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 2015  marzo 13 Venerdì calendario

APPUNTI PER OGGI. PEZZI SUL DISEGNO DI LEGGE DI RIFORMA DELLA SCUOLA USCITI SU CDS, REP E STAMPA


CORRIERE DELLA SERA
in prima "Più potere ai presidi"

VALENTINA SANTARPIA - CLAUDIA VOLTATTORNI
«Fate bene, fate presto». Perché «l’Italia non ha tempo da perdere». Ora la palla passa al Parlamento» che, «in un modo o nell’altro riuscirà a realizzare abbastanza rapidamente le proposte sulla scuola, se vorrà lavorare con senso d’urgenza». Dopo vari stop, rinvii e spostamenti, ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sulla Buona scuola che ora dovrà essere discusso dalle Camere. Il premier Matteo Renzi si dice «ottimista». L’iter parlamentare prevede prima il passaggio nelle Commissioni di Camera e Senato e poi toccherà al Parlamento. Il via non prima del 17 marzo. E la pausa pasquale allungherà ulteriormente i tempi già strettissimi. Dieci i punti della riforma del governo che si basa sul principio dell’autonomia di ogni scuola di decidere e organizzare la propria offerta, scegliendo i propri docenti, programmi e progetti: ogni scuola ha personalità giuridica; il preside è «l’allenatore della squadra» di insegnanti; stop alle classi pollaio; bonus di 200 milioni per i prof «più bravi» e card di 500 euro l’anno per l’aggiornamento culturale; detrazioni fiscali per le paritarie fino alle medie (incluse); potenziamento di inglese, educazione motoria, arte, musica, diritto, economia; fino a 400 ore di alternanza scuola-lavoro negli istituti tecnici e nei licei; school bonus e 5 per mille per chi investe sulla scuola; l’assunzione di oltre 100 mila precari dal primo settembre 2015. È quest’ultimo il punto più delicato di tutta la riforma: dovevano essere 150 mila all’inizio, sono scesi a 100 mila e fino all’ultimo i tanti in attesa hanno sperato che il governo scegliesse la via del decreto legge almeno per la loro stabilizzazione: «Con il ddl non ce la faranno — dicono i sindacati — i tempi sono strettissimi». Ma la ministra dell’istruzione Stefania Giannini sorride: «Oggi è una giornata storica per l’Italia, abbiamo elaborato un nuovo modello di scuola, il Parlamento sostenga il cambiamento con un ok rapido».

Centomila assunzioni e il concorso nel 2016
Un piano straordinario di «oltre 100 mila assunzioni per coprire le cattedre vacanti e creare l’organico dell’autonomia»: saranno stabilizzati dal primo settembre 2015. Per tutti gli altri, dal 2016 torna il concorso e solo così si potrà accedere all’assunzione. Saranno scelti dalle graduatorie a esaurimento (Gae) che però non coprono l’intero fabbisogno dei posti: alcune classi di concorso restano vuote, come la matematica. Per queste materie, le assunzioni vengono fatte dalle graduatorie d’istituto. Tutti gli altri, dal 2016, dovranno fare il concorso. «Si sana una clamorosa ferita di 20anni di promesse non mantenute — ha detto Renzi —: si è consentito a questi insegnanti di conseguire titolo abilitativo ma poi non è stato permesso loro di andare in cattedra, lasciandoli nelle graduatorie». Saranno assunti. Gli altri, quelli delle graduatorie di istituto e di seconda fascia e gli «idonei al concorso 2012» dovranno aspettare il concorso del 2016: «Non posso assumerli», ha detto Renzi. I sindacati ritengono insufficiente però il numero delle assunzioni: «Non basta a soddisfare le attese di migliaia di insegnanti», dice Rino Di Meglio della Gilda. Per Carmelo Barbagallo della Uil, «serve il decreto, non si possono lasciare ancora tante persone in balia dell’incertezza». E Francesco Scrima della Cisl ricorda «i tanti precari con anni di servizio ma fuori dalle Gae che rimangono esclusi, nonostante gli obblighi della sentenza europea».

Più musica e arte Inglese alle elementari
«Un impegno mantenuto e uno sfregio sanato: tornano la storia dell’arte e la musica»: è il tweet del ministro ai Beni culturali Dario Franceschini dopo il Consiglio dei ministri che dà il senso di come cambierà la didattica. Il ddl prevede il potenziamento di arte, musica, diritto, economia alle superiori. Dalle elementari verranno incrementati l’inglese, «che deve essere parlato in maniera perfetta», e l’educazione motoria, che «non deve essere un’ora di svago», come ha sottolineato Renzi. Nella Buona scuola viene dato più spazio anche all’educazione ai corretti stili di vita e alle competenze digitali. Il curriculum diventa flessibile alle superiori, con materie ad hoc per le esigenze degli studenti.

Asili nido e materne: la delega al governo
Il disegno di legge approvato ieri sera in Consiglio dei ministri non esaurisce tutti i temi della Buona scuola ma assegna la delega al governo per legiferare sulla valutazione degli insegnanti, la riforma dell’abilitazione all’insegnamento, del diritto allo studio, del sostegno e degli organi collegiali e sulla creazione di un sistema integrato di educazione e istruzione per la fascia d’età da zero a sei anni. Un progetto che è già contenuto nel disegno di legge della senatrice Francesca Puglisi, che punta a portare al 33% la quota di bambini ammessi al nido e al 100% quella degli inseriti nella scuola materna. È per questo motivo che restano fuori dalle assunzioni, almeno per ora, i 23 mila precari maestri di scuola d’infanzia.

Autonomia ai presidi Basta «classi pollaio»
C on la Buona scuola, i presidi diventano «gli allenatori di una squadra» dice Renzi. Il loro potere cresce grazie all’autonomia: potranno scegliere i docenti di cui hanno bisogno per la formazione dell’organico funzionale alla propria scuola all’interno di albi territoriali formati dagli uffici scolastici regionali. I curricula saranno tutti pubblici e online. E si metterà fine così anche al fenomeno delle «classi pollaio»: usando l’organico in modo flessibile, il dirigente scolastico potrà decidere l’assegnazione dei suoi docenti in base alle necessità. Il preside potrà scegliersi poi fino a 3 vicepresidi e sarà lui a valutare il lavoro degli insegnanti premiandoli con il bonus annuale (200 milioni di euro complessivi da dividere tra tutte le scuole). «Per la prima volta si inserisce un criterio di merito nella scuola italiana», sostiene il premier. Che però ricorda anche come il preside non sia «un uomo solo al comando» e come diventi «decisiva la sua valutazione: se non funziona, io devo mandarlo a casa — spiega —: è una scommessa su 8.500 cittadini che svolgono un servizio». Ma la valutazione è un tema che il governo tratterà in seguito con il disegno di legge delega. Non piace a tutti, però, questo ruolo troppo accentratore dei dirigenti scolastici. La Uil: «Non si può mettere tutto in mano a una sola persona». Gianna Fracassi, Cgil: «Si conferma l’attacco al contratto nazionale».

Premi al 5% dei prof (valutati dai dirigenti)
Duecento milioni all’anno, a partire dal 2016, distribuiti ai presidi per premiare il 5% degli insegnanti meritevoli di ogni scuola. Dopo le polemiche per la prima versione della Buona scuola, che prevedeva
gli scatti di merito per i docenti, la formula-compromesso trovata nel disegno di legge appena varato lascia intatti gli scatti di anzianità e destina nuove risorse alle capacità degli insegnanti: risorse che non dovranno essere trovate attraverso coperture, ma che sono già previste nei tre miliardi della riforma a regime. La soluzione prevede ampia autonomia alle scuole e prevede appunto che siano i dirigenti-manager a distribuire i fondi agli insegnanti, sentito il parere del Consiglio di istituto. Le modalità? «Saranno decise dal preside», precisa il premier. Peseranno sicuramente la qualità dell’insegnamento, la capacità di utilizzare metodi didattici innovativi, il contributo dato al miglioramento complessivo della scuola. In questo contesto, precisa Renzi, la valutazione del preside stesso sarà fondamentale. Agli insegnanti arriverà anche un altro bonus, slegato dalle loro performance, ovvero la card del prof, che prevede un voucher di 500 euro all’anno da spendere in consumi culturali, dai libri ai biglietti per concerti e spettacoli teatrali.
Il governo poteva fare di più? «No», secondo Renzi. «È un investimento nelle singole scuole per dire “quelli più bravi li premi”».

Sgravi per le paritarie superiori escluse
Confermata la detraibilità delle rette per le famiglie i cui figli frequentano una scuola paritaria dell’infanzia o del primo ciclo (elementari e medie incluse). Restano escluse dagli sgravi fiscali le scuole superiori. Una norma che costerà 800 milioni per il 2016 e poi a regime 400, da aggiungere ai 700 milioni circa di contributi che già arrivano ogni anno in diverse forme alle scuole paritarie. Stime fatte dal ministero delle Finanze considerato che nell’anno scolastico 2013-2014 a frequentare una scuola paritaria erano 993 mila alunni, con rette annuali medie dai 1.500 ai 3 mila euro. Confermato anche lo «school bonus», che permetterà a chi effettua donazioni a favore delle scuole per la costruzione di nuovi edifici, la manutenzione o la promozione di progetti dedicati all’occupabilità degli studenti, di avere un beneficio fiscale (credito d’imposta al 65%) in sede di dichiarazione dei redditi. In questo modo ogni cittadino viene incentivato al miglioramento del sistema scolastico. Via libera pure al 5 per mille da destinare al singolo istituto: l’anno scorso era stata varata la possibilità di destinare questa percentuale delle proprie tasse all’edilizia scolastica in genere, mentre con la nuova norma sarà possibile decidere a quale scuola inviare il proprio contributo. «Sono misure di coinvolgimento diretto — dice il ministro dell’Istruzione — che dovranno essere perfezionate».

La protesta: matite e vernice contro la polizia
U ova, mandarini, gomme per cancellare, penne e persino matite: la protesta degli studenti contro la riforma della Buona scuola di Renzi ieri è stata all’insegna dei lanci di oggetti non contundenti, in tutta Italia. Un gesto poco aggressivo ma fortemente simbolico, per lanciare un messaggio di dissenso al governo «contro la scuola di classe» e chiedere «un altro modello di scuola, ma anche di sviluppo che superi le disastrose politiche di austerity». A Milano (foto), dove ci sono stati momenti di tensione con lancio di vernice e uova contro la polizia, i manifestanti sono stati bloccati dalle forze dell’ordine, con seguito di tafferugli e lancio di alcuni lacrimogeni. Il cartello che apriva il corte recitava: «Expo + Jobs Act + Buona Scuola = un futuro di m....». A Roma striscioni («12 marzo, una generazione che non si arrende»), bandiere con il volto di Che Guevara e lancio di gomme per cancellare, metafora della richiesta di azzerare il disegno di legge di Renzi. A Torino sono volate penne e matite contro la sede del ministero dell’Istruzione in corso Vittorio Emanuele. A Genova, catena umana di studenti intorno alla Prefettura. A Como mandarini e gavettoni di acqua e detersivo contro la sede locale della Regione, con due minorenni denunciati per lancio di oggetti pericolosi. A Pisa corteo contro una riforma «partita dal basso ma che in realtà ha coinvolto poco più di 6 mila studenti». A Cagliari anche i sindaci in piazza, per protesta contro il piano di ridimensionamento scolastico varato dalla giunta Pigliaru che prevede il taglio degli istituti in cui ci sono le pluriclassi. E l’11 aprile si replica: in piazza scendono i sindacati.

REPUBBLICA

NAZIONALE - 13 marzo 2015
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LA NUOVA SCUOLA
LA GIORNATA
Scuola, 500 euro ai prof per libri, corsi e cinema i presidi avranno più poteri
Via libera del governo al disegno di legge: restano gli scatti di anzianità Ogni anno 200 milioni per chi merita. “Stop a classi pollaio e supplenti”
CORRADO ZUNINO
ROMA .
«Una rivoluzione concettuale», dice il premier Matteo Renzi che arriva all’annuncio del disegno di legge sulla “Buona scuola” ieri alle otto di sera, dopo tre rinvii e un filotto di decisioni prese all’ultimo istante sui numeri e le coperture che hanno spiazzato il ministero dell’Istruzione e pure il Pd. Il premier spiega che le scuole italiane avranno una loro personalità giuridica, e soprattutto un’autonomia. Espressa all’articolo 1.
“Flessibilità didattica e organizzativa negli istituti”. Ogni scuola potrà farsi il proprio orario, aumentare le ore di una disciplina per un periodo, adattare il calendario nazionale. Ogni scuola è autonoma, adesso anche sul piano economico.
«I nostri ragazzi potranno dare il meglio di se stessi», dice il premier a Palazzo Chigi. Saranno i presidi a muovere risorse umane, tecnologiche, finanziarie. Sceglieranno da un albo i docenti di cui avranno bisogno. Le scuole, sì, avranno un organico potenziato: 100.701 precari prenderanno una cattedra, quasi tutti dalle graduatorie a esaurimento. Quarantasettemila in meno rispetto all’annuncio di settembre, ma un numero consistente di assunti che riempie i vuoti lasciati da Tremonti-Gelmini.
Renzi ha lasciato cadere il decreto d’urgenza e ora chiede al Parlamento di fare presto: «Il paese non ha tempo da perdere».
Sulle assunzioni rapide è d’accordo il Movimento 5 Stelle, sui passaggi meritocratici Forza Italia.
Restano gli scatti d’anzianità, «come in tutta la funzione pubblica», dice il premier. Gli scatti di merito spariscono, invece, e al loro posto entra un fondo da 200 milioni che i dirigenti scolastici daranno agli insegnanti più impegnati, maestri e professori. Per ogni docente ci sono, poi, 500 euro di aggiornamento culturale: libri, cinema, mostre. «Con noi finiranno i supplenti cronici e le classi pollaio». Ogni neoassunto dovrà passare un anno di prova.
Il disegno di legge assegna una delega al governo su questioni rimaste fuori: valutazione degli insegnanti, riforma dell’abilitazione, del diritto allo studio, del sostegno, creazione degli asili 0-6 anni.
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IL PREMIER E IL MINISTRO
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi durante la conferenza stampa di ieri mentre illustra “La nuova scuola”. Sopra, mostra la strip di Linus
FOTO:LAPRESSE

LA NUOVA SCUOLA
GLI ORGANICI
1
IL PIANO INIZIALE
IL DDL
A settembre 100.700 assunzioni concorso per 60mila nel 2015
Lo scorso 3 settembre veniva annunciata l’assunzione per il 1° settembre 2015 di 148mila supplenti presi dalle Graduatorie a esaurimento, considerate lo storico blocco al buon funzionamento della scuola.
ACCANTONATO il decreto legge, ora il disegno con iter parlamentare dà il via libera a un Piano straordinario di assunzioni per coprire le cattedre vacanti e creare il più ampio organico dell’autonomia. Vengono stabilizzati dal prossimo 1° settembre 100.701 docenti: 99.000 presi dalle Gae e 1.700 dal concorsone 2012. Altri diecimila avranno un contratto ponte di un anno: dovranno fare il concorso. Per le assunzioni ci sono 640 milioni in stabilità su un miliardo totale. Dopo la maxi-stabilizzazione si tornerà ad assumere solo per concorso. Si prevede nel 2015 un bando fino a 60 mila docenti che coprirà le assunzioni dell’arco 2016-2019. Si conferma la chiusura delle graduatorie a esaurimento: restano aperte solo per 23 mila insegnanti della materna. Fuori chi è nelle graduatorie di istituto: per entrare in cattedra dovrà fare concorso. Il premier ha confermato l’assunzione dei vincitori del concorso 2012, non degli idonei (8.300). Di questi, 3.400 sono anche nelle Gae e saranno assunti da quel canale. Si apre un fondo per gli indennizzi per i precari non assunti che faranno causa e la vinceranno.

LA NUOVA SCUOLA
GLI ORGANICI
1
IL PIANO INIZIALE
IL DDL
A settembre 100.700 assunzioni concorso per 60mila nel 2015
Lo scorso 3 settembre veniva annunciata l’assunzione per il 1° settembre 2015 di 148mila supplenti presi dalle Graduatorie a esaurimento, considerate lo storico blocco al buon funzionamento della scuola.
ACCANTONATO il decreto legge, ora il disegno con iter parlamentare dà il via libera a un Piano straordinario di assunzioni per coprire le cattedre vacanti e creare il più ampio organico dell’autonomia. Vengono stabilizzati dal prossimo 1° settembre 100.701 docenti: 99.000 presi dalle Gae e 1.700 dal concorsone 2012. Altri diecimila avranno un contratto ponte di un anno: dovranno fare il concorso. Per le assunzioni ci sono 640 milioni in stabilità su un miliardo totale. Dopo la maxi-stabilizzazione si tornerà ad assumere solo per concorso. Si prevede nel 2015 un bando fino a 60 mila docenti che coprirà le assunzioni dell’arco 2016-2019. Si conferma la chiusura delle graduatorie a esaurimento: restano aperte solo per 23 mila insegnanti della materna. Fuori chi è nelle graduatorie di istituto: per entrare in cattedra dovrà fare concorso. Il premier ha confermato l’assunzione dei vincitori del concorso 2012, non degli idonei (8.300). Di questi, 3.400 sono anche nelle Gae e saranno assunti da quel canale. Si apre un fondo per gli indennizzi per i precari non assunti che faranno causa e la vinceranno.

Premi per un professore su 20 bonus per i consumi culturali
2 “La Buona scuola” voleva l’introduzione degli scatti di merito per i docenti migliori. Il ministro Giannini parlava di “abolizione totale” degli scatti di anzianità. Mediazione del sottosegretario Faraone: 30% anzianità e 70% merito.
NELLA versione definitiva gli scatti di merito scompaiono e quelli d’anzianità restano in toto: cinque avanzamenti nel corso della carriera. In “zona Cesarini” è stato introdotto un diverso tipo di premio destinato sempre ai docenti: è il bonus annuale delle eccellenze. Alla fine di ogni anno il dirigente scolastico, sentito il Consiglio di istituto, assegnerà il premio al 5 per cento dei suoi insegnanti per dare un riconoscimento economico a chi si impegna di più. Nel giudizio peseranno la qualità dell’insegnamento, la capacità di utilizzare metodi didattici innovativi, il contributo dato al miglioramento complessivo della scuola. Per il bonus saranno stanziati dal governo 200 milioni ogni anno. Nella precedente formulazione si premiava il 66 per cento dei docenti. Nella versione definitiva solo, appunto, il 5 per cento. Carta per l’aggiornamento e la formazione dei docenti: un voucher di 500 euro da utilizzare per l’aggiornamento professionale attraverso l’acquisto di libri, strumenti digitali, iscrizione a corsi, l’ingresso a mostre.

Il capo d’istituto sceglie lo staff tra i docenti iscritti all’albo
3 I presidi manager sono stati dall’inizio uno dei capisaldi della riforma. Avranno più soldi e potere. Sceglieranno gli assistenti (sono ancora chiamati mentor) per valutare i docenti e quelli utili per organizzare (sono chiamati staff).
IL DIRIGENTE scolastico forma la sua squadra. I presidi potranno individuare i docenti che ritengono più adatti per realizzare i Piani dell’offerta formativa all’interno di albi territoriali costituiti dagli Uffici scolastici regionali. Gli incarichi affidati saranno resi pubblici su un apposito portale del Miur. Ogni dirigente potrà poi individuare fino a tre insegnanti in base ai crediti professionali che resteranno in carica tre anni: aiuteranno il preside nell’organizzazione della vita scolastica e nei processi di valutazione (ex docenti mentor), questi saranno almeno due e avranno premi prelevati dai 200 milioni di bonus. Per i presidi ci saranno 35 milioni in più. I docenti di ruolo dovranno restare nell’istituto assegnato almeno tre anni. Per tutte le nuove materie — elementari e superiori — ci saranno i docenti specialisti. Per la definitiva immissione in ruolo a tempo indeterminato i docenti dovranno sottoporsi all’anno di prova. I contratti dei supplenti non dovranno superare i 36 mesi, come ha sentenziato la Corte di giustizia Ue.

4 L’organico funzionale servirà a gestire anche le materie nuove, rafforzate o ristabilite: sono dieci in tutto alle elementari e alle medie. Diversi tagli della Gelmini — arte e musica — sono risanati, entrano diritto ed economia.
MOLTE le materie scolastiche rafforzate o reintrodotte. Alle scuole elementari: inglese in metodo Clil (si parla solo in lingua straniera), più musica, educazione motoria ed educazione alla cittadinanza (legalità, valori culturali, ambientali, stili di vita). Alle superiori: inglese in metodo Clil, arte in tutti i percorsi liceali dalla prima classe, arte e territorio in diversi tecnici e professionali e nell’alberghiero. Poi diritto nel primo biennio di tutte le scuole; economia nel secondo. Laboratori linguistici in italiano per stranieri. Nasce il curriculum dello studente a fini orientativi (università) e di accesso al lavoro. Sarà formato dai voti del ciclo scolastico e da esperienze extra: musicali, sportive, di volontariato. Se ne terrà conto all’orale della maturità. Lo studente potrà crearsi un piano di studi personalizzato scegliendo tra alcune materie offerte dall’istituto. La carta dello studente consentirà ai ragazzi delle superiori (anche paritarie) di accedere a servizi culturali, di mobilità, alla tecnologia utile per lo studio. Con l’approvazione dei genitori diventerà carta di pagamento.

5 Sei mesi fa era già un capitolo fondamentale delle linee guida: alternanza scuola-lavoro alla tedesca contro il 44% di disoccupazione giovanile, i 2 milioni di Neet e tassi di dispersione scolastica sopra il 17%.
L’ALTERNANZA scuola-lavoro prevederà una educazione degli studenti all’autoimprenditorialità. Nascerà il registro nazionale delle imprese dell’alternanza scuola-lavoro: gli studenti di quarta e quinta superiore stipuleranno contratti di apprendistato. Nel triennio finale dei tecnici e dei professionali il periodo lavorativo sarà di almeno 400 ore: si potranno svolgere anche durante la sospensione delle attività didattiche. Almeno 200 ore l’impiego nell’ultimo triennio liceale. Stage e tirocini possono valere per l’esame di maturità. Il tutor aziendale potrà essere presente alla maturità dello studente che in quella realtà ha lavorato per alcuni periodi. Nelle scuole saranno sviluppati laboratori territoriali del “Made in Italy”: potranno essere utilizzati fuori dall’orario scolastico. Negli istituti si attiveranno centri di collocamento e riqualificazione dei giovani disoccupati. Saranno rafforzati e collegati a Fondazioni gli Istituti tecnici superiori, che hanno funzionato bene sul piano didattico e dell’accesso al lavoro.
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6 Nel piano di settembre gli sgravi alle paritarie erano solo un accenno, anche se il ministro Giannini in estate, a Rimini, davanti alla platea di Cl, li aveva annunciati. Sono stati uno dei temi più dibattuti di questi mesi
VIENE confermata la detraibilità delle spese sostenute dalle famiglie i cui figli frequentano una scuola paritaria dell’infanzia o del primo ciclo. Lo sgravio finale non potrà essere superiore a un importo annuo di 400 euro per alunno o studente. Il 5 per mille potrà essere destinato anche alle scuole, di Stato o private, e con lo school bonus chi farà donazioni a favore degli istituti per la costruzione di nuovi plessi, la loro manutenzione, per la promozione di progetti dedicati all’occupabilità degli studenti avrà un beneficio fiscale — credito di imposta — pari al 65% in sede di dichiarazione dei redditi. Cambia l’approccio all’investimento sulla scuola: ogni cittadino viene incentivato a contribuire al miglioramento dell’intero sistema scolastico. Il ddl prevede un bando per la costruzione di venti scuole altamente innovative, green e caratterizzate da nuovi ambienti di apprendimento digitali. Saranno recuperate le risorse fin qui non spese per investirle nella sicurezza degli edifici. E si stanzieranno 40 milioni per finanziare indagini sui controsoffitti delle scuole.
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7 La crescita digitale dei nostri bambini, già dalle scuole elementari era un asset già sei mesi fa.
Un uso più consapevole, sicuro e con finalità culturali degli strumenti a disposizione, a partire da internet.
IL PIANO digitale nazionale prevede che gli alunni studino, tra l’altro: logica e pensiero computazionale, utilizzo dei dati, cittadinanza digitale ed educazione ai media, artigianato produttivo digitale. Il piano digitale prevede investimenti per il rafforzamento della banda larga e del wi-fi in tutte le scuole, non ci saranno più investimenti sulle lavagne multimediali, strumenti costosi e superati dai proiettori di ultima generazione. Si prevede, poi, formazione tecnologica dei docenti e degli amministrativi, oggi in ritardo su questo piano. Quindi, attenzione allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti: pensiero computazionale, utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media, artigianato produttivo digitale. Si vuole sviluppare il cosiddetto “coding”, il linguaggio informatico che consente l’acquisizione di una nuova lingua, un codice che consente la possibilità di programmazione di computer e tablet. Il “coding”, come le nuove lingue, per dare risultati efficaci deve essere appreso da bambini.

8 Le scuole - si diceva nel piano iniziale dovranno essere valutate, e lo saranno anche gli insegnanti. Si creeranno nuove figure che si specializzeranno in questo ruolo e nasceranno nuovi organismi adatti
PIANI triennali di formazione del corpo docente: la formazione in servizio diventa obbligatoria e per questa vengono stanziati 40 milioni l’anno. Il nucleo interno di valutazione dei docenti è costituito da tre professori scelti dal dirigente scolastico sentito il Consiglio di istituto. La valutazione triennale, che andrà in legge delega, si basa su: autovalutazione annuale del docente, qualità della didattica. Il docente che per due valutazione non supera i requisiti minimi non ha diritto ad aumenti stipendiali. Gli studenti ogni fine anno compongono un questionario dove danno giudizi sull’insegnante. Nasce l’Istituto per l’autonomia e la valutazione scolastica (Ipav) e saranno soppressi Invalsi (valutazione) e Indire (didattica avanzata). Viene istituito un portale unico della scuola con la pubblicazione in chiaro di tutti i dati relativi al sistema di istruzione: bilanci delle scuole, Anagrafe dell’edilizia, Piani dell’offerta formativa, dati dell’Osservatorio tecnologico, curriculum degli insegnanti, incarichi di docenza.
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ALBERTO CUSTODERO
ALBERTO CUSTODERO
ROMA .
Messi in campo 200 milioni, sgravi per le paritarie, il 5 per mille e lo school bonus per chi investe nella scuola, oltre 100.000 insegnanti assunti a settembre 2015, i curricula dei professori e i bilanci delle scuole online. Tornano storia dell’arte e musica, e ci sarà la nuova materia di “educazione ambientale”. Sono questi i punti principali del ddl “la buona scuola” approvato ieri sera dal governo che «mette al centro lo studente e i suoi sogni di essere un cittadino». Per il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, è «una giornata storica per l’Italia». Sempre ieri — lo ha annunciato il premier — è arrivata la «bella notizia» che dalla Banca Europea degli Investimenti arriveranno 940 milioni di euro per l’edilizia scolastica. Il nuovo «modello di scuola» realizzerà quell’«autonomia che finora è rimasta solo sulla carta». Ogni scuola farà un piano funzionale in base al fabbisogno: il preside, come un allenatore, avrà la possibilità di individuare chi mettere in cattedra ad inizio anno. «La scelta dell’organico funzionale — ha commentato Renzi — porta a superare il meccanismo delle classi pollaio».
La giornata ieri era cominciata con cortei e manifestazioni di studenti in tutta Italia in marcia «contro la scuola di classe». A Milano, i poliziotti hanno disperso il corteo con i fumogeni dopo che alcuni manifestanti, stile black bloc, hanno lanciato fumogeni e vernice rossa contro gli agenti.
Il nodo più spinoso del disegno di legge resta il problema dell’assunzione dei 100 mila precari, a rischio per i tempi stretti (entro settembre) necessari per l’approvazione da parte delle Camere. Ma il premier è sicuro: «Il Parlamento riuscirà a fare in tempo». «Non ci saranno più i supplenti — ha spiegato — ma il primo anno sarà di transizione». «Il testo della legge è realizzabile abbastanza rapidamente — ha sottolineato l’inquilino di Palazzo Chigi — se il Parlamento lavorerà con il senso dell’urgenza ». Il premier, dopo aver assicurato che il Pd è pronto ad approvare alla Camera e al Senato il provvedimento «di corsa», ha lanciato un appello affinché ci sia «un consenso ampio di molte forze parlamentari sulla riforma». Il ddl «mantiene gli scatti di anzianità per i professori, ma con una cifra aggiuntiva sul merito. Sono confermati gli sgravi per le paritarie «fino alle medie, le secondarie di primo livello». I dubbi sorti in mattinata presso la Ragioneria Generale dello Stato sulla copertura dei 500 euro per l’aggiornamento professionale dei docenti sono stati poi superati: la nuova legge prevede il bonus per i docenti. Infine, l’inglese: l’insegnante dovrà parlarlo in modo perfetto. Non poteva essere diversamente, chiosa Renzi, con «il ministro dell’istruzione prof d’inglese». E con il premier che «ne avrebbe molto bisogno».
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NAZIONALE - 13 marzo 2015
CERCA
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LA NUOVA SCUOLA
L’INTERVISTA/LA PRECARIA
“All’assunzione credo solo con la lettera di nomina se poi serve cambierò città”
SALVO INTRAVAIA
ROMA .
“Sembra proprio una bella notizia, ma ci crederò soltanto quando vedrò la lettera di nomina”. Francesca Maia, supplente di Storia dell’arte a Palermo e provincia, è contenta per la probabile immissione in ruolo già da settembre ma rimane con i piedi per terra.
Da quanti anni è precaria?
“Da 13 anni. Ho iniziato nelle scuole private e a 44 anni mi ritrovo ancora precaria, sposata e con una bambina di 5 anni”.
L’idea di essere assunta a settembre non la fa sorridere?
“Sì, ma ci crederò soltanto quando vedrò la lettera di nomina”.
Perché?
“Noi precari abbiamo mille paure perché ci aspettiamo sempre di essere delusi dalla realtà. Quello che in questi mesi ci ha disorientato parecchio sono state le informazioni altalenanti: prima le assunzioni erano 148mila, poi 120mila e adesso 100mila. Anche i continui slittamenti ci hanno confusi. L’idea di eliminare le graduatorie ad esaurimento è comunque positiva e sono speranzosa per me”.
Se le proponessero di essere assunta in un’altra provincia, accetterà?
“Certo. Andrò se necessario anche in un’altra regione. Mio marito ha problemi di lavoro e in famiglia qualcuno deve pure lavorare. Sono tante le possibilità che ci siamo dati con la mia famiglia: se mio marito continuerà a lavorare a Palermo io partirò da sola con la bambina, se le cose andranno peggio partiremo tutti. Ma io spero tanto di essere assunta vicino casa”.
Si profila anche un anno di prova più severo e la possibilità di essere assunti nell’organico funzionale. Che ne pensa di queste novità?
“Questa idea di un anno di prova più selettivo, col controllo da parte di una commissione di colleghi, non mi piace affatto. Da anni in fondo siamo utilizzati senza alcun controllo. E con l’organico funzionale corriamo il rischio di fare i tappabuchi. Comunque meglio tappabuchi che precari a vita”.
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NAZIONALE - 13 marzo 2015
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LA NUOVA SCUOLA
L’INTERVISTA/IL DOCENTE DI RUOLO
“La card per i professori è una buona iniziativa purché funzioni seriamente”
ROMA .
«Quella della card dell’insegnante mi sembra un’ottima idea, speriamo che si possa anche utilizzare al meglio». Giuseppe Grazioli, docente presso l’istituto comprensivo Laurentina 710 di Roma, è contento della novità annunciata dal premier Renzi, che ha definito la Carta dell’insegnante «un atto di attenzione nei confronti dei docenti».
Come le sembra l’idea di fornire a tutti gli insegnanti una carta per spese culturali?
«Mi sembra una buona iniziativa perché si dà agli insegnanti modo di arricchire la propria preparazione attraverso l’acquisto di libri, la visita di mostre, e la visione di spettacoli teatrali».
La cifra di 500 euro all’anno è sufficiente?
«Speriamo che sia un primo passo e che la cosa continui negli anni e magari venga incrementata».
Perché?
“Vede, uno spettacolo teatrale costa almeno 50 euro e noi con i nostri stipendi spesso siamo costretti a rinunciare: io guadagno 1.372 euro e avere 50 euro al mese da spendere per arricchirsi dal punto di vista culturale mi sembra una buona idea. Ma ci sono anche i libri che costano».
Finora però avete provveduto voi.
«È vero. Quest’anno, ho speso di tasca mia 50 euro per comprare un libro per gli alunni con disturbi dell’apprendimento. E sono stato costretto a spendere 30 euro per acquistare un libro per la lingua straniera. Le scuole non hanno più risorse da spendere per comprare libri e siamo costretti a provvedere in proprio. L’iniziativa è comunque buona, speriamo si possa anche utilizzare al meglio».
In che senso?
“Non vorrei che ci fossero pochi posti accreditati, poche librerie che aderiscono all’iniziativa, pochi enti che promuovono spettacoli o mostre dove spendere la carta. Ma forse occorre aspettare qualche mese per capire meglio come l’idea verrà tramutata in realtà. Spero soltanto che ci sia la massima adesione».
( s. i.)
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LA STAMPA
LUIGI LA SPINA
Ci hanno provato in molti, tutti sognando di passare alla storia. Come l’unico riformatore della scuola che ci sia riuscito, Giovanni Gentile. I ministri della pubblica istruzione, così si chiamano con pedagogica retorica i titolari del dicastero che ha il compito più delicato, quello di preparare i nostri giovani ad affrontare il futuro, hanno lanciato parole d’ordine suggestive, promesso rivoluzioni epocali, ma, da decenni, nelle nostre aule si parla solo di precari, da assumere, e di stipendi, da elevare. Questa volta ci prova addirittura il capo del governo più decisionista dai tempi di Craxi, approfittando di una ministra, come bisogna dire adesso, alla quale non sembra riservare, a torto o a ragione, molto credito. Ma l’impressione è che nemmeno lui e nemmeno la sua «buona scuola» passeranno alla storia, perlomeno quella dell’istruzione pubblica nel nostro Paese.
Il motivo del pessimismo, speriamo eccessivo, questa volta è diverso, però, da quello che il passato consiglia, cioè il solito ostacolo delle burocrazie amministrative, delle corporazioni sindacali, delle clientele politiche alle buone intenzioni del riformatore di turno. Perché sono proprio le intenzioni, confuse e tese sostanzialmente a suscitare demagogicamente un consenso facile e immediato, a rischiare di scontrarsi con una realtà molto complessa.
Una realtà davanti alla quale ci vorrebbe più umiltà nella conoscenza delle situazioni e meno improvvisazione nei rimedi da proporre.

Sono proprio questi approcci sbagliati ad aver costretto Renzi a una serie di arretramenti significativi, sia sul metodo, dal decreto governativo al disegno di legge da proporre al Parlamento, sia sui contenuti più sbandierati dalle sue promesse, l’assunzione di tutti i precari e gli aumenti di merito per gli insegnanti.
Il mondo di coloro che non sono docenti di ruolo nella scuola non è assimilabile in una sola categoria, tutta meritevole di ottenere permanentemente una cattedra. Di più, ci sono migliaia di precari che, ormai, hanno trovato una occupazione fuori dalla scuola e che rimangono in quelle liste solo formalmente e senza possedere più un aggiornamento professionale e culturale adeguato. C’è, poi, un’obiezione più importante per la futura qualità dell’istruzione pubblica in Italia. Il nostro Paese ha e avrà bisogno soprattutto di insegnanti per le materie scientifiche, a cominciare dalla matematica, disciplina per la quale il confronto internazionale ci penalizza gravemente. Ma non è orientata così la grandissima maggioranza delle competenze di quei 150 mila precari ai quali Renzi ha promesso l’assunzione.
La rinuncia agli aumenti di merito, spostati in un tempo indefinito, con la conferma, invece, degli scatti d’anzianità, denuncia la presa d’atto di un problema valutativo difficile, che andrebbe esaminato con molta prudenza per evitare discriminazioni e ingiustizie tra insegnanti davvero inaccettabili. Il punto di partenza è sicuramente condivisibile, quello di promuovere il merito e l’impegno dei docenti e non solo la progressione dell’anzianità. Ma con quale criteri e a chi si può affidare la responsabilità di questi giudizi? Ieri sera il premier ha tirato poi fuori il coniglio dal cilindro: la possibilità che i presidi assumano i docenti che ritengono più adatti alla propria scuola. Principio dirompente, se fosse approvato dal Parlamento, nel sistema dell’istruzione superiore, e sicuramente condivisibile. Peccato che questa novità non sia mai stata annunciata né discussa precendentemente, confermando quindi un metodi di improvvisazione, anche positivo, che dovrebbe essere contemperato da una preventiva discussione più ampia e più meditata.
Il paragone con quanto si tenta di fare all’università, attraverso il lavoro svolto del nucleo di valutazione e con gli incentivi affidati alla scelta autonoma degli atenei, non è facilmente applicabile al mondo della scuola, sia per una maggiore uniformità dell’impegno orario degli insegnanti, sia per attività, come quelle della ricerca, che non sono previste, sia per altre caratteristiche troppo difformi. È giusto, forse, attribuire ai presidi maggiori poteri discrezionali, ma farlo diventare l’arbitro degli stipendi dei professori può avere conseguenze non proprio raccomandabili. Ecco perché le proposte suggerite per giudicare il merito dei docenti erano così cervellotiche, contraddittorie e irrealistiche che perfino lo sbrigativo Renzi ha dovuto ammettere la necessità di un più meditato periodo di riflessione.
Al di là degli aspetti più tecnici di una riforma molto difficile e che non ammette dilettantismi, professionali o politici che siano, il premier, nel momento in cui affronta due capitoli come quelli della scuola e della Rai deve essere consapevole di addentrarsi in un vero campo minato. Un campo dove le sue qualità decisionistiche, molto apprezzate da un’opinione pubblica stanca di un immobilismo ormai insopportabile e di una ostinata mentalità conservatrice e corporativa, possono trasformarsi in boomerang pericolosi per sé e per il suo governo. La retorica del cambiamento funziona come slogan elettorale e mediatico, perché coglie l’umore fondamentale dei cittadini. Quando si scontra con gli effetti concreti di riforme improvvisate e demagogiche rischia di deludere milioni di italiani che vorrebbero non più insegnanti, ma migliori insegnanti e una informazione televisiva che non esca dalle mani dei partiti per consegnarsi a quelle del governo.


CARLO BERTINI

La riforma della scuola di Renzi
I presidi potranno scegliere i prof
Confermate le centomila assunzioni nel 2015-2016 per coprire le cattedre vacanti Il premier: “Mai più classi pollaio, basta supplenti”. Duecento milioni per i docenti

Carlo Bertini

Batte e ribatte sul tasto che questa non è una semplice riforma della scuola, ma una «rivoluzione strepitosa», non solo perché - dice il premier - si assumeranno sì 100 mila precari, ma «esaurite le graduatorie punto, si fanno i concorsi, chi li vince entra, chi li perde sta a casa»; ma anche perché si introduce «per la prima volta in Italia il principio di merito». Matteo Renzi scende in conferenza stampa dopo che il Consiglio di ministri ha approvato un disegno di legge sulla scuola che verrà trasmesso alle camere. E lancia un «appello al Parlamento a fare presto» ad approvarlo.
Renzi arriva in sala stampa con Stefania Giannini e Graziano Delrio con l’espressione entusiasta di chi ha messo il sigillo su uno dei provvedimenti più importanti del suo governo. «Questa è la riforma principale per il nostro Paese ne siamo sempre più convinti ed orgogliosi». Il Consiglio dei ministri è filato liscio come l’olio, senza polemiche. Sono state definite anche le linee di un disegno di legge sulla Rai che sarà approvato alla prossima riunione. Il premier non lesina battute contro chi, come i grillini, vorrebbe nominare per «sorteggio» chi deve comandare in Rai, rivendica il diritto-dovere di designare un capo azienda con forti responsabilità. E snocciola le novità, come quella di un cda di sette membri, quattro dei quali, compreso il presidente indicato dal governo, eletti dal Parlamento in seduta comune. Poi il premier se ne va, senza prendere domande sul tema, vuole dare più risalto possibile alle norme sulla scuola, che illustra con dieci slides e senza lesinare risposte ed esempi a raffica.
La corsa contro il tempo
Dunque da lunedì le Camere si troveranno di fronte un testo sulla scuola che fissa diversi punti chiave: una scuola autonoma, con il preside che potrà scegliere i suoi insegnanti da un albo a chiamata diretta e gli stessi presidi saranno valutati nel loro operato. Non più classi pollaio e basta supplenti. E una grande innovazione, la «carta del prof.», i docenti avranno 500 euro da spendere per la propria formazione, «perché un buon insegnante deve saper migliorare se stesso». E quindi avranno «50 euro al mese per dieci mesi, per comprare biglietti di teatri, concerti e altro. Insomma il messaggio è mettetevi in gioco».
Premiato chi fa bene
Ma è sulla valutazione del merito che il premier reagisce alle critiche di chi dice che si poteva fare di più. «Gli scatti di anzianità non sono stati cancellati perché sarebbe stato l’unico comparto del pubblico impiego a non averli. Ma si mette una cifra aggiuntiva sul merito. Le modalità su cui ciascuna scuola premierà saranno decise dal preside. Per la prima volta in 70 anni si son messi 200 milioni sul merito degli insegnanti. Non sono noccioline». E in questa chiave sarà fondamentale il principio della «totale trasparenza, tutti i curriculum e i bilanci on line, anche quelli delle singole scuole». Altra novità: sarà rafforzato l’insegnamento di musica, arte, l’educazione motoria e lingue, «basta con l’inglese appiccicaticcio».
Rai in mano «ai più bravi»
«Con buona pace di chi ci dice che vogliamo espropriare il Parlamento e non ascoltare i lavoratori», nel nuovo cda entrerà una figura espressione dei dipendenti, due saranno di nomina governativa e altri quattro votati dalle Camere riunite come per Csm e Consulta. «Noi vogliamo spalancare la Rai e dare forza all’ azienda di poter competere a livello internazionale». Renzi liquida in malo modo chi propone «il sorteggio che fa abdicare la politica dalle proprie responsabilità. I sorteggi li fa l’Enalotto, la differenza tra chi fa il leader e chi fa l’Aventino è che noi vogliamo mettere i più bravi a guidare la Rai. E se volessimo mettere le mani sulla Rai basterebbe rinnovare il cda a scadenza con la Gasparri per avere la maggioranza dei suoi membri».



Premiare i più bravi
Ma molti precari protestano:
perdiamo speranze

Il merito è la parola che forse il presidente Matteo Renzi usa di più nel descrivere le sue misure della Buona Scuola. Dalle assunzioni però saranno esclusi molti precari che raccontano una storia diversa. Rosalinda Renda, 42 anni, di Roma, è una dei 6600 idonei al concorso del 2012, ed è anche abilitata in prima fascia. «Ho due canali di accesso ma da nove anni sono precaria e a questo punto ho perso anche questa speranza».
Evidentemente non ha i titoli giusti si potrebbe pensare. Poi, però, li racconta e bisogna ricredersi. «All’inizio facevo un altro lavoro, consulente informatica, guadagnavo il doppio di quanto guadagno ora, però sono laureata in filosofia e quindi mi piaceva l’idea di lavorare nella mia materia. Dopo la laurea mi sono abilitata, laurea e abilitazione con il massimo dei voti ho iniziato ad insegnare. Ho tre master, due corsi di perfezionamento, un dottorato di ricerca, in più due abilitazioni di lingua, e sono consulente informatica quindi ho competenze in questa materia. Nel 2012 ho superato il concorso quindi sono anche idonea. Questa è la scuola del merito che vuole Renzi? In cui persone con questi titoli non possono insegnare? Sinceramente sono delusa, questa situazione è stata creata dalla Gelmini con 8 miliardi di tagli ma il Pd era all’opposizione, ha assicurato che avrebbe rifinanziato la scuola se fosse andato al governo. Ora è andato al governo anche con il voto degli insegnanti ma se non ci sono investimenti non possono esserci nuove cattedre. Noi non vogliamo essere assunti per fare i tappabuchi. Nella Buona Scuola non ci sono più nemmeno le graduatorie: addio titoli, addio punteggi, addio esperienza. Altro che merito.


Più autonomia agli istituti
E più strumenti
finanziari per decidere

I presidi sono uno dei capitoli-chiave della Buona Scuola. Renzi li definisce presidi-allenatori, un cambiamento di tono rispetto ai tempi in cui erano stati trasformati in presidi-manager. Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, non nasconde il peso delle nuove responsabilità affidate alla sua categoria. «Ci sono di sicuro dei compiti aggiuntivi. Credo che ci possa essere un complesso di misure tale da rendere interessante questa nuova sfida, ma devono essere coerenti con il disegno complessivo della riforma e con le funzioni che dovranno essere svolte dalle istituzioni scolastiche». La squadra dei professori che gestisce la scuola va oltre il numero delle cattedre - ha sostenuto Renzi in conferenza stampa illustrando il nuovo ruolo dei dirigenti - e il preside come un allenatore, avrà la possibilità di individuare chi mettere in cattedra a inizio anno ma nel momento in cui qualcuno si ammala o un’insegnante resta incinta e aspetta un bambino, non si va alla graduatoria provinciale ma all’interno dell’organico funzionale: lasciando molta più autonomia ai dirigenti. «Avrei preferito che ci si concentrasse di più su aspetti di vera riforma, non su particolari. Manca un intervento riformatore in un contesto più generale e mancano ancora molti dettagli».
Sarà necessario ancora un po’ di tempo, insomma, per capire. «Il giudizio è sospeso doppiamente. Finché non ci sarà un testo sarà difficile parlare, ma purtroppo trattandosi di una materia che verrà regolata da un disegno di legge sappiamo anche che si dovrà superare un percorso parlamentare che potrà modificare anche in modo esteso il provvedimento iniziale».

DALLA STAMPA DEL 13/3/2015

E sul preside-allenatore è già scontro
Il sottosegretario Faraone:“Avrà un compito di guida per un’intera comunità, come un sindaco” L’opposizione replica: “Il rischio adesso è che diventino comandanti assoluti,autentici sceriffi”

Flavia Amabile

Ieri nelle scuole italiane si respirava un’aria diversa. Gli unici tranquilli erano i prof di ruolo sopravvissuti alla «Buona Scuola» presentata due giorni fa in Consiglio dei ministri senza subire troppi colpi. Gli altri, dai dirigenti ai supplenti e precari si sono svegliati senza sapere bene quale futuro avranno davanti. Il disegno di legge introduce quelli che Renzi ha definito i «presidi-allenatori», dirigenti scolastici che avranno molta più autonomia e più potere. Come ha chiarito il sottosegretario Davide Faraone, «devono avere un compito di guida per un’intera comunità, come un sindaco». E, quindi, «potranno scegliere liberamente da un albo i docenti di cui hanno bisogno e potranno godere di maggiori risorse per tenere le scuole aperte il pomeriggio». E poi potranno «assumere i docenti precari ma non perché lo imponga qualcuno ma per coprire i fabbisogni reali delle scuole». Vuol dire, insomma, non avere vincoli di graduatorie e agire in base a criteri autonomi.
I nuovi manager
È l’evoluzione sulla falsariga europea di un processo iniziato con Letizia Moratti alla guida del ministero dell’Istruzione e l’arrivo dei presidi-manager. Oggi, infatti, si chiamano ufficialmente dirigenti scolastici, controllano i fondi in arrivo dallo Stato, devono fare periodicamente il resoconto del bilancio al Consiglio d’Istituto, firmare ogni circolare o documento emesso dalla scuola, e quindi assumersene la responsabilità alla stessa maniera di un qualunque dirigente d’azienda. Rispetto ai colleghi europei hanno un controllo inferiore con l’alto rischio che alcuni futuri preside-allenatori diventino presidi-sceriffi, «comandanti-assoluti con diritto di vita e di morte sugli insegnanti», come ha commentato dall’opposizione il senatore Fabrizio Bocchino del Gruppo Misto.
È solo l’inizio
Nulla di tutto questo accadrà, assicura la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini in un’intervista a Radio 24. «Il meccanismo di valutazione dei risultati delle scuole, della didattica e dell’apprendimento degli studenti sarà attribuito ai dirigenti scolastici nella parte che loro compete. Chi ha una responsabilità così forte deve renderne conto ed essere valutato». Il processo di valutazione dei dirigenti è però appena agli inizi ed è tutto da vedere se e come funzionerà. Nessun pericolo di favoritismi anche secondo Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi «E’ una vecchia obiezione ma c’è tutto l’interesse del dirigente a scegliere le persone più adatte al progetto educativo altrimenti non si raggiungono i risultati prefissati» anche perché «può esserci una mela marcia ma non per questo bisogna bloccare le riforme».
L’Era Gelmini
Via libera alle riforme, quindi, ma è anche vero che i dirigenti sono una figura già messa a dura prova dai tagli dell’era Gelmini. Non a caso, sono i dirigenti pubblici con il peggior rapporto remunerazione/responsabilità. La parte fissa del loro stipendio – uguale per tutti - è di circa 47.500 euro annui lordi (su 13 mensilità). La parte variabile oscilla fra i 10 e i 15 mila euro annui lordi. E almeno il 35% lo versano in tasse. Arrivano alla nomina dopo aver superato un concorso regionale in via di riforma e che è una delle tante fonti di infiniti ricorsi che rendono la nomina sempre e comunque precaria. In totale sono in 8070 ma erano 10.400 nel 2011. In tre anni si sono persi 2400 posti. In 1300 sono stati cancellati dagli accorpamenti tra Primarie e Medie che hanno portato alla nascita degli istituti comprensivi con grande risparmio di personale. Altri 1100 sono stati cancellati dai tagli dell’era Tremonti che hanno previsto accorpamenti per tutti gli istituti che avevano meno di 600 studenti. Forse saranno presidi-allenatori ma per il momento sembrano soprattutto presidi-panda in via d’estinzione.

(marka) - Novità La scuola comincia la riforma con una maggiore valorizzazione della figura del preside che avrà maggiore potere decisionale nell’ambito delle sue funzioni di capo di Istituto
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GIANNI OLIVA SULLA STAMPA DEL 13/3

La fine di quelle figure burbere
descritte da Dickens e De Amicis
Da custodi delle circolari a motori dell’innovazione

Gianni Oliva*

Nell’immaginario collettivo la figura del «preside» è penetrata con i contorni del personaggio burbero e presuntuoso, custode inflessibile della disciplina della scuola, chiuso in una stanza inaccessibile dalla quale esce con passo solenne per richiamare all’ordine. Edmondo De Amicis ne fa un ritratto impietoso: «La direttrice era una zitellona sui quarantacinque anni, una specie di marescialla dei carabinieri, dalle forme d’una Giunone enfiata, serrata in un busto che la teneva su come una corazza d’acciaio, profondamente persuasa che nessuna donna stesse al di sopra di una direttrice di scuola eccettuata, forse, la regina d’Italia». Stesse immagini all’estero: Charles Dickens descrive il direttore di una scuola mentre parla con slancio retorico in un’aula anonima e monotona. Esasperazioni letterarie ma che colgono nel segno. Per decenni la figura del preside»è stata relegata ad un ruolo marginale: in un sistema scolastico centralizzato come quello italiano, al capo d’istituto era delegata la mera applicazione delle circolari ministeriali e il controllo sull’ordinaria amministrazione della vita scolastica. Per alcuni, l’atteggiamento austero e l’ostentazione di superiorità erano strumenti per affermare un ruolo direttivo che aveva poco spazio.

Una prima svolta si è avuta tra il 1997 e il ’99, quando è stata varata la legge sull’autonomia scolastica e attribuita la qualifica dirigenziale ai responsabili di istituto, accorpando in un’unica figura quelle precedenti del «preside» e «direttore didattico». I due provvedimenti sono strettamente connessi: «scuola dell’autonomia» significa che un Istituto deve organizzare il proprio lavoro in funzione delle competenze dei suoi docenti e dei bisogni della popolazione scolastica cui si rivolge, deve dotarsi di uno specifico «piano dell’offerta formativa», deve saper interagire con il territorio. Per dirigere una scuola autonoma non serve un burocrate ma una figura dinamica che abbia una cultura da «manager».
Riconvertire un «burocrate» in un «manager» non è cosa facile e i corsi di formazione per chi era in servizio hanno prodotto più parole che benefici. Ma a frenare la riconversione è stata l’evanescenza della formula «scuola dell’autonomia». Con gli organici vincolati, la mancanza cronica di risorse finanziarie, le rigidità del sistema, quale autonomia si può perseguire? La seconda svolta, mi auguro, è il disegno di legge Renzi-Giannini che rilancia l’idea di autonomia. Mancano ancora molte specificazioni, ma due cose sono importanti. Primo: l’affermazione che la scuola non deve esaurirsi nella didattica delle mattina: se vogliamo una scuola che proponga stage nelle aziende, che si sviluppi al ritmo del mondo produttivo, che sappia aggiornarsi in tempo reale dobbiamo trasformarla in un centro di formazione, che al mattino funzioni per i ragazzi in età scolare, ma che al pomeriggio e alla sera proponga corsi per adulti, che interagisca con il mondo del lavoro. Solo così il mondo della scuola e quello del lavoro possono confrontarsi. Poi, la rivalutazione delle funzioni del preside. Per dirigere un istituto autonomo, il preside deve avere poteri gestionali, flessibilità nell’individuazione dei docenti, strumenti per premiare il merito (ed essere a sua volta valutato). Basta con la figura del preside burbero e del burocrate: oggi servono presidi dinamici che sappiano trasformare la «scuola delle circolari» nella «scuola della proposta e dell’innovazione».


*Preside e storico


SCEGLIERE I PROF SU UN ELENCO È PERICOLOSO
MARIA TERESA MARTINENGO

«Ma scegliere
i professori
su un elenco
è pericoloso»

Maria Teresa Martinengo

Lorenza Patriarca dirige l’Istituto comprensivo Tommaseo di Torino, scuola storica del centro che quest’anno ha dovuto dire «no» a un centinaio di famiglie: una scuola ricca di proposte e innovativa nella gestione.
Cosa cambierà di più la sua vita di preside con la riforma: la possibilità di scegliere i docenti o le certezze che derivano dall’organico funzionale?
«La novità più importante è senz’altro l’organico funzionale. Io non ho mai desiderato di poter scegliere. Se il sistema fosse quello inglese, con un “board”, un consiglio che valuta le professionalità sulla base del curricolo, d’accordo. Ma scegliere su un elenco, in certe zone d’Italia potrebbe creare addirittura situazioni pericolose, limitare la libertà. Credo che al Sud la maggioranza dei colleghi non voglia questa possibilità, ma voglia più Stato».
Il primo settembre 2015 quanto sarà diverso per lei?
«Finora, con 6-7 posti vacanti per docenti in utilizzo all’Università o con assegnazione provvisoria al Sud, ad ogni inizio d’anno ho dovuto fare i salti mortali per distribuire nel modo più equo possibile le risorse: per evitare situazioni di eccellenza e altre di difficoltà, con personale precario, dequalificato. Poter riconfermare personale di ruolo rende quei posti stabili nella percezione e anche nella realtà».
Un sogno che si realizza?
«L’organico funzionale è il sogno di noi dirigenti: avere docenti utilizzabili in modo flessibile, non solo legati all’ordinamento, ma al progetto di scuola. Ad esempio, chi punta sulle lingue potrà potenziare il curricolo in quella linea».
Il preside premierà il merito di parte dei docenti. Un vantaggio o un rischio per l’armonia della comunità ?
«La scuola dell’autonomia è una partita che si gioca in gruppo. Diciamo che la scuola è rappresentata dal Piano dell’offerta formativa e poi valorizziamo i singoli? Certo, con scuole ormai da 120-150 insegnanti, sono indispensabili figure organizzative intermedie, il preside non basta. Ma sulla didattica, specie nella secondaria, è il consiglio di classe che fa la differenza. Si deve valorizzare la collegialità».
Ha in mente un modello?
«Penso agli obiettivi che si danno le aziende private. A scuola l’obiettivo può essere ridurre l’insuccesso. Un fondo di risorse aggiuntive potrebbe assicurare a tutti una gratificazione economica: nella scuola tutti partecipano alla formazione di un ragazzo».


ANDREA GAVOSTO
Con un ennesimo colpo di scena, il governo ha approvato un disegno di legge sulla scuola, che non solo è ormai parente lontano del documento sulla Buona scuola presentato a settembre, ma è anche sensibilmente diverso dalle linee guida esposte appena una settimana fa. E’ poi probabile che il dibattito parlamentare porterà a ulteriori cambiamenti, anche significativi, al testo: bisogna quindi aspettare che il provvedimento si consolidi, prima di formularne un giudizio definitivo.
Due novità importanti balzano però agli occhi. In primo luogo, il governo chiede al Parlamento una delega amplissima per riformare la scuola nei prossimi 18 mesi, di fatto azzerando tutta la legislazione attualmente in vigore. Potrebbe essere l’occasione per dare un impulso decisivo al nostro sistema scolastico e condurlo ai vertici europei. Per farlo, però, occorre non solo eliminare le decennali incrostazioni normative e organizzative che il nostro sistema di istruzione si porta dietro, ma anche – e forse soprattutto - definire quali conoscenze e competenze si vuole che la scuola sviluppi, quali orientamenti pedagogici e didattici vadano seguiti e, coerentemente con queste scelte, quali insegnanti sia necessario formare e assumere. Un compito che richiede un dibattito pubblico molto più ampio e profondo di quello avvenuto finora.

L’altra novità è l’enorme rilievo attribuito all’autonomia delle singole scuole e, in particolare, del dirigente scolastico. Da quello che si capisce – ma qui le cautele legate all’iter parlamentare sono davvero d’obbligo – il preside potrà selezionare i docenti da impiegare nella propria scuola da albi (provinciali?) che contengono i neo-assunti e i docenti di ruolo che vogliono spostarsi altrove; lo potrà fare sulla base di un piano triennale dei fabbisogni della sua scuola, corrispondente all’offerta formativa e vidimato dal ministero.
La proposta rappresenta un cambiamento di grande portata: in questo modo, infatti, si garantirebbe alle scuole la possibilità di scegliersi, in larga misura, gli insegnanti e ai docenti quella di scegliersi le scuole. In particolare, il dirigente si assumerebbe la piena responsabilità di definire e realizzare gli obiettivi della scuola, formando la squadra dei collaboratori. Il Governo punta dunque a un preside-manager, con ampi poteri discrezionali. Perché questo nuovo ruolo del preside, sulla carta molto positivo, sia davvero un veicolo di miglioramento della scuola, occorre però che si realizzino alcune condizioni importanti. In primo luogo, che si riesca a selezionare dirigenti con spiccate attitudini gestionali: una recente ricerca internazionale a cui ha partecipato la Fondazione Agnelli mostra come i nostri presidi non ne abbiano ancora a sufficienza. In secondo luogo, un’autonomia del dirigente scolastico così vasta deve avere almeno due contrappesi. Da un lato, un consiglio di istituto che vagli preliminarmente le proposte del dirigente e abbia la possibilità di criticarle e al limite impedirle, se impraticabili o sbagliate: da questo punto di vista, la governance della scuola andrebbe riformata e arricchita. Dall’altro, un efficace sistema per giudicare a posteriori le scelte e i risultati del preside, che nello spirito del disegno di legge, coincide largamente con una valutazione esterna della scuola. Oggi, il sistema nazionale di valutazione, deciso nel 2013, procede con lentezza e si limita a questionari di autovalutazione che le scuole devono compilare: davvero troppo poco per giudicare l’operato di una scuola autonoma.
Direttore Fondazione Giovanni Agnelli

ORSOLA RIVA SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 13/3
«Ci hanno chiamato in tutti i modi: presidi leader, presidi manager. Adesso va di moda il preside sindaco. Sono 15 anni che l’autonomia scolastica è ferma ai nastri di partenza e noi dirigenti abbiamo ormai i muscoli anchilosati a furia di aspettare lo sparo del via».
Tommaso De Luca è il preside di una delle più antiche scuole d’Italia, l’Istituto tecnico Avogadro di Torino: duecento anni di vita, nobili padrini in casa del conte Camillo Benso di Cavour, una storia di rapporti consolidati con il Politecnico e con le aziende della città, una tradizione che va avanti a furia di innovazioni continue.
De Luca è uno dei 7.777 presidi a cui la riforma della scuola di marca renziana vorrebbe attribuire più poteri, e che poteri: elaborazione di un piano dell’offerta formativa triennale con ampi margini di manovra nella modulazione del curriculum degli studenti, chiamata diretta dei prof, assegnazione di un premio economico ai docenti in base ai risultati ottenuti.
«Cose meritorie sulla carta — commenta De Luca —. Sempre, però, che si riescano a fare. Troppe volte un disegno di legge è uscito snaturato dal dibattito in Parlamento. E poi ci sono molti aspetti ancora da chiarire. La chiamata diretta, per esempio. Poter scegliere l’insegnante più adatto alle proprie esigenze didattiche sarebbe bellissimo. Ma prima bisognerebbe modificare il sistema di reclutamento, che funziona per classi di concorso che abilitano all’insegnamento di 3-4 materie diverse. Oggi se io ho bisogno di un docente di robotica e si presenta da me un ingegnere laureato in meccanica del tutto privo di competenze specifiche, non posso certo fare lo schizzinoso e mandarlo via. Quello esce dal mio ufficio e entra dal giudice del lavoro».
Il problema è che la chiamata diretta può funzionare nel privato, ma nella Pubblica amministrazione aprirebbe la strada a una marea di cause civili. Che nel 70 per cento dei casi si risolvono a vantaggio del ricorrente.
Anche sulla programmazione triennale De Luca ha dei dubbi di fattibilità: «Già oggi facciamo i salti mortali per riuscire a chiudere il bilancio di previsione a febbraio. Vuol dire 5 mesi dopo l’inizio della scuola. Tanto ci vuole per riuscire ad accertare con sicurezza le risorse a disposizione. Il problema è che l’anno scolastico va dal 1°settembre al 31 agosto mentre quello finanziario dal 1° gennaio al 31 dicembre. Figuriamoci se dovessimo fare una programmazione triennale. Ci vorrebbe certezza di risorse da oggi al 2017…».
Ma il punto della riforma che suscita più perplessità in De Luca sono i premi ai prof decisi dal dirigente. È tutto quello che resta, per ora, del progetto iniziale di legare la retribuzione dei docenti oltre che agli scatti di anzianità anche al merito.
I duecento milioni di «bonus» messi sul piatto all’ultimo dal governo lasciano anch’essi forti dubbi. «Si rischia la guerra del preside con il collegio docenti — spiega De Luca —. E io non posso certo fare la Buona scuola contro i miei professori, posso farla soltanto con loro». Non che il preside dell’Avogadro sia contrario alla valutazione dei docenti, tutt’altro, ma prima bisognerebbe fissare dei criteri generali in modo da ridurre al minimo il margine di arbitrarietà: «Difficile attribuire i risultati di una classe al singolo docente: troppe le variabili in gioco — spiega —. Diverso invece è il caso di un insegnante di inglese che si dà da fare per organizzare gemellaggi e scambi internazionali. Questo impegno aggiuntivo arricchisce oggettivamente l’offerta formativa e gli andrebbe riconosciuto economicamente».
Ma soprattutto De Luca insiste che la valutazione non può essere una procedura tutta interna alla scuola. «Il preside può pesare solo per una piccola parte. Il grosso dev’essere affidato agli ispettori. Che devono valutare anche noi. Senza valutazione esterna sarebbe come immaginare di regolare il traffico senza vigili: ma si immagina cosa succederebbe se quando uno passa con il rosso toccasse a lui darsi la multa e togliersi i punti dalla patente?».

GIANNA FREGONARA SUL CDS DEL 13/3/2015
I l ministro Stefania Giannini ha voluto essere precisa: i precari assunti a settembre saranno 100.701 con un aumento del 9,8% dell’organico della scuola: «E così finiscono le graduatorie ad esaurimento e avremo un organico che corrisponde a quello che serve». Non proprio, perché nonostante venga assunto un nuovo insegnante ogni dieci già di ruolo, a settembre serviranno ancora supplenti. Lo ha spiegato il premier Matteo Renzi: ci vorranno diecimila contratti a termine. E per materie non secondarie anche in un curriculum flessibile: le graduatorie sono già esaurite in molte province, specialmente al Nord, per gli insegnanti di italiano, matematica (nelle medie) e inglese. I ragazzi dunque avranno ancora supplenti in attesa del concorso che, secondo la Buona scuola, avrebbe già dovuto essere bandito in questo mese di marzo per arrivare a settembre del 2016 con i nuovi insegnanti in cattedra per tutte le materie. Ma che fine hanno fatto gli altri cinquantamila precari di cui si è parlato in questi mesi? Dai conti fatti al ministero, ripuliti dalle assunzioni di quest’anno, dal piano per il sostegno, gli insegnanti delle Gae da assumere risultavano poco più di 120 mila. Dopo settimane di ipotesi e di consultazioni anche con gli avvocati, Renzi e Giannini hanno deciso che invece di limare ulteriormente le graduatorie cancellando quanti non hanno più insegnato negli ultimi anni, sarebbe stato meglio fare un’infornata complessiva che limitasse i ricorsi e i risarcimenti. E così tutti dentro i precari storici più i vincitori del concorso del 2012, anche se non più di 50-60 mila hanno insegnato nell’ultimo anno e se sono in graduatorie che geograficamente non corrispondono alle necessità della scuola, essendo soprattutto al Sud. Resta ancora aperta la graduatoria degli insegnanti delle materne — circa 23 mila — che aspettano la riforma del settore. Ma gli altri precari sono sul piede di guerra: non solo gli idonei del concorso 2012 che non vorrebbero ripetere i test, ma soprattutto i 60 mila professori delle graduatorie di istituto che anche quest’anno sono in cattedra come supplenti: di questi solo 10 mila, forse 15 mila, riavranno il posto. Per gli altri l’alternativa è l’attesa del concorso — rimanendo almeno un anno senza stipendio — o la causa. Sperando che un giudice estenda anche a loro la sentenza della Corte europea che impone di assumere chi ha insegnato almeno 36 mesi.

ROGER ABRAVANEL
L a «Buona scuola» è stata finalmente varata e le critiche non sono tardate. Non sono diverse da quelle che hanno accompagnato ogni riforma degli ultimi 20 anni e, purtroppo, nessuna affronta le vere carenze.
La scorsa domenica, su questo quotidiano, Ernesto Galli della Loggia ha scritto che manca una «visione» di come migliorare la scuola italiana. È vero, ma quale deve essere? C’è quella, implicita in questa riforma, secondo cui per migliorare basta trattare un po’ meglio gli insegnanti, stabilizzandoli e pagandoli di più. C’è l’opinione — molto diffusa, specie tra intellettuali e docenti universitari — per cui ci vorrebbe un ritorno al passato, a una scuola di élite senza smartphone che insegni una cultura soprattutto umanistica per restituirle la sua (presunta) antica capacità di formazione culturale e morale del Paese. Al passato vorrebbero tornare anche molti imprenditori che richiedono la scuola dei «mestieri», magari quelli più «utili» al mondo del lavoro di oggi: più informatica, più periti meccatronici per le aziende manifatturiere, più storia dell’arte e inglese per il turismo. Sindacati e studenti ripetono infine il mantra: più diritto allo studio.
È raro però che una «visione» per il futuro possa basarsi su un ritorno al passato. Soprattutto, non potrà mai nascere se non c’è accordo sulla domanda di fondo: a che serve la scuola del nuovo millennio?
I migliori sistemi educativi del mondo hanno da tempo dato una risposta: serve a formare le competenze del XXI secolo, cioè imparare a ragionare con la propria testa, avere spirito critico, risolvere problemi e impegnarsi a fondo, innovare e migliorare, comunicare e interagire, soprattutto in team. Queste abilità rappresentano oggi una nuova dimensione del termine «cultura» e sono richieste a gran voce dalle aziende capaci di affrontare le sfide di questo secolo, quelle che offrono la maggior parte dei posti di lavoro. Ma sono utili anche per essere buoni cittadini, elettori, genitori, coniugi e risparmiatori: per questo vengono anche chiamate «competenze della vita».
I sondaggi ci dicono che, secondo la maggioranza dei datori di lavoro, la scuola italiana non insegna a sufficienza queste competenze, mentre quasi tutti i docenti sono invece convinti del contrario (e non vedono quindi l’esigenza di cambiare). Ed è questa la causa principale dell’elevata disoccupazione giovanile in Italia, da molto prima che iniziasse la crisi.
Dopo 50 anni di tentativi abortiti di creare una vera istruzione di massa la vera sfida è quindi oggi quella di cambiare radicalmente il percorso formativo di un giovane tra i 14 e i 22 anni. Questa «visione» deve appoggiarsi su un numero di riforme essenziali che mancano alla «Buona scuola».
In primis, fare durare di meno il percorso formativo, riducendo forse gli anni delle superiori ed eliminando la piaga dei fuori corso all’università, che spesso ritardano la laurea per ottenere un 110 e lode (che comunque un datore di lavoro apprezza meno di un buon voto ottenuto nei tempi previsti).
Secondo, valutare seriamente le scuole e soprattutto i loro presidi, il cui ruolo la «Buona scuola» intende rivalutare. Ciò ha scatenato le critiche contro la «scuola azienda» e il suo «preside manager con troppo potere». Purtroppo chi critica non sa che non di potere si tratta, ma di bravura nel guidare un team di insegnanti. Nel mondo è noto che le scuole migliori hanno presidi eccellenti e che in Italia ce ne sono migliaia di ottimi, ma anche di mediocri. La valutazione di un istituto e del suo preside deve essere quindi basata su una valutazione esterna e obiettiva e non può essere lasciata alla «autovalutazione» come previsto dalla riforma e come richiesto da molti insegnanti: questo sistema potrebbe funzionare, al limite, solo in Finlandia (dove ci sono le migliori scuole d’Europa) e nei migliori istituti italiani.
Terzo, vanno ripensati radicalmente curriculum e didattica, che devono essere meno nozionistici e più capaci di formare quel pensiero critico misurabile con i test tipo Invalsi e Pisa. Non conta più tanto che cosa , ma come si studia, e questo comporta una rivoluzione della didattica (in classe e a casa) e un enorme sforzo di riqualificazione e formazione on the job degli insegnanti.
Quarto, un apprendistato alla tedesca. Che non è uno stage: perché, dai 14 ai 17 anni, i giovani tedeschi passano metà del loro tempo lavorando in fabbriche e uffici, imparando non tanto un mestiere, quanto le competenze necessarie nel mondo del lavoro. È un apprendistato ben diverso dall’alternanza scuola-lavoro italiana, dove gli istituti organizzano visite in aziende quasi fossero zoo, e i giovani fanno brevi stage con mansioni ai margini del lavoro aziendale. Gli studenti italiani che rifiutano l’idea dell’apprendistato alla tedesca dimenticano che quest’ultimo è la principale ragione della bassa disoccupazione giovanile in quel Paese.
Infine, l’esigenza di restituire alla scuola italiana la sua capacità di certificare il merito in modo credibile. Oggi i datori di lavoro non credono più ai voti, dato che ancora nel 2014 i cento e lode alla maturità al Sud continuano ad essere il doppio che al Nord. Peraltro, nulla cambierà fino a quando non evolverà radicalmente la mentalità di molte famiglie che vedono il voto come una valutazione della persona e non della prestazione, che per definizione è migliorabile se il colloquio con i docenti si sposta dal piano di una «trattativa» a quello di una serie di suggerimenti per fare meglio.
Solo le famiglie italiane veramente interessate al futuro dei loro giovani potranno avviare questo tipo di riforme così radicali. Ma per farlo, devono imparare a comportarsi da veri «clienti della scuola». Non farlo comporterà il rischio di continuare a essere quello che sono state negli ultimi 20 anni: vere e proprie fabbriche di disoccupati. meritocrazia.corriere.it
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