Giuliano Aluffi, il Venerdì 13/3/2015, 13 marzo 2015
L’1 È FORTE E ONESTO, IL 5 FELICE, IL 9 CALMO… COSÌ DIAMO I NUMERI
Che il numero 7 abbia avuto un certo successo nella storia è noto. Ma sapevate che quasi tutti associamo le cifre pari con il genere femminile e quelle dispari con il maschile? E che tendiamo a considerare misteriosi i numeri primi? Che, insomma, tra noi e i numeri c’è un curioso legame psicologico? A sostenerlo senza incertezze è Alex Bellos, laurea in matematica a Oxford, blogger del Guardian e curatore del Museo della Scienza di Londra. Dopo il pluripremiato Il meraviglioso mondo dei numeri (Einaudi, 2011), ora ha scritto I numeri ci somigliano (Einaudi, pp. 365, euro 19,50): «Ho messo online il sito favouritenumber.net e chiesto ai lettori del Guardian di indicare il loro numero preferito» racconta. «Ho avuto più di 30 mila risposte, e da queste emergono delle curiose regolarità. Persone di età, sesso, culture e nazioni diverse, di fronte ai numeri, hanno reazioni emotive molto simili». A stragrande maggioranza, per esempio, preferiscono il 7 a tutti gli altri. «E così è da millenni: le sette meraviglie del mondo, i sette piani delle ziggurat babilonesi, i sette giorni della settimana, i sette pianeti (tra gli otto del sistema solare) osservabili dagli antichi... Per me il vero motivo per cui il 7 ci affascina è che è speciale da un punto di vista aritmetico. I numeri che conosciamo meglio sono quelli che possiamo contare con le mani, e di tutti i numeri tra 1 e 10, il 7 è l’unico che non possiamo moltiplicare o dividere per un altro numero e rimanere, con il risultato, nel gruppo dei numeri da 1 a 10».
Nella classifica dei numeri preferiti elaborata da Bellos, al 7 (scelto dal 9,7 per cento dei partecipanti al sondaggio) seguono il 3 (7,5 per cento), l’8 (6,7 per cento), il 4 (5,6 per cento), il 5 (5,1 per cento) e il 13 (5). «Questi risultati confermano anche un’intuizione del 2011 degli psicologi Dan King, della National University di Singapore, e Chris Janiszewski, dell’Università della Florida: ad alimentare l’affetto che possiamo sviluppare verso un numero è la facilità con cui la nostra mente riesce a elaborarlo. King e Janiszewski, uscendo dall’ambito dei primi dieci numeri, hanno notato ad esempio che i consumatori comprano più volentieri uno shampoo chiamato Zinc 24 piuttosto che Zinc 31. L’ipotesi è che abbiamo più familiarità col 24 per via delle tabelline, mentre ne abbiamo meno col numero 31, che è primo. E d’altra parte il nostro cervello è anche più veloce nel trattare i numeri pari, come ha confermato negli anni Novanta il neuroscienziato Terence Hines, della Pace University di New York».
Ma quali sono le curiose regolarità che emergono dalla classifica dei numeri più amati? «Se consideriamo la griglia dei numeri da 1 a 100 e assegniamo a ogni numero un colore diverso a seconda del grado di popolarità, salta subito agli occhi che le nostre preferenze sui numeri non sono del tutto casuali, ma ci sono degli schemi. Come dicevo, prediligiamo i numeri dall’l al 10, probabilmente perché abbiamo familiarizzato con loro contando con le dita, poi troviamo attraenti i numeri composti da due cifre uguali, come 11 e 22, per la loro bellezza simmetrica, ma non amiamo granché i numeri tondi (10, 20, 30...)». Secondo Bellos consideriamo l’immediata, evidente divisibilità di questi numeri tondi una sorta di «debolezza».
Poi c’è il fascino dei numeri primi. «A quali numeri, nel corso della storia umana, sono stati attribuiti i significati più mistici? A 3, 5, 7 e 13, ovvero a quattro numeri primi. A renderli misteriosi è proprio la loro indivisibilità. I numeri divisibili sono più prevedibili. Douglas Adams, il geniale autore della Guida galattica per gli autostoppisti, aveva scelto 42 come risposta alla grande domanda sul senso di tutte le cose, proprio perché era un numero insulso, mediocre, un numero che “potresti presentare senza problemi ai tuoi genitori”» ricorda Bellos.
La divisibilità scatena associazioni mentali ancora più sorprendenti, come l’idea del sesso. «In sé non sarebbe una novità: già nelle prime rappresentazioni numeriche, in Mesopotamia, la parola per il numero uno, ges, significava uomo, mentre min, due, voleva dire anche donna. Poi, nel VI secolo a.C., Pitagora rafforzò il concetto definendo “maschili” i numeri dispari e “femminili” i numeri pari». Una distinzione che ci appare culturale e arbitraria più che naturale, ma che sembra radicata anche nel nostro inconscio. «A suggerirlo è un esperimento degli psicologi James Wilkie e Galen Bodenhausen, della Northwestern University: hanno mostrato a dei volontari fotografie di bebé di sei settimane. Alle foto era associato un numero di tre cifre, tutte pari oppure tutte dispari. I soggetti dovevano indovinare il sesso del bebé. Le probabilità che scegliessero “maschio” erano nettamente superiori se il numero associato era dispari» spiega Bellos. «I due ricercatori non hanno però saputo spiegarsi l’origine di questo preconcetto».
Nel suo sondaggio su favouritenumber.net, Bellos ha poi chiesto di associare degli aggettivi ai numeri preferiti. «Il numero 1 ha evocato termini come indipendente, forte, onesto» spiega Bellos. «Il 2 è stato definito cauto, saggio, grazioso. Il 3 caldo e amichevole. Il 4 scanzonato e versatile. Il 5 equilibrato e felice. Il 6 ottimista e agile, il 7 magico, intelligente. L’8 morbido e femminile. Il 9 calmo, discreto. Il 10 pratico e logico. Sicuramente c’è qualcosa nella forma dei numeri che suggerisce queste proprietà. In generale sembra confermata l’idea di Wilkie e Bodenhausen: proiettare attributi umani sui numeri, perlomeno su quelli più piccoli e più usati, è una tendenza universale».
C’è però qualcosa, nella nostra relazione con i numeri, che non unisce l’umanità ma la divide nettamente in due: ed è il rapporto con la matematica, c’è chi la ama e chi la odia. Perché? «È un fatto culturale, legato al modo in cui si insegna questa materia. Tutti i matematici che ho conosciuto mi hanno detto di aver avuto un insegnante capace di farli appassionare alla materia già da piccoli» sottolinea Bellos. «In certi casi, come in Giappone, è tutto il sistema a essere virtuoso. Lì nelle scuole primarie le tabelline si insegnano grazie a una cantilena chiamata kuku, di antica provenienza cinese, nella quale le parole che indicano i numeri vengono addolcite in modo da renderle ancora più musicali di quelle ufficiali. Logico che poi giapponesi e cinesi eccellano per capacità matematiche».
Insomma, se è vero che i numeri sanno sedurci, è vero anche che un po’ dobbiamo farceli piacere, con qualche trucchetto come il kuku o trovate ancora più bizzarre: «Come quelle di Malba Tahan. Con i suoi libri, il più famoso L’uomo che sapeva contare (Salani), questo enigmatico arabo, che si definiva sia uomo di scienza che fiero combattente beduino, raccontava storie da Mille e una notte, ma infarcendole di problemi da risolvere con la matematica: ad esempio divisioni di cammelli tra fratelli» spiega Bellos. «In realtà Malba Tahan era un professore di matematica brasiliano, Julio Cesar de Mello e Sousa (1895-1974), che scelse un alter ego perché nessun giornale o editore sembrava interessato ai suoi scritti». Tra i milioni di suoi fan, c’è Paulo Coelho. «A dieci anni Coelho espresse ai suoi genitori il desiderio di fare un viaggio per incontrare il grande e misterioso Malba Tahan. “Ma guarda che è un nostro vicino“ gli risposero loro, che conoscevano il professor de Mello e Sousa. “Abita qui, proprio in fondo alla via”». A che numero? Non lo sappiamo, ma sarà stato un numero simpatico.
Giuliano Aluffi