il Giubileo è un momento paradigmatico della vita della Chiesa e in generale è capace di incarnare lo spirito del tempo. Quindi, va benissimo un Giubileo straordinario, come annunciato ieri da Francesco. Se non fosse che il carattere estemporaneo di questa notizia pone alcuni problemi pratici di preparazione all’evento, che al momento non parrebbero facilmente risolvibili. Per riuscire nell’impresa bisogna dare risposte istituzionali e di servizio all’altezza di un impegno non facile da improvvisare.
Basti vedere come sono stati colti di sorpresa dall’annuncio pontificale, fino ad esserne spiazzati, sia il governo sia il comune sia gli altri organi preposti all’organizzazione e alla gestione di un evento di questa portata. Mentre Francesco è stato ancora una volta Francesco - generoso e imprevedibile nel suo afflato spirituale - nell’annunciare questa festa planetaria di cui gli invitati e i promoter erano stati tenuti all’oscuro fino quasi alla vigilia, visto che l’8 dicembre è dietro l’angolo e le macchine organizzative per questo tipo di cerimonie avrebbero bisogno di un rodaggio se non lunghissimo almeno compatibile con l’importanza della questione. La quale non può prescindere da una evidenza che è questa: il Vaticano si trova in un contesto urbano chiamato Roma, non è un pianeta a sé, è giustamente e fortunatamente inserito in una metropoli abituata alla straordinarietà del proprio rango e della propria missione storica ma anche delicata nei suoi equilibri di vivibilità quotidiana, di mobilità, di sostenibilità di problemi specifici che hanno a che fare con il suo carattere di città universale ma anche con la sua normalità di moderna capitale di un importante Paese europeo. Ecco: ci si deve attrezzare a tempo debito per un Giubileo straordinario, che oltretutto va a cominciare a ridosso della fine di una kermesse imponente e impegnativa per l’Italia qual è l’Expo di Milano.
Non si deve avere paura dell’abbondanza, tutt’altro. Va invece garantita l’efficienza: questo, sì. E il tempo è prezioso per fare funzionare le cose come devono e per non trasformare una festa giusta in un ulteriore fardello sulle spalle di una città. Pensiamo per esempio all’aspetto finanziario. Per la santificazione dei due papi, Roncalli e Wojtyla, ma anche per tutto ciò che Roma fa di straordinario, compreso l’ospitare due cortei al giorno per istanze di tipo nazionale che scelgono la Capitale per manifestarsi, il sindaco Marino aveva detto che all’Urbe andrebbero riconosciuti degli extra-costi. Il discorso può valere anche per questo Giubileo di mid-term, che andrebbe finanziariamente supportato in maniera particolare? Una celebrazione di questo tipo non si improvvisa, perché vanno analizzati e risolti in anticipo i nodi legati al funzionamento dei servizi, della raccolta dell’immondizia, dei trasporti, dell’ordine pubblico e della sicurezza (quanti agenti? Quanti soldi per gli straordinari dei poliziotti?). Un aspetto, quest’ultimo, di profonda rilevanza in questa fase nella quale l’Isis dice di essere “a sud di Roma” e in cui il terrorismo punta al centro della cristianità come simbolo massimo della sua fanatica e distruttiva forza di espansione.
I cattolici tradizionalisti, alla Vittorio Messori, criticheranno questo Giubileo straordinario derubricandolo probabilmente a evento mediatico e a ulteriore passo verso la desacralizzazione da loro rimproverata a Francesco. E invece, come sosteneva Blaise Pascal, un momento come il Giubileo serve «a comunicare che una Verità esiste e si chiama Gesù Cristo». Su questo, non ci sono dubbi. I dubbi sono, per qualche aspetto, sul resto.
*****
FRANCA GIANSOLDATI, IL MESSAGGERO -
Il mio pontificato? «Ho la sensazione che possa essere breve. Quattro o cinque anni». Sulla sua morte, considerando il fatto che gode di buona salute, Bergoglio è un po’ fatalista e la deve pensare un po’ come Ratzinger. «Dio è l’eterno, mentre il tempo è un idolo, quando diventa oggetto di venerazione». Il copyright di questa frase appartiene a Benedetto XVI; venne pronunciata diversi anni fa, tuttavia potrebbe essere stata scritta e pensata dallo stesso Francesco, visto il suo stile spontaneo.
BUONA SALUTE
Ama la vita ma è pronto ad affrontare il passaggio cruciale consapevole che vi sarà una proiezione eterna, una vicinanza all’amore perfetto. Francesco non si angoscia. Parlando lo ha dimostrato diverse volte. Ciò che teme, invece, è il dolore fisico. Quello sì. Lui stesso ha confessato pubblicamente questo limite. «Non sono coraggioso». Ne ha parlato due volte, in due differenti momenti, sempre rispondendo ad una domanda sul pericolo di divenire un bersaglio dei terroristi islamici. Il momento storico è quello che è, l’allarme resta alto, i rischi sono concreti. Francesco si affida a Dio. «Sarà quel che sarà, l’importante è che se mai dovesse capitare non debba soffrire». L’idea della sofferenza fisica lo sgomenta. Ma non la morte.
L’ESEMPIO DI BENEDETTO
Quanto alle dimissioni, invece, pur restando all’orizzonte come ipotesi speculativa, non sembrano essere una opzione percorribile. «Farò quello che il Signore mi dirà di fare. Pregare, cercare di fare la volontà di Dio. Benedetto XVI non aveva più le forze, e onestamente, da uomo di fede, umile qual è, ha preso questa decisione. Settant’anni fa i vescovi emeriti non esistevano. Cosa succederà con i Papi emeriti? Dobbiamo guardare a Benedetto XVI come a un’istituzione, ha aperto una porta, quella dei papi emeriti. La porta è aperta, ce ne saranno altri o no, Dio solo lo sa. Io credo che un vescovo di Roma se sente che le forze vanno giù deve farsi le stesse domande che si è fatto Papa Benedetto».
La forza d’animo che possiede Bergoglio ha radici antiche, e risale a quando da ragazzo si è trovato di fronte alla malattia, al dolore fisico, alla possibilità di non tornare come prima. A 21 anni gli fu asportato un polmone.
L’INTERVENTO AL POLMONE
A due giornalisti argentini disse: «Furono tre giorni terribili tra la vita e la morte, tanta febbre. Abbracciavo mia madre e disperato chiedevo: ”Cosa mi succede?”. I medici erano sconcertati e lei non sapevano cosa rispondere. La diagnosi indicò una polmonite grave. Avevo tre cisti, la malattia venne controllata, passò un po’ di tempo e fui sottoposto ad un’asportazione della parte superiore del polmone destro». Probabilmente questa esperienza lo deve avere segnato.
NESSUNA RINUNCIA
In occasione del secondo anniversario del pontificato, in una intervista rilasciata a Televisa, la tv messicana, Francesco è tornato a precisare che non è sua intenzione lasciare. «Non mi piace pensare a un limite di età per il Papa». Insomma, sarà quel che sarà.
*****
MARCO POLITI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Papa Francesco si appella al popolo dei fedeli. Per l’8 dicembre ha indetto un giubileo straordinario. Durerà un anno e sarà dedicato alla “misericordia”. Non è stato un anniversario di routine, il secondo “compleanno” dell’elezione che cadeva ieri. In poche ore il papa argentino ha lanciato messaggi in tutte le direzioni. “La Curia è l’ultima corte d’Europa”, ha scandito in un’intervista alla giornalista messicana Valentina Alazraki dell’emittente Televisa. Poi ha soggiunto di avere la sensazione che il suo pontificato non sarà lungo: “Quattro o cinque anni. Non lo so. O due, tre. Ben due sono (già) passati… È come un piccolo vago sentimento”. Nel pomeriggio, celebrando un rito penitenziale in San Pietro – una scelta precisa per sottolineare il bisogno di umiltà permanente del papato e della Chiesa – Francesco ha annunciato il giubileo, che terminerà il 20 novembre 2016, come “nuova tappa” nel cammino della comunità ecclesiale. Indicando che la missione della Chiesa è di “annunciare il Vangelo della misericordia a ogni persona”.
Il peso dell’opposizione interna
Commenta Raniero La Valle, che in questi giorni ha pubblicato un libro intitolato significativamente “Chi sono io, Francesco?” (ed. Ponte delle Grazie), che l’accenno del Papa alla brevità del pontificato esprime l’ “urgenza del tempo messianico in cui bisogna fare scelte decisive… per la salvezza o la perdizione”. In termini laici appare evidente che di fronte all’aggressività crescente delle opposizioni cardinalizie e vescovili ai suoi progetti riformatori – si tratti dei divorziati risposati o del ruolo delle donne nella Chiesa, delle coppie omosessuali o del tema della povertà delle organizzazioni ecclesiastiche o della riforma della Curia – Jorge Mario Bergoglio non intende lasciarsi impantanare né dagli avversari aperti né dalla resistenza passiva di larga parte delle strutture istituzionali. Nessuno sa come andrà a finire questa fase tumultuosa di transizione, ma certamente il “politico” Bergoglio vuole rompere l’accerchiamento. Con la Curia la rottura è ormai totale. Dopo la denuncia natalizia delle 15 malattie curiali, fra cui l’“Alzheimer spirituale”, il Papa fa capire che lo spirito di corte e la presunzione di comandare sull’universo cattolico in nome di un autoritarismo monarchico appartengono al passato. Così come resta inadeguato il clericalismo, di cui sono imbevuti molti appartenenti alla casta clericale. Nell’intervista Francesco torna criticamente sul permanere del clericalismo e l’incapacità (la non volontà?) del clero di coinvolgere i fedeli. Con questi mondi ecclesiastici – a Roma e nei cinque continenti – l’atteggiamento del Papa è ormai di rottura. Al parlamento dei vescovi, il Sinodo del prossimo ottobre, i conservatori e i moderati intendono bloccare la svolta del pontefice verso una pastorale familiare e sessuale più comprensiva e misericordiosa? (Lo stesso Papa invita a non nutrire speranze eccessive sulla comunione ai divorziati risposati o sulle unioni omosessuali).
La mobilitazione popolare per sbloccare la gerarchia
E allora Bergoglio contrappone simbolicamente all’atteggiamento renitente e pauroso di gran parte della gerarchia, la convocazione giubilare di tutto il popolo cattolico e di quanti vogliono venire ad ascoltarlo, credenti di altre fedi e atei compresi. Ai nuovi farisei Francesco lancia la sfida dell’appuntamento di massa, che marcherà il 2016, martellando il concetto che “nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio, tutti conoscono la strada per accedervi e la Chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta”. Pochi giorni fa, parlando ai ciellini, aveva ribadito che la “via della Chiesa è di non condannare eternamente nessuno”.
Sta qui il fossato profondo tra un Papa, che presenta una Chiesa con le “porte spalancate” ai peccatori, e quanti invece si fanno scudo della dottrina per punizioni permanenti. È una linea di divisione come ai tempi di Giovanni XXIII: di qua il pontefice dell’ “aggiornamento” conciliare, di là i profeti di sventura.
Il consenso per il Papa argentino è altissimo. Famiglia Cristiana riporta un sondaggio Demopolis che lo da al 93 per cento tra i cattolici e al 70 per cento tra atei e seguaci di altre confessioni. Negli Stati Uniti il Pew Research Center rivela che mai nella storia tanti americani sono stati tanto favorevoli a un pontefice a prescindere dall’origine etnica, dalle opinioni politiche, dal legame con l’istituzione ecclesiastica. Ritanna Armeni, giornalista storica del Manifesto, atea, che collabora all’inserto sul tema-donna dell’Osservatore Romano, coglie dal suo versante la particolarità di Bergoglio: “ Lui parla all’umanità, la sua Chiesa è di tutti”.
“Non mi piace viaggiare, nè prima nè ora”
Ma nonostante lo slancio profetico il Papa argentino non nasconde tutta la sua normalità. “Non mi piace viaggiare, come prima non mi piaceva venire a Roma”, confessa a Televisa. Gli pesa non potere andare qualche volta in una pizzeria romana senza essere riconosciuto.
Non manca un elogio per l’atteggiamento italiano verso gli immigrati. “L’Italia è stata molto generosa. Dobbiamo dirlo, no?”.
******
GIORGIO MELETTI, IL FATTO QUOTIDIANO -
All’annuncio dell’Anno Santo straordinario per il prossimo 8 dicembre converrà che i cittadini romani e gli italiani tutti di ogni fede, atei e agnostici compresi, evitino ogni sospetto di blasfemia raccogliendosi in preghiera. Perché, se ci si lasciasse andare a pensieri più sbarazzini, potrebbe venire il sospetto che il ridanciano Jorge Bergoglio abbia sfoderato uno scherzo beffardo. Di tutto Roma avrebbe bisogno, in questo momento, tranne che di un grande evento a distanza ravvicinata. E il Papa, che legge i giornali e parla con Scalfari, sa benissimo che nella terra dei suoi avi c’è bisogno di tempo per preparare per bene le mangiatoie, e non quelle del presepio.
Non a caso i suoi predecessori pensarono fin dal secolo scorso a cadenzare con regolarità i Giubilei, cosicché quello indimenticabile del 2000 era già in agenda prima della nascita della Dc, che pure non lo vide. E invece proprio adesso che stiamo appena cominciando a preparare la candidatura dei Roma alle Olimpiadi 2024, pronti a cogliere l’opportunità delle sinergie con il Giubileo 2025, arriva la tegola. E in così poco tempo come si fa a programmare grandi opere, cordate, spartizioni e tangenti? Guardate l’Expo di Milano. È vero che a poche settimane dall’inaugurazione siamo ancora in alto mare, ma per questo risultato il sistema ha tessuto per anni accordi e quote, acquisto di terreni e affidamento lavori, secondo un pensiero pratico che la pur sottile cultura gesuitica di Bergoglio sembra non padroneggiare: l’importante non è fare le cose ma spendere i soldi pubblici.
Bisogna dunque correre ai ripari. Si richiami in pista Francesco Rutelli. Da sindaco di Roma, nel 1995 annunciò che per il Giubileo 2000 avrebbe completato la Metro C dal Colosseo a San Pietro. Sono passati esattamente vent’anni e la nuova metropolitana è appena arrivata a Centocelle: mancano solo 17 chilometri, in otto mesi ce la possiamo fare, in fondo l’errore di allora fu che si presero troppo tempo, cinque anni, e si sa che gli italiani danno il meglio di sé solo nelle emergenze. Si richiami subito Luigi Zanda, l’uomo a cui Rutelli affidò i lavori preparatori del Giubileo 2000, con circa 6 miliardi di euro da spendere, tanto che Zanda mollò il posto di capo del Mose, dove i miliardi da spendere erano solo 5, dicendo che a Venezia la sua missione era compiuta. In realtà il Mo-se non è ancora finito, ma soprattutto il gruppo Pd al Senato che oggi dovrebbe lasciare fa molta più acqua della Laguna con l’alta marea: si affretti.
Può darsi che sia proprio l’aria di Anno Santo ad aver consigliato a Matteo Renzi la scelta di Franco Gabrielli – oggi a capo della Protezione civile – come prossimo prefetto di Roma al posto di Giuseppe Pecoraro, l’uomo che ha appreso dai giornali dell’esistenza di un fenomeno chiamato Mafia Capitale. Ma perché scomodare uno che dicono faccia bene alla Protezione civile? Si potrebbe rimettere in pista Guido Bertolaso, l’uomo in grado di gestire lo sperpero di denaro pubblico in due posti diversi (La Maddalena e L’Aquila) per un solo evento, il G8 del 2009. E par di sentirlo, Bergoglio, divertito dal suo scherzo: “Se torna Bertolaso, io rinomino Bertone”.
Ma soprattutto, ricordiamoci che l’Anno Santo è sempre accompagnato da richieste di clemenza per i carcerati, puntualmente disattese dalle istituzioni. Per questa volta facciamo uno strappo: scarceriamo immediatamente Massimo Carminati “er Cecato” e Salvatore Buzzi. Sono ancora dentro tutti e due, e fare un grande evento a Roma senza di loro, ricorrendo a cooperative sconosciute e magari oneste, non solo metterebbe in difficoltà la classe politica romana che è notoriamente abitudinaria, ma sarebbe per i due capi di Mafia Capitale una crudeltà inaudita: peggio del 41 bis.
*****
CARLO MARRONI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Un biennio vissuto cercando in ogni momento di ritornare alle periferie del mondo, ma che lo ha visto costretto a lottare molto dentro le mura leonine per riformare a fondo una Curia romana percorsa da lotte interne. Ma ora Francesco, con l’annuncio a sorpresa di un Giubileo straordinario sulla misericordia imprime una nuova forte accelerazione pastorale al pontificato che sta cambiando la storia della Chiesa.
Erano passati appena quattro giorni dalla sua elezione in quella sera piovosa del 13 marzo 2013, quando Bergoglio nella piccola chiesa di Sant’Anna, la parrocchia del Vaticano, disse «umilmente, che il messaggio di Cristo è la misericordia».
Erano passati appena quattro giorni dalla sua elezione in quella sera piovosa del 13 marzo 2013, quando Bergoglio nella piccola chiesa di Sant’Anna, la parrocchia del Vaticano, disse «umilmente, che il messaggio di Cristo e’ la misericordia». Una delle parole-chiave, assieme alla povertà, di una missione universale che ha ridestato il popolo dei fedeli, che affascina i laici e seduce le altre religioni, ma che alimenta anche l’opposizione dalle file dei tradizionalisti e i conservatori, gli autoproclamati «autentici difensori» della fede. Bergoglio ha detto ieri di essere convinto che il suo sarà un pontificato breve, anche se non pensa affatto a dimettersi, almeno finché le sue condizioni fisiche (che sono buone) glielo permetteranno. Quindi il tempo stringe, e la sua agenda è chiara: la Chiesa ha come missione la misericordia, senza se e senza ma. Non c’è molto spazio per riflessioni identitarie, e anche le prospettive date da Benedetto XVI, come la guerra al relativismo o l’incontro tra fede e ragione, restano nei “programmi” ma finiscono sullo sfondo. L’anno santo sulla misericordia va a saldarsi con l’iniziativa presa più di un anno fa sulla famiglia: dopo quello straordinario questo è l’anno del Sinodo ordinario, e i nodi torneranno al pettine della dottrina, oltre che della pastorale.
*****
MARCO RONCALLI, AVVENIRE -
L’indizione di un Anno Santo straordinario – il Giubileo della misericordia preannunciato ieri da papa Francesco che si aprirà nella prossima solennità dell’Immacolata Concezione (nel 50° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II), e si concluderà il 20 novembre 2016 (domenica di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo) – è una notizia che sì sorprende, ma fino a un certo punto. Infatti, se c’è un leit motiv che attraversa ininterrottamente i primi due anni di pontificato di Francesco (che già da vescovo aveva scelto come suo motto Miserando atque eligendo) è proprio quello della misericordia. «Questa parola cambia tutto », aveva detto nel primo Angelus dopo l’elezione. Non solo. Già l’anno scorso papa Bergoglio aveva fatto capire definitivamente il suo pensiero canonizzando Giovanni XXIII, il Papa che l’11 ottobre 1962 nella Gaudet Mater Ecclesia aveva dichiarato: «La sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore... ». Poi più volte ha richiamato Paolo VI e l’apertura all’ascolto e alla prossimità delineate nell’Ecclesiam Suam, ben convinto – come diceva ai parroci romani giusto un anno fa – che questo «nostro tempo » è «proprio il tempo di misericordia». E ancora all’inizio di quest’anno ribadiva: «Questo è il tempo della misericordia. È importante che i fedeli laici la vivano e la portino nei diversi ambienti sociali!». Soprattutto, però, papa Francesco non ha mai perso occasione per continuare a indicarci il Gesù mandato dall’Abbà «a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» ( Luca 4, 18-19). Ecco allora l’inatteso ma logico approdo a un Anno Santo della misericordia nella proposta di un Pontefice che vuole una Chiesa «isola di misericordia», che interpreta questo bisogno diffuso di misericordia nelle comunità cristiane e lo colloca nella cornice di un tempo di riconciliazione, riprendendo l’idea di un Giubileo straordinario – affidato al Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione – nella scia degli «Anni del perdono», della remissione dei peccati e delle pene per i peccati, come pure della solidarietà, della speranza, della penitenza sacramentale. La storia della Chiesa degli ultimi sette secoli è costellata di Anni Santi: ordinari e straordinari. Quelli ordinari sono legati a scadenze prestabilite ogni venticinque anni (ne sono stati celebrati ventisei, il primo nel 1300 l’ultimo nel 2000). I secondi invece sono stati indetti in occasione di avvenimenti particolari, per ottenere un aiuto divino in momenti difficili della Chiesa o in occasioni solenni, a partire dal XVI secolo. Celebrati per oltre una novantina di volte nel corso del tempo e di durata variabile, i Giubilei straordinari sono anelli di una catena che arriva al Novecento. Sono Giubilei straordinari – anche se vengono assimilati ai 26 ordinari – l’Anno Santo del 1933 indetto da Pio XI per il XIX centenario della redenzione, e quello del 1983 indetto da Giovanni Paolo II per i 1950 anni della redenzione. Due Anni Santi della redenzione, che hanno avuto valore universale, sono durati un intero anno e sono stati accompagnati dall’apertura delle Porte Sante. Giovanni Paolo II parlò di forti motivazioni che lo avevano spinto a questa proclamazione: fra queste la volontà di sottolineare la centralità del mistero della redenzione come motore della fede e il desiderio di aprire il cammino della Chiesa verso il Terzo Millennio. Se possiamo ormai sostenere che l’idea del Giubileo cristiano, nelle sue motivazioni di liberazione e nella sua cadenza temporale, abbia profonde radici nelle antiche culture del Vicino Oriente, nella Bibbia, nella storia del popolo ebraico – che nel capitolo XXV del Levitico viene incoraggiato a far suonare il corno ( Jobel) ogni quarantanove anni per richiamare ( Jobil) la gente di tutto il paese, dichiarando santo il che che, sin dalle origini, è stato il popolo a precedere di poco la gerarchia della Chiesa «inventando» il primo Giubileo cristiano. Ed è ancora il popolo a scrutare per primo i segni del perdono e a credere in quelle indulgenze che poi la Chiesa ha codificato e disciplinato.
Quali saranno le linee e poi le reali declinazioni del nuovo Anno Santo della misericordia preannunciato ieri dal Papa è troppo presto per dirlo. Certamente qualcosa si saprà con la lettura presso la Porta Santa della Bolla di indizione, nella domenica della Divina Misericordia, quella successiva alla Pasqua. Nei fatti ancora una volta si riapre un tempo di grazia che ci metterà davanti le nostre debolezze, la nostra lontananza da Dio, ma anche le possibilità di una piena riconciliazione. E un tempo di grazia che si prefigura già come «una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia».
*****
STEFANIA FALASCA, AVVENIRE -
Lei, eminenza, come ha accolto l’annuncio del Papa?
La notizia dell’indizione di un «Anno Santo della misericordia» ha nel cardinale Walter Kasper un interlocutore privilegiato, per più di un motivo.
È un annuncio importante. ’È un cammino – ci ha detto il Papa – nel quale dobbiamo andare’. Vuol dire anche un anno per riconsiderare il sacramento della Riconciliazione, e questo è importante perché oggi è un po’ dimenticato mentre è il sacramento che ci rimette in piedi per camminare, per cominciare sempre di nuovo. «Cominciamo, finalmente»: lo disse san Francesco prima di morire. Con la misericordia ci sono sempre inizi che non hanno mai fine. L’Anno Santo è importante anche per aprire gli uomini al desiderio della misericordia. L’inferno è non avere bisogno di Dio.
Nel suo primo Angelus, il 17 marzo di due anni fa, il Papa citò proprio il suo libro sulla misericordia. A lei cosa disse?
Per lui la misericordia era già un tema molto importante. Da vescovo aveva scelto per il suo stemma episcopale il motto «Miserando atque eligendo». Quando gli diedi la traduzione spagnola del libro lui lesse il titolo – Misericordia – e mi disse: «Ah, ecco il nome del nostro Dio!». Per papa Francesco il messaggio della misericordia sta al centro del Vangelo, è un tema che è diventato la parola chiave del pontificato. E lui lo va continuamente riprendendo, fin dal primo giorno. Ci ha detto ripetutamente: la misericordia di Dio è infinita, Dio non si stanca mai di essere misericordioso con ciascuno, purché noi non ci stanchiamo di implorare la sua misericordia. Ripetendo questa parola chiave egli ha colpito al cuore innumerevoli persone, dentro e fuori la Chiesa.
Lei ha ampiamente trattato questo come un tema biblico centrale...
Sì, nel Nuovo Testamento è fondamentale. La misericordia di Dio è nel messaggio di Gesù, dalla parabola del Samaritano al discorso di Gesù sul giudizio universale, quando conteranno solo le opere di misericordia.
Lei ha scritto che la teologia ha trascurato questo tema. Perché?
Perché l’ha ridotto a semplice sottotema della giustizia. Tommaso d’Aquino dice che Dio non è vincolato alle nostre regole di giustizia. Dio è sovrano, è giusto rispetto a Se stesso, essendo amore. Poiché Dio è amore, e in questo è fedele a se stesso, egli è anche misericordioso. La misericordia dunque è fedeltà di Dio a se stesso ed espressione della sua assoluta sovranità nell’amore. La misericordia è la fedeltà di Dio alla sua alleanza e la sua incrollabile pazienza con gli uomini. Nella sua misericordia Dio non abbandona nessuno: dà a ciascuno una nuova opportunità e un nuovo inizio, se si è disponibili a cambiare vita. Il comandamento della misericordia vuole quindi che la Chiesa non renda difficile la vita ai credenti e non faccia diventare la religione una forma di schiavitù. La misericordia, come sostiene Tommaso ricollegandosi ad Agostino, vuole che noi siamo liberi dai gravami che ci rendono schiavi: «È il fondamento della gioia che il Vangelo ci dona», afferma il Papa nella Evangelii gaudium.
Con questo messaggio il Papa in che rapporto si pone con i suoi predecessori?
Francesco è in continuità con i Papi che l’hanno preceduto, con la tradizione e con molti santi. Anche per Giovanni XXIII la misericordia è la più bella delle proprietà di Dio: nel suo famoso discorso di apertura del Concilio Vaticano II esortò la Chiesa a non usare più le armi della severità ma la medicina della misericordia. In tal modo Roncalli indicò la tonalità di fondo del nuovo orientamento pastorale conciliare e post-conciliare. In Giovanni Paolo II il messaggio della misericordia è nato dalla sua esperienza dell’orrore davanti alla seconda guerra mondiale, perciò ha dedicato a questo tema la sua seconda enciclica, la Dives in misericordia. Poi, accogliendo l’impulso del messaggio di suor Faustina Kowalska, ha stabilito che la prima domenica dopo Pasqua fosse celebrata come festa della Divina Misericordia. Benedetto XVI ha continuato a sviluppare il tema approfondendolo teologicamente nella sua prima enciclica Deus caritas est. Papa Francesco, come i suoi predecessori, lega novità e continuità considerando la misericordia una realtà in cammino, un concreto programma pastorale.
Lei ha parlato del fondamento nella Scrittura e nella Tradizione, ma il discorso del Papa sulla misericordia ad alcuni appare sospetto quando si tratta della concreta applicazione pastorale...
Perché si confonde misericordia con un laissez-fairesuperficiale, con una pseudo- misericordia, e c’è chi sentendo parlare di misericordia subodora il pericolo che in tal modo si favorisca un’arrendevolezza pastorale e un cristianesimo light, un essere cristiani a prezzo scontato. Si vede così nella misericordia una specie di ammorbidente che erode i dogmi e i comandamenti e svaluta il significato centrale e fondamentale della verità. Questo è un rimprovero che nel Nuovo Testamento i farisei facevano anche a Gesù, ma la Sua misericordia li portò a un tale livello di incandescenza che decisero di farlo morire. Siamo però di fronte a un grossolano fraintendimento del senso biblico profondo della misericordia, perché essa è allo stesso tempo una fondamentale verità rivelata e un comandamento di Gesù esigente e provocante.
Ma la verità può essere in contrapposizione con la misericordia?
La misericordia è in intimo rapporto con tutte le altre virtù rivelate e i comandamenti. Non può perciò, se rettamente compresa, mettere in discussione la verità e i comandamenti. Non elimina neppure la giustizia ma la supera: è la giustizia più grande, senza la quale nessuno può entrare nel regno dei cieli (Mt 5,20). Mettere la misericordia contro la verità o contro i comandamenti, e porli tra loro in opposizione, è perciò un non senso teologico. Nella gerarchia delle verità è invece corretto intendere la misericordia – la proprietà fondamentale di Dio e la più grande delle virtù – come principio ermeneutico, non per sostituire o scalzare la dottrina e i comandamenti ma per comprenderli e Quali sono le conseguenze di questo principio per la vita cristiana?
La misericordia di Dio non è un discorso retorico bello quanto innocuo, non serve per cullarci dentro la tranquillità e la sicurezza ma è una sfida che ci mette in moto. Vuole che le nostre mani e soprattutto i nostri cuori si aprano. Se realizzarli nel modo giusto, secondo il Vangelo.
Cosa intende parlando di misericordia come «principio ermeneutico»?
Che non altera i contenuti validi ma cambia la prospettiva e l’orizzonte entro il quale essi vengono visti e compresi. È ciò a cui faceva riferimento Paolo VI quando, nel discorso durante l’ultima sessione del Concilio Vaticano II, indicò l’esempio del Samaritano misericordioso come modello della spiritualità del Concilio. Con questa parabola Gesù voleva rispondere alla domanda su chi è il mio prossimo. E la sua risposta parte dalla situazione umana reale: il prossimo è colui che tu incontri, che in una concreta situazione ha bisogno del tuo aiuto e della tua misericordia, sul quale ti devi chinare e le cui ferite devi fasciare. È lui che diventa per te il criterio per interpretare la concreta volontà di Dio.
Gesù dice ’siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso’ questo ha importanti conseguenze sulla conformazione della vita cristiana attraverso opere di misericordia corporale e spirituale. Significa, ad esempio, avere un cuore per i poveri – intesi nel senso più ampio –, un fatto che ha conseguenze sull’etica cristiana e specialmente su quella sociale. Se poi dobbiamo essere misericordiosi come è misericordioso il Padre nostro celeste, allora ciò vale non solo per il singolo credente ma anche per la Chiesa. Le conseguenze, perciò, riguardano in primo luogo la comprensione e la prassi della Chiesa.
Ecco, appunto: cosa comporta questo, concretamente, per la Chiesa?
Comporta che essa è e deve essere il sacramento, cioè il segno e lo strumento della misericordia di Dio. La Chiesa è sotto il primato della grazia: ’Il Signore ci precede sempre con il suo amore e la sua iniziativa’ – come afferma Francesco nell’Evangelii gaudium– e attraverso ’il suo Spirito ci attrae a sé non come singoli isolati ma come suo popolo’. La Chiesa deve essere perciò il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possono sentirsi incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo.
*****
MARINA CORRADI, AVVENIRE -
Un Anno Santo della Misericordia, ha annunciato il Papa nell’anniversario della sua elezione – caduto in un venerdì di Quaresima, con Francesco in San Pietro, a confessare e assolvere. Un anno di misericordia, parola che questo Papa ci ripete da due anni tenacemente, come un martello che batta su un chiodo perché si infigga nel legno. Misericordia, cioè compassione del cuore, o, nella radice ebraica, ’con viscere materne’; sguardo di madre, che sempre perdona.
Francesco di questa parola ha fatto la colonna del suo pontificato. La goccia che instancabilmente scava la pietra. (La pietra siamo noi, se abbiamo in mente un Dio semplicemente ’buono’, o buonista, oppure ’giusto’, o, peggio, pronto al castigo). Ma questa misericordia è così immensa, che ci sfugge. E Francesco, cocciutamente ce la ridice. E anzi ne fa il centro di un Giubileo, perché la Chiesa domandi la misericordia di Dio, e la porti al mondo. Un mondo terribilmente senza pace e senza giustizia, eppure casa dell’uomo, luogo della bellezza e patria sempre possibile del bene. Ma cos’è, questa misericordia? Nessuno può spiegarlo, come chi l’abbia sperimentata. E Bergoglio nell’intervista ’inaugurale’ a padre Spadaro su ’Civiltà cattolica’ proprio questo aveva raccontato: di essere uno che è stato «guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l’ho sentito sempre come molto vero per me». (Quel motto significa: guardando con compassione e scegliendo), E proseguiva, Francesco, raccontando come andasse spesso, di passaggio a Roma, a San Luigi dei Francesi, a contemplare la vocazione di Matteo del Caravaggio. «Quel dito di Gesù così… verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo», spiegava Bergoglio.
Il Matteo di quel quadro, nella interpretazione del Papa, non è, come sostengono i critici d’arte, il vecchio con la barba, ma il ragazzo col volto cupo e chino su un mucchio di denari. Quello è il giovane immiserito e prigioniero che Cristo guarda con misericordia, e sceglie, e chiama. E il Papa ha detto a Spadaro: io sono così, così mi sento, «un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi».
Non è, questo sguardo, qualcosa di cui tutti abbiamo memoria. Non succede ai cristiani abituati, ai distratti, a quelli che credono di non avere niente da farsi perdonare. Succede, nel Vangelo di Luca letto ieri in San Pietro, alla pubblica peccatrice che si getta ai piedi di Cristo; ma non all’onesto fariseo, capace solo di un amore formale. Lo sguardo di Cristo sul pubblicano Matteo è capace di una così incommensurabile pietà per quel ragazzo triste sui suoi poveri denari, che Cristo lo sceglie: «Tu, seguimi».
F rancesco, è uno che ha provato su di sé quello sguardo, e vorrebbe che gli altri lo provassero. Perciò ostinatamente sulla misericordia torna, come sulla chiave, sul principio di tutto. Lo ha fatto anche una settimana fa con Comunione e Liberazione: «Il luogo privilegiato dell’incontro con Gesù Cristo è il mio peccato. È grazie a questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere e di cambiare, e che può scaturire una vita diversa. La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, di chi decide di essere coerente (...), La morale cristiana è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura ’ingiusta’ secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso».
Uno che ci conosce, e ci vuole bene lo stesso. A questo chiama il Papa che camminava per le Villas Miseria, l’uomo di Dio che vuole una Chiesa come un «ospedale da campo », profondamente conscio del male che gli uomini fanno e subiscono, e non sanno perdonare. Francesco chiama i confessori a essere misericordiosi e la Chiesa a un anno della misericordia, quella da cui «nessuno, nessuno è escluso», ha detto ieri in San Pietro, alzando lo sguardo dal testo scritto e cercando le facce della gente – come quando l’ansia di dire è tale, che occorre guardarsi negli occhi.