Stefano Cingolani, Panorama 12/3/2015, 12 marzo 2015
DOVE ARRIVA LA TELA DI BASSANINI
La rete a banda larga? Ci pensa la Cassa depositi e prestiti. Nazionalizzare l’Ilva? Nessun problema. Il piano Juncker? Ecco qua otto miliardi di euro. Liquidare al più presto i debiti dello Stato e spendere per opere di pubblica utilità? La Cdp era nata proprio per questo a Torino nel lontano 1850. L’ufficio studi ha calcolato che senza di lei il prodotto lordo italiano sarebbe inferiore di due punti percentuali, forse anche di più con tutti gli impegni che si è presa. Lei sempre lei, la caposala dello stato ospedale diventa volano della ripresa.
Alla guida di questo caterpillar delle partecipazioni statali c’è un banchiere che viene dal mondo privato, Giovanni Gorno Tempini, e un professore, Franco Bassanini, 74 anni, giurista che ha attraversato i mille sentieri della politica, ex socialista e costruttore di complesse architetture istituzionali, come Alberto Beneduce, il plenipotenziario economico di Mussolini, inventore dell’Iri.
Bassanini, abbandonato il Psi in contrasto con Bettino Craxi, ha aderito al Partito comunista nel 1981. Parlamentare di lungo corso; membro di una infinità di commissioni e consigli di amministrazione in Italia e in Francia, sua seconda patria che gli ha attribuito la Legion d’onore; ministro nei governi Prodi, D’Alema e Amato. Ha cercato di semplificare la pubblica amministrazione con alcuni risultati (l’autocertificazione) e ha lasciato un’impronta sulla riforma dell’articolo quinto della Costituzione, che devolve parte del potere alle Regioni. Il suo pensatoio Astrid continua a sfornare proposte a tutto spiano alle quali attingono i ministri, come Marianna Madia (Pubblica amministrazione e semplificazione). La seconda moglie Linda Lanzillotta, anch’essa ex ministro ed esponente del Pd, è vicepresidente del Senato: il suo nome era circolato quando si cercava una candidata per il Quirinale. Ma, nonostante la vasta rete relazionale, Bassanini sarebbe rimasto un influente suggeritore se il caso e la necessità non gli avessero messo tra le mani la Cassa.
Tutto comincia nel 2003 con Giulio Tremonti. L’introduzione del patto di stabilità interno che distribuisce le risorse agli enti locali, ha svuotato la Cdp. Un peccato perché in Francia la sua sorella maggiore Caisse des dépôts era diventata la holding di tutte le principali imprese pubbliche, mentre in Germania la Kreditanstalt für wiederaufbau fondata per gestire il piano Marshall, aveva aggiunto una funzione in più: sostenere il mittelstand, le medie aziende industriali. Proprio grazie a Cdc e Kfw i due Paesi hanno ottenuto di parcheggiare una fetta di debito fuori dal perimetro statale. Tremonti, così, fa entrare nel capitale della Cdp le Fondazioni bancarie (oggi hanno il 18,4 per cento), un escamotage per aumentare lo spazio di manovra delle finanze pubbliche.
Quando scoppia la Grande crisi nel 2008, il palazzone di via Goito a Roma diventa una diga contro la tempesta. E qui arriva Bassanini, nominato presidente come espressione delle Fondazioni bancarie grazie a Giuseppe Guzzetti, e di un milieu politico-culturale che ruota attorno a Giuliano Amato, vecchio amico fin dagli Anni 70.
La Cdp ha molte braccia operative: il Fondo strategico italiano, il Fondo per le infrastrutture, una società immobiliare. È la principale azionista di Eni, Terna e Snam. Ha assorbito anche la Sace che assicura l’export e Fintecna erede dell’Iri attraverso al quale oggi passa il salvataggio Ilva. Come utilizzare questi strumenti? Nel quartier generale romano hanno individuato tre missioni: 1) sostenere i settori industriali strategici; 2) consolidare le infrastrutture produttive; 3) diventare la rete delle reti (gas, luce, telefoni). Tutti compiti che richiedono di erogare il credito e qui cominciano i problemi: chi paga e chi vigila?
Se fosse un vera banca avrebbe bisogno di rafforzare il patrimonio oggi pari a 19,5 miliardi. Per aumentare le munizioni a valle, la Cdp ha stipulato accordi con fondi strategici stranieri: con i cinesi nelle reti, con i russi per la cooperazione economica, con il Kuwait e il Qatar per il Made in Italy. In tutto entrano oltre 4 miliardi.
La Banca d’Italia preme e persino la Corte dei conti chiede chiarezza. Bassanini si copre dietro le cugine d’Oltralpe, anch’esse creature dalla doppia identità. Intanto, i bond della Cassa italiana non entrano tra gli acquisti decisi da Mario Draghi, proprio ora che ha deciso di rivolgersi direttamente ai piccoli risparmiatori. La Cdp emette buoni e libretti collocati dalle Poste: sono 244 miliardi al 30 giugno 2014 su un totale di attività pari a 344 miliardi. Da lunedì 9 febbraio ha lanciato un’obbligazione rivolta ai privati con tasso fisso dell’1,75 per cento nei primi due anni e variabile nei successivi cinque, garantendo mezzo punto oltre l’Euribor, il tasso di riferimento europeo.
Le banche ordinarie lamentano una concorrenza sleale perché gli interessi offerti sono sostenuti dallo Stato. E adesso anche la Sace vuol fare la banca, quotandosi in borsa. L’erogazione diretta di crediti darebbe una potenza di fuoco di 20 miliardi di euro e l’innovazione è gradita alla Confindustria dalla quale proviene il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi. Una operazione del genere, però, verrebbe osteggiata dalle banche, e la stessa Cdp non vuol certo perdere un anello importante della sua catena.
Tanti ruoli, tante tensioni. Come quelle provocate nel settore alberghiero per l’ingresso del Fondo strategico nella società inglese di Rocco Forte. Ma le più acute sono senza dubbio nelle telecomunicazioni. Bassanini vuole collegare l’Italia con la fibra ottica. La Metroweb della quale è presidente, è l’unica ad avere una vera rete soprattutto a Milano. Quindi, può diventare il perno attorno al quale far ruotare gli operatori privati. Sia Vodafone sia Wind sono interessati. Telecom Italia anche, ma solo se comanda con il 51 per cento. La Cdp ribatte: prima gli investimenti poi si discute il controllo azionario. Il governo è diviso, però le idee di Bassanini si sono fatte strada nel ministero dello Sviluppo e a palazzo Chigi. Così sarebbe nata l’idea di un decreto che avrebbe dovuto metter fine alla rete in rame nel 2030. Telecom Italia ha messo in moto la sua potenza di fuoco e ha stoppato la manovra. Per ora. Perché Matteo Renzi vuole fare della banda larga un’altra medaglia da mostrare a Bruxelles. La Cdp, dunque, diventa uno strumento prezioso e Bassanini che non fa parte della ristretta cerchia renziana, si piazza al centro per recitare da protagonista, come i vecchi attori formatisi all’accademia e consumati da cento palcoscenici.