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 2015  marzo 13 Venerdì calendario

IL PROSSIMO RE SAUDITA? NAYEF, UN BAMBINO DI 55 ANNI


Nell’agosto del 2009 un militante di primo piano di Al Qaeda nella Penisola arabica (Aqap) fece arrivare un messaggio ad uno dei palazzi più grandi di Jedda, la capitale economica dell’Arabia Saudita: era pronto a consegnarsi ai sauditi e a collaborare con loro. L’inquilino del palazzo non si fece sfuggire l’occasione: mandò il suo jet privato a recuperare il pentito e lo attese nel suo studio. Quando l’ospite arrivò venne portato al cospetto del principe: entrò nella stanza e attivò l’esplosivo che aveva nascosto nel retto. Saltò in aria immediatamente ma l’obiettivo dell’attentato, sua altezza reale Mohammed bin Nayef, capo dell’anti-terrorismo, si salvò.
A quasi sei anni da quel giorno, il nome di Mohammed Bin Nayef è diventato noto in tutto il mondo: a fine gennaio, quando è arrivata la notizia della morte di suo zio, re Abdullah, 90 anni, e della conseguente ascesa sul trono del fratello Salman, 79 anni, è stato sul principe, più ancora che sul nuovo monarca, che si è concentrata l’attenzione degli analisti. E non a caso: uno dei primi atti del sovrano, anziano e malato come il predecessore, è stato quello di costruire una linea dinastica che garantisse un futuro stabile al Paese e, cosa non secondaria, alla sua fazione politica. Così, nel giro di poche ore ha nominato successore il fratellastro Muqrin, già destinato al ruolo di principe ereditario da Abdullah: ma soprattutto ha annunciato che il vice-principe ereditario, e quindi secondo nella linea di successione al trono, sarebbe stato Mohammed, figlio di suo fratello Nayef. A 55 anni, un’età giovanissima per gli standard sauditi se si considera che sia l’attuale re che il suo predecessore hanno intorno agli 80-90 anni, il responsabile dell’antiterrorismo è diventato quindi il primo fra le centinaia di nipoti di Abdulaziz bin Saud, il padre del regno, ad inserirsi nella linea di successione: una svolta senza precedenti per un Paese finora governato esclusivamente dai figli del fondatore.
Non è un caso dunque se su Mohammed Bin Nayef nelle ultime settimane si sia concentrata l’attenzione dei giornali di mezzo mondo. Salvo sorprese – che nel concreto portano il nome dei cugini-rivali Mutaib, 62 anni, figlio del re appena morto, e Mohammed, 35 anni, figlio del sovrano in carica e suo potente braccio destro – dovrebbero essere sue le spalle che nei prossimi anni dovranno sostenere le sfide di questo Paese chiave per gli equilibri della regione e del mondo: la minaccia deil’Is e dell’Iran sul fronte esterno, la diminuzione dei proventi del petrolio, e la rabbia crescente dei settori della popolazione rimasti ai margini della ricchezza su quello interno. Questioni enormi che però non paiono spaventare «l’astro nascente della famiglia reale», come lo ha chiamato il Washington Post: sarà perché «nascente» Mohammed Bin Nayef non lo è affatto.
Fra le centinaia di principi che compongono la corte di Riad, se uno è pronto ad affrontare a viso aperto il futuro, quello è lui: non solo perché è sopravvissuto a tre attentati – compreso quello di Jedda – ma perché per il ruolo di sovrano si prepara da anni: Mohammed era il figlio prediletto di Nayef bin Abdulaziz al Saud, per decenni potentissimo ministro dell’Interno. Dal padre ha ereditato il controllo della possente macchina delle sicurezza interna e l’ha potenziato: dal 2001 è stato incaricato di perseguire e schiacciare i gruppi che avevano aiutato e finanziato Osama bin Laden nell’attentato alle Torri gemelle. Compito non semplice se si considera che la maggior parte degli attentatori quel giorno erano sauditi imbevuti di ideologia wahabita, la stessa che garantisce alla famiglia reale la legittimità per regnare sui giacimenti di petrolio più ricchi del mondo. Mohammed ha schiacciato il dissenso, senza curarsi dei danni collaterali: liberali, attivisti per la democrazia, sciiti, donne. Tutti sono finiti in carcere, spesso torturati, a volte condannati a pene lunghe anni: «È il principale architetto della massiccia repressione contro dissidenti e attivisti a cui abbiamo assistito in questi anni» dice di lui Adam Coogle di Human Rights Watch.
Ma le critiche non hanno scalfito la sua reputazione di alleato affidabile, soprattutto all’estero: di fronte a un mondo abituato agli eccessi goderecci dei reali del Golfo, Bin Nayef, noto per la disciplina con cui si applica al lavoro, è considerato l’uomo giusto per controllare un Paese delicatissimo come l’Arabia saudita. Il programma di riabilitazione per jihadisti da lui voluto e sponsorizzato – case, mogli, lavoro e stipendio per chi lascia la lotta armata – è diventato una bandiera della strategia contro-terroristica, nonostante alcuni clamorosi casi di estremisti redenti e poi tornati a combattere.
Gli Stati Uniti lo amano: con una laurea in Scienze politiche all’università di Portland e un inglese eccellente, ha costruito una rete di relazioni fra Campidoglio e Casa Bianca paragonabile a poche altre al mondo. Mr. Security, come
chiamano nell’amministrazione Obama, poche settimane prima della morte dello zio aveva goduto del raro privilegio di un lungo colloquio faccia a faccia con il presidente nello Studio Ovale. Tema dell’incontro la lotta all’Is in Siria e Iraq.
Tutto bene, dunque? Non proprio. Nella comunità dei liberali e dei dissidenti sauditi l’ascesa di Mohammed bin Nayef è guardata con molto sospetto: la sua perplessità di fronte alle riforme dello zio Abdullah è nota. Gli attivisti citano in questo senso il caso del blogger Raif Badawi, condannato a 10 anni di carcere e a centinaia di frustate solo per aver creato un sito Internet in cui si discuteva di riforme. Il suo avvocato, Waleed Abulkhair, è anch’egli in prigione. Fuori resta Samar Badawi, moglie di Waleed e sorella di Raif, icona di un Paese che aspira a un futuro diverso: «Waleed ha sempre sognato di avere la possibilità di vivere la sua vita come desiderava» ha scritto qualche settimana fa «ma voleva che anche i suoi concittadini avessero la stessa possibilità. Crede che la libertà sia un dono di Dio, che nessun uomo ha il diritto di portare via». Principe o non principe.