Benedetta Marietti, il Venerdì 13/3/2015, 13 marzo 2015
IL SIGNORE DELLE MOSCHE
il 1986 quando Fredrik Sjöberg, entomologo, collezionista e scrittore, si trasferisce con la moglie, incinta del loro primo figlio, a Runmarö, un’isola paradisiaca di quindici chilometri quadrati e 300 abitanti al largo di Stoccolma. Ed è qui che, a distanza di trent’anni, continua a vivere dedicandosi alla scrittura e alla caccia di mosche o, per essere più precisi, di sirfidi, vale a dire mosche che si travestono da imenotteri per sfuggire alla cattura degli uccelli. Personaggio arguto, brillante, originale, dotato di un sofisticato sense of humour, Sjöberg ha raccontato la sua esperienza in un libro geniale e unico dal titolo L’arte di collezionare mosche, diventato un bestseller («tutto merito delle mosche», dice lui) in Svezia, Francia, Russia, Norvegia, Inghilterra e ora in uscita da noi per i tipi di Iperborea (trad. di Fulvio Ferrari, pp. 276, euro 16).
Un volume che si colloca al di fuori di ogni genere e che è allo stesso tempo reportage di viaggio, autobiografia, trattato di storia naturale e di divulgazione scientifica, biografia del naturalista svedese André Malaise, saggio di critica letteraria, meditazione filosofica sul senso della vita e sulla bellezza della natura. «Volevo scrivere un libro sui limiti e sul limitarsi – nello spazio, nel tempo, negli interessi – e ho deciso di partire proprio dalla mia collezione di mosche» spiega Fredrik Sjöberg. «Poi è apparso sulla scena Malaise ed è diventato il mio compagno di viaggio. Ma sono andato avanti senza uno schema preciso».
Figlio e nipote di collezionisti di francobolli, Fredrik Sjöberg si è dedicato con entusiasmo e dedizione allo studio dei sirfidi, dopo aver abbandonato la passione infantile per le farfalle. In sette anni ne ha catturati e classificati 202 specie, di cui 180 solo nel suo giardino («Un trionfo, credetemi. Solo la difficoltà di spiegarlo è più grande»).
La sua straordinaria collezione di sirfidi è (stata esposta anche alla Biennale di Venezia nel 2009. «I curatori del padiglione nordico della Biennale avevano deciso di occuparsi di collezionismo equalcuno del Museo di Arte Moderna di Stoccolma si ricordò di me. Ero andato a tenere una lezione lì qualche anno prima. Quando spedii ai curatori una foto della mia collezione se ne innamorarono subito. In quel periodo andavano di moda i lavori di Damien Hirst così speravo che durante la Biennale qualcuno comprasse le mie mosche, ma sfortunatamente non è successo».
Cosa spinge gli esseri umani a raccogliere oggetti di una determinata categoria? «Si pensa che molti si dedichino al collezionismo per sfuggire alla depressione, altri per una forma di narcisismo, perché il sapere dà piacere» dice Sjöberg. «Io lo faccio per imparare un altro linguaggio. Lo svedese è la mia prima lingua, la natura la seconda. La conoscenza di tutte queste nuove specie di sirfidi mi ha insegnato a leggere il paesaggio, letteralmente, come altri imparano a leggere in francese o in italiano. E leggere mi piace». Ma cosa c’è di così attraente proprio in questo tipo di collezione? «Nessuna persona sensata si interessa alle mosche e in fondo ne sono abbastanza contento. Non si può dire che ci sia una concorrenza spietata. E io ho sempre voluto diventare il migliore in qualcosa. Il numero delle specie di sirfidi non è elevato e nemmeno troppo basso. Sarei potuto diventarne esperto nel giro di qualche settimana. Gli uomini sentono un bisogno di controllo su ogni cosa. All’interno di limiti ben precisi ciascuno di noi può diventare un re». Anche vivere su un’isola ha a che fare col concetto di limite. «Niente è delimitato e concreto come un’isola. Ovunque io vada, prima o poi arrivo al mare».
Eppure a Runmarö Sjöberg è arrivato per caso. «Ci ero stato nel 1984 per scrivere un articolo sulla sua flora straordinariamente ricca» racconta. «Due anni dopo io e mia moglie ci siamo ritrovati giovani, ingenui e poveri, in attesa di un figlio. Stoccolma era troppo cara, qui abbiamo trovato una vecchia casa con vista lago in vendita a poco, e l’abbiamo comprata. Ora i nostri figli sono grandi e abitano a Stoccolma, noi siamo rimasti qui».
Ma ne L’arte di collezionare mosche non si parla solo di sirfidi. Sulla scena compaiono diversi personaggi: da D.H. Lawrence e il racconto L’uomo che amava le isole a Milan Kundera e il suo libro La lentezza, dall’acume di Linneo e Charles Darwin a Bruce Chatwin e alla sua arte della fuga. Su tutti però svetta René Malaise, un entomologo ed esploratore svedese, nato nel 1892 e morto nel 1976, vissuto per qualche tempo a Runmarö. Collezionista prima di 100 mila insetti e poi di opere d’arte, aveva inventato negli anni Trenta un’efficace trappola per mosche, di cui dopo qualche esitazione iniziale anche Sjöberg si è dotato con entusiasmo («Nei primi anni ero insofferente a qualsiasi genere di trappola. Ritenevo che chi si riduceva a usarle perdesse la dimensione più poetica della caccia alle mosche: l’attesa, il riposo, la lentezza») e che gli fu utile per aumentare la sua collezione.
Alla fine, però, anche i collezionisti più indefessi si annoiano. Racconta Fredrik Sjöberg: «Oggi non sono più un fanatico di sirfidi anche se nelle belle giornate continuo ad andare in giro con la mia trappola e con un vaso pieno di cianuro. L’anno scorso ho trovato perfino una nuova specie. Come Malaise ho iniziato a collezionare opere d’arte e mi sono specializzato in artisti, ovviamente dimenticati, e in disegni bizzarri. Al momento sto collezionando storie, e ho scoperto che collegate ai dipinti ce sono tantissime che meritano di essere raccontate. Del resto gli artisti sono pazzi come i naturalisti. La scorsa settimana ho trovato un piccolo dipinto a olio proveniente dalla Norvegia. È soltanto uno schizzo, ma mi piace. So chi lo ha fatto, dove e quando, e posso già sentire il profumo della storia che racchiude».
In fondo anche il libro di Sjöberg parla di storie, di desideri, di aspirazioni. In una parola, degli esseri umani. Come lui stesso scrive: «Tutti noi sentiamo il bisogno, di tanto in tanto, di buttarci alla cieca in qualcosa per non diventare la copia conforme delle aspettative del nostro ambiente, forse anche per trovare il coraggio di ricordare qualcuno di quei grandi pensieri arditi che spingono un bambino ad alzarsi in piena notte a scrivere, con il cuore che batte, una promessa segreta che riguarda la sua vita».
Benedetta Marietti