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 2015  marzo 13 Venerdì calendario

I TURBAMENTI (GENOVESI) DEL GIOVANE GREEN


Prosegue ineffabile l’olimpiade dedicata al recupero d’opere d’antan. D’altra parte, con il disciogliersi d’ogni talento, nella palude editoriale che corre impunita dietro al «mercato» (bella scusa per pubblicare le più corrive pagine d’ogni scrivente improvvisato, con emersioni di assoluti «capolavori» d’autori sempre «eccezionali»), l’unica speranza sembrano essere riesumazioni archeologiche. Ripescaggi d’opere sulle quali si è assopita la memoria. Ed allora ecco il ritorno di un’opera prima di un cursus mirabile, osannata al suo apparire a Parigi, chez Gallimard, nel 1926. Un successo decretato da gente dal nasetto fine come Jean Cocteau e sicuri intenditori tipo Gide, Bernanos, Mauriac, Malraux. Se è poco. E furono questi lettori d’impronta certa a lanciare l’allerta per il manifestarsi di un capolavoro di scrittura come Le Voyageur sur la terre di Julien Green, riproposto oggi ( Viaggiatore in terra, Nutrimenti, pp. 224, euro 17) in rinnovata versione italica, con aggiunta di tre racconti poco noti, ricondizionata da una nuvola di traduttori (G. Girimondi Greco, F. Scala, E. Sinigaglia, F. Tuena) e altrettante note e postfazioni che ricostruiscono la genesi del chef d’oeuvre: i contorcimenti esistenziali, estetici e omo del giovane autore, in bilico tra due continenti, l’America e l’Europa, il suo bilinguismo, le vicende familiari, i fidanzati abbandonati con inconfessabili strazi, le infatuazioni. Indimenticabili. I commentatori della presente edizione sono giustamente andati a ritrovare gli «elementi ispiratori» di questo clamoroso esordio di Green, profeta dell’inattuale, più tardi celebrato autore di Adrienne Mesuraut, Veruna... e di un infinito Journal, summa tra realtà, irrealtà, erranti fatalità. «Sia che agiscano nella Virginia» si apprende dalla presentazione dell’attuale versione del Viaggiatore in terra «o in una Francia rurale, o in un piroscafo in navigazione, i protagonisti di queste storie sono tutti in qualche modo strappati dal loro ambiente familiare e scaraventati in un mondo ostile dove vengono a contatto con l’essenza del mistero...».
Ed è a tutti i materiali individuati dai postfatori che qui si aggiunge un’addenda. Connessa proprio al tempo di formazione e delle prime esperienze letterarie del giovane Green.
L’autore di una ventina di romanzi, saggi e drammi, aveva consegnato al suo Journal (1928-1978) le impressioni dei numerosi viaggi in Europa, Stati Uniti e Asia. Non sono poche le pagine, fervide d’ammirazione, dedicate all’Italia, dove Green soggiornò più volte, anche per lunghi periodi. A una città, Genova, cui fu legato particolarmente, alla data 8 aprile 1935, sono riservate soltanto sei righe: «A Gênes. Tout a l’heure, comme je revenais dall’eglise Sainte-Marie de Carignan, j’ai senti la tristesse écrasante de l’Italie, tristesse incompréhensible, puisque l’italien est gai. Pourquoi ces petites rues bruyantes provoquent-elles en moi une mélancolie si singulière?». Unica concessione alla «normalità» aver assistito alla rappresentazione di Boheme al Teatro Carlo Felice. Scrivendo quell’impressione Green doveva essere stato assalito dal ricordo di molti anni avanti quando aveva trascorso un non breve periodo proprio a Genova, il tempo in cui stava sperimentando la sua formazione letteraria che lo avrebbe portato all’opera d’esordio.
A Genova, dal 1914, viveva una delle sorelle di Julien, Eléanore, sposata a un inglese, Kenneth Joll, trasferitosi nella grande città di mare per ragioni professionali. Abitavano in via della Crocetta, una casa multicolore che dalla collina ancora si affaccia sul paesaggio. Dall’alto guarda verso la valle del Bisagno, il turbolento torrente sulle cui sponde si slarga il cimitero di Staglieno, proprio in vista dalla casa dove, nel 1916, il giovane Julien soggiornò. E fu proprio a Genova che Green ebbe per la prima volta «coscienza del peccato». Non esitando a definire quel tempo come «il più singolare» della sua vita. Era allora sulla soglia dei sedici anni. La madre morta da poco. Delle cinque sorelle, due erano infermiere della Croce Rossa, una in America, un’altra a Roma. Julien restava tutto il giorno solo nel deserto appartamento parigino di rue Cortambert. Convalescente da una sia pur non grave malattia, il padre pensò d’inviarlo a passare una parte delle vacanze da Eléonore, la quinta sorella, proprio quella che con il marito si era stabilita a Genova. Era la prima volta che il ragazzo usciva dalla Francia e della Francia non conosceva che Parigi e i suoi dintorni.
Arrivato a Genova, al primo sguardo, le colline gli erano apparse «di una bellezza esaltante». Di quei giorni resta la testimonianza da lui confidata molti anni dopo a un amico genovese, Antonio Mor: «Da piazza Corvetto m’arrampicai per l’interminabile via Assarotti, in cima alla quale c’era una scala che conduceva a un ponte. Attraverso il ponte, m’inoltrai in un viottolo, via della Crocetta. Trascinandomi dietro una valigia piena di libri, suonai al numero 17. All’ultimo piano mi attendeva Eléonore. L’appartamento era vasto, con i pavimenti di marmo, coi muri intonacati. Le persiane verdi conservavano gelosamente nella casa la penombra e il fresco, che v’era racchiuso come un tesoro fin dalle prime ore del mattino. Mi diedero una camera che mi affascinò; infatti mi era sufficiente gettare uno sguardo tra le fenditure delle persiane per vedere che avevo ai miei piedi l’intera città». La vista delle circostanti colline «simili a spalle di gigante sotto il cielo azzurro» lo empiva di «una emozione straordinaria che lo faceva delirare», facendolo piombare «in uno stato prossimo alla follia».
Il tempo passato a Genova segnò per lui l’inizio di una strana ebrietà, che doveva accompagnarlo per tutta la giovinezza. Per strada, con intimi ardori, scrutava sconosciuti coetanei. Nella sua mente si trasfiguravano in sensuali e conturbanti principi italiani del Rinascimento. Scriveva racconti ambientati a Genova. Uno dei suoi eroi, un giorno di bufera, si gettava dal terrazzo della casa di via della Crocetta e cadeva tra le tombe di Staglieno.
Ogni fine settimana, con la sorelle e il cognato, Julien lo passava a Nervi, cittadina rivierasca, ospite nella villa di certa Mrs. Kreyer. A Nervi lo aspettava la fatale seducente tentazione. Nella villa di Mrs. Kreyer c’era una stanza il cui accesso era vietato. La stanza stava proprio di fronte a quella a lui destinata. Era lo studio del padrone di casa. Calato il silenzio, trovato il momento propizio, Julien si intrufolava in quel mondo dove il segreto dei libri gli svelò, attraverso l’oscenità esibita di illustrazioni proibite, l’ancora per lui sconosciuta seduzione della carne. Era l’iniziazione al mondo della trasgressione, percepita fin allora tramite imperscutabili fremiti. La ferinità del peccato.
«Da quei giorni fui preso da una grande inquietudine. Mi venne l’idea che Dio mi avesse sorpreso nella biblioteca del signor Kreyer. Provai la vertigine dell’orrore». Da quel 1916, tra l’appartamento di via della Crocetta, la biblioteca della villa di Nervi, le conturbanti – immagini dei libri, negli ancora inconsci impulsi dell’adolescente, si fissano le dissonanti ispirazioni dello scrittore in formazione. Lacerazioni sulle quali si andrà formando un’intera opera letteraria. Ombre e personaggi, «modelli» affioranti da Le Voyageur sur la terre, intanto.