Veronica Bianchini, Vanity Fair 11/3/2015, 11 marzo 2015
CARA NON USCIRE TI SPARANO
«Sono Fernando, corro sui kart e vorrei diventare un pilota di Formula 1». Sarebbero state queste le prime parole pronunciate dal pilota Alonso ai medici, dopo l’incidente del 22 febbraio sul circuito del Montmeló, vicino a Barcellona. Come se fosse il 1995 e vent’anni della sua vita fossero stati cancellati. Una perdita di memoria, per fortuna solo transitoria, che, quando accade, lascia i familiari completamente disorientati, come ci racconta Barbara: «È successo anche a mio marito Mario: quando si è svegliato dal coma, dopo un brutto incidente stradale, pensava di avere vent’anni e di vivere ancora a Torino con i suoi genitori e i suoi fratelli. È stato terribile».
Era il giugno del 2014 quando Mario, che fa il cuoco, tornando dal lavoro sul suo scooter, all’una di notte sulla statale Aurelia viene centrato in pieno da un’auto. Uno scontro violentissimo, la corsa al pronto soccorso, un ematoma frontale. Arrivato in ospedale è ancora lucido, racconta la sua versione dei fatti e dice alla moglie di stare tranquilla, poi calano le tenebre. «Nella notte è entrato in coma e per più di un mese non si è risvegliato. Per le prime 72 ore per noi contava solo che restasse vivo. Superato questo primo step ci hanno spiegato che anche se fosse sopravvissuto non si potevano prevedere le sue condizioni. Poteva perdere l’uso di un braccio o di una gamba o la memoria.
«Circa un mese dopo l’incidente, ancora molto sedato, cominciò a parlarci. Apparentemente riconosceva me, i nostri figli, mia madre, ma pensava che fossimo a Torino e di vivere con i suoi. Quando gli spiegavamo che eravamo all’ospedale di Fontanellato, vicino a Parma, dove stava cominciando la sua riabilitazione, si interrompeva un attimo e poi riprendeva il filo dei suoi pensieri. Un giorno ci disse che dovevamo trasferirlo in un altro ospedale torinese perché quello in cui stava era troppo lontano da casa sua e sua madre faceva fatica a camminare (mentre sua madre è ormai sulla carrozzella, ndr). Un altro ordinò a suo fratello di portarlo subito a casa e diede l’indirizzo di dove viveva da ragazzino».
Per qualche tempo Mario crede di essere nel 1990, poi i suoi ricordi fanno un salto in avanti. Parla della prima moglie e della loro casa, sempre a Torino, rievoca persone conosciute allora. «Noi cercavamo di riportarlo al presente», dice ancora Barbara, «anche se la situazione era molto angosciante. Ci chiedevamo quanto dipendesse dai farmaci, quanto dal coma, quanto dall’ematoma. Ci ha messo circa un mese e mezzo per recuperare 33 anni di memoria, quella dai 20 ai 53 anni. Era come se ogni settimana ripescasse da qualche luogo ignoto del suo cervello un tassello del suo passato e rimettesse insieme un altro pezzo del puzzle.
«Mario ricordava i progetti che avevamo fatto per il futuro, sapeva che avevamo prenotato un viaggio a New York per settembre, ma molto del nostro passato insieme sembrava perduto. I medici non sapevano se il processo di recupero sarebbe giunto alla fine. Un giorno arrivai da lui e lo trovai particolarmente agitato. Pensava che vivessimo vicino a Piacenza, dove abitavamo anni prima, e che avessimo ancora il ristorante, mi chiedeva con insistenza chi ci fosse in quel momento a gestirlo. Poi mi domandò di alcuni nostri amici che non frequentavamo da anni. Un’altra volta era convinto che fossimo nella ex Jugoslavia, dove era stato prima ancora di conoscermi, e che ci fosse la guerra. Mi disse: “Dove vai? Non uscire di qui. Tutti parlano straniero, sparano. È molto pericoloso”. Finché una mattina, finalmente, si convinse di essere a Ceriale, dove viviamo ora. Ricordo che lo trovai che guardava fuori, cercando il mare all’orizzonte. Capii che era tornato. Ora ricorda tutto, tranne l’incidente che per lui resta ancora un buco nero: ci dicono, però, che anche quel momento potrebbe riaffiorare all’improvviso, magari persino in sogno».