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 2015  marzo 13 Venerdì calendario

FINE PRIVILEGIO MAI


PALERMO. «È vero, sono benefici fuori luogo. Cosa vuole, caro signore, a volte si è coinvolti in situazioni che possiamo anche non condividere fino in fondo. Ma non spetta a noi cambiare le regole...». Giuseppina Adamo è la figlia di Ignazio Adamo, l’ultimo erede di una famiglia nota e rispettata a Marsala. L’onorevole Adamo, esponente del Blocco del popolo, fu eletto nell’immediato Dopoguerra all’Assemblea regionale siciliana e vi rimase fino al 1955. In virtù di quel lontano mandato parlamentare, prima lo stesso deputato, poi la moglie Irene Marino, quindi la figlia Anna Rosa (sorella di Giuseppina) hanno percepito un vitalizio. Che oggi, puntualmente erogato ogni mese, ammonta a 3.900 euro lordi.
I privilegi, a Palazzo dei Normanni, non finiscono mai. Durano nel tempo, ben oltre il ciclo naturale di una vita. Una storia raccontata dai 117 assegni di reversibilità, versati a congiunti di parlamentari scomparsi che godevano già di una propria pensione. Ci sono vitalizi trasmessi dal caro estinto agli eredi e tenuti o tramandati per lustri, per decenni. Grazie ai soli tre anni (tre!) di mandato fatti dal 1948 al 1951 dal deputato monarchico Natale Cacciola, la famiglia del parlamentare percepisce da 40 anni il suo bel contributo: alla signora Anna Maria, la figlia di Cacciola, vanno oggi duemila euro al mese. La lista è lunga. Giuseppa Antoci, sorella del deputato ragusano Carmelo Antoci che rimase allArs sino al ‘55, riceve un vitalizio dal ‘78. Un beneficio che dal 1980 viene incassato pure dalla moglie e dai figli dell’onorevole de Luigi Carollo, in carica sino al 1959. Da 37 anni Irene Recupero, moglie del comunista Pietro Di Cara (all’Ars dal ‘47 al ‘55), ottiene un vitalizio che oggi ammonta a 3.900 euro mensili.
D’altronde, le maglie sono larghe: secondo il regolamento dell’Assemblea basta una sola legislatura perché l’onorevole acquisisca il diritto al vitalizio. Diritto che, al momento della dipartita, si trasferisce al coniuge superstite e, in alternativa o in successione, al figlio inabile al lavoro oppure alla figlia nubile e «in stato di bisogno». Condizioni riconosciute anche a beneficiari dai cognomi illustri: basti pensare che nell’elenco (dal 1998) c’è pure la signora Maddalena Nicolosi, vedova di un potente ex Dc, quel Rino Nicolosi che fu presidente della Regione dal 1985 al 1991. E c’è Sergio Alessi, figlio di Giuseppe Alessi, il primo storico «governatore» della Sicilia, uno degli uomini che fondarono la Democrazia Cristiana. Fratello di un ex deputato (Alberto) titolare a sua volta di un vitalizio della Camera da 4.352 euro al mese, Sergio Alessi è invece a carico dell’Ars solo per lascito paterno: «Sono rimasto invalido al 45 per cento in seguito a un incidente stradale» spiega «e la legge mi consente di godere del vitalizio. Mio padre era un uomo retto e mi dispiacerebbe se la sua persona e il suo impegno politico limpido fossero macchiati per via di una mia presunta colpa».
Prese di distanza e doverosi distinguo che non tolgono sostanza a un fenomeno che incide pesantemente sulle casse dell Ars. Il parlamento regionale, ogni mese, spende mezzo milione di euro per i vitalizi di reversibilità. Sei milioni di euro l’anno. Se al conto si aggiungono anche i vitalizi diretti, quelli percepiti dagli ex onorevoli ancora in vita, la spesa sale a venti milioni l’anno.
Per carità, la Sicilia è in buona compagnia, non essendo l’unica regione a concedere assegni di reversibilità a familiari di ex consiglieri. Ma solo nell’Isola il numero dei contributi e la spesa complessiva hanno dimensioni così rilevanti. Il motivo è presto spiegato: la Regione Siciliana è nata molto prima delle altre, nell’immediato Dopoguerra, e dunque la cifra degli ex deputati cui è collegato un vitalizio è superiore.
Ma quel privilegio trasmesso in via ereditaria, quasi come un bagaglio genetico, fa discutere. Più fuori dal Palazzo che dentro, dove solo i grillini fanno conoscere ora il proprio dissenso: «Un normale cittadino deve lavorare 40 anni per andare in pensione con un assegno appena sufficiente a vivere, mentre molti ex deputati dell’Ars con qualche mese di legislatura hanno ottenuto una rendita a vita che dopo la morte possono lasciare ai parenti. Ma che Italia è questa?» si chiede Giancarlo Cancelleri, il volto più noto dei 5Stelle siciliani. Scandali che si aggiungono a scandali. Come quelli delle doppie e triple pensioni. Perché nessuno vieta a un ex inquilino dell’Ars che ha fatto pure il parlamentare nazionale di sommare i due vitalizi: sono una ventina, i casi, e riguardano nomi anche famosi come quello dell’ex ministro Calogero Mannino e di Sergio D’Antoni, ex segretario della Cisl. D’Antoni, oggi fa il presidente del Coni regionale a titolo gratuito. Non un gran sacrificio, visto che ogni mese riceve un vitalizio dall’Ars da 3.108 euro, un altro dalla Camera da 3.958 e, come se non bastasse, la pensione da professore universitario da oltre 5.000 euro.
Il regolamento dell’Assemblea è stato recentemente modificato, limitando l’importo di questi trattamenti economici ed elevando l’età pensionabile dai 60 ai 65 anni. Piccolo sforzo nel senso del contenimento delle spese e dell’equità sociale. Eppure non tutti l’hanno presa bene. Davanti alla prospettiva di attendere per cinque anni in più l’assegno, tre parlamentari cessati dal mandato – Manlio Mele, Salvino Barbagallo e Nino Beninati – hanno fatto ricorso alla Corte dei conti.
E chi la prende, la mitica pensione dell’Ars, la vuole senza sconti. Se è vero che Rosaria Cubiotti, vedova dell’ex presidente dell’Assemblea Michelangelo Russo, ha spostato la residenza in Tunisia e ha chiesto di avere l’intera cifra lorda del già lauto vitalizio da tremila euro mensili. Il motivo? Poter trarre vantaggio del regime fiscale più favorevole vigente nel Paese africano. Ma l’amministrazione di Palazzo dei Normanni, dopo aver interpellato l’agenzia delle entrate, stavolta ha detto no. Perché va bene la generosità, ma ogni tanto bisogna pure mettere un punto.
Emanuele Lauria