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 2015  marzo 11 Mercoledì calendario

LA SCIENZA? NON MI FIDO


In una scena del capolavoro comico di Stanley Kubrick Il dottor Stranamore, Jack D. Ripper, un generale americano ribelle che ordina un attacco nucleare contro l’Unione Sovietica, spiega la sua visione paranoica del mondo, e la ragione per cui beve “solo acqua piovana o distillata e solo alcol medicinale”, a Lionel Mandrake, un ansiosissimo colonnello della Royal Air Force.

RIPPER: Lei sa cos’è la fluorocontaminazione? Fluorocontaminazione dell’acqua?
MANDRAKE: Sì, sì, ne ho sentito parlare, Jack. Sì, sì.
RIPPER: Ma lo sa che cos’è?
MANDRAKE: No, no, non credo di saperlo. ripper: Quindi lei non sa che la fluorocontaminazione è forse il piano più mostruoso che i comunisti abbiano mai concepito ai nostri danni?
QUANDO IL FILM uscì, nel 1964, i vantaggi della fluorizzazione per la salute erano stati ampiamente dimostrati e le relative teorie del complotto potevano essere considerate oggetto di comicità. Mezzo secolo più tardi, essa continua a suscitare paure e paranoie. Nel 2013 gli abitanti di Portland, nell’Oregon, una delle poche grandi città americane che non fluorizzano l’acqua, hanno bloccato un piano delle autorità locali per invertire la tendenza. Agli oppositori del progetto non piaceva l’idea che il governo aggiungesse “sostanze chimiche” alla loro acqua, convinti che il fluoro fosse nocivo per la salute. In realtà, il fluoro è un minerale presente in natura che, in basse percentuali come quelle utilizzate negli impianti pubblici di acqua potabile, rinforza lo smalto dei denti e previene la formazione di carie: un sistema economico e sicuro per migliorare la salute dentale di tutti, ricchi e poveri. Così affermano la scienza e la medicina.
Eppure, alcuni abitanti di Portland, facendo eco agli attivisti anti-fluorizzazione del resto del mondo, hanno risposto: noi non vi crediamo.
Viviamo in un’epoca in cui qualsiasi tipo di conoscenza scientifica, dalla sicurezza del fluoro e dei vaccini alla realtà dei cambiamenti climatici, diventa oggetto di contestazioni organizzate e spesso feroci. Rinfrancati dalle loro fonti di informazione e dalla loro interpretazione delle ricerche, i dubbiosi hanno dichiarato guerra al consenso degli esperti. La tendenza è così diffusa – ne parlano libri, articoli e conferenze accademiche – da rendere il dubbio scientifico quasi un fenomeno di cultura popolare. Nel film Interstellar, ambientato in un’America futuristica e depressa in cui la Nasa è costretta a nascondersi, i libri scolastici affermano che gli allunaggi delle missioni Apollo sono un’invenzione. In un certo senso, tutto ciò non è sorprendente. Le nostre vite sono sature di scienza e tecnologia come mai prima d’ora. Per molti questo nuovo mondo è pieno di sorprese, soddisfacente e ricco di gratificazioni, ma anche più complesso e talvolta inquietante.
Fronteggiamo rischi difficili da analizzare. Per esempio ci viene chiesto di accettare come sicuro il consumo di cibo contenente organismi geneticamente modificati (Ogm) perché non esistono prove del contrario e non vi è alcuna ragione per credere che l’alterazione selettiva dei geni in laboratorio sia più dannosa della loro trasformazione mediante tecniche di riproduzione tradizionali. Ma per alcuni l’idea stessa di trasferire geni da una specie all’altra riporta alla mente l’immagine di scienziati pazzi che lavorano in modo incontrollato. Il mondo è pieno di pericoli reali e immaginari e non è semplice distinguere gli uni dagli altri. Dovremmo temere che il virus dell’Ebola, che si diffonde soltanto attraverso il contatto diretto con fluidi corporei, si trasformi in una super-epidemia, trasmessa per via aerea? Secondo gli scienziati è improbabile: non è mai stato osservato un virus che abbia cambiato completamente metodo di trasmissione negli esseri umani e non esistono prove che il più recente ceppo di Ebola sia diverso. Digitate “Ebola trasmessa per via aerea” in un motore di ricerca. Vi ritroverete immersi in un panorama distorto in cui il virus avrebbe poteri quasi soprannaturali, compreso quello di ucciderci tutti. In questo scenario sconcertante, siamo chiamati a decidere in cosa credere e come comportarci di conseguenza. In teoria, la scienza serve proprio a questo. «La scienza non è un insieme di fatti», sostiene la geofisica Marcia McNutt, direttrice della prestigiosa rivista Science. «La scienza è un metodo per stabilire se ciò in cui decidiamo di credere trovi fondamento o meno nelle leggi della natura». Ma alla maggior parte di noi l’applicazione del metodo non risulta naturale, e per questo continuiamo a incorrere in equivoci.
LE RADICI DEL PROBLEMA risalgono, come è noto, al passato. Il metodo scientifico ci conduce a verità assai poco scontate, spesso sconcertanti e talvolta difficili da digerire. Agli inizi del Seicento, quando Galileo affermò che la Terra ruota sul proprio asse e orbita attorno al Sole, lo scienziato chiese alle persone di credere in qualcosa che andava contro il buon senso; infatti, sembra proprio che sia il Sole a ruotare intorno alla Terra e il movimento del nostro pianeta non è percepibile. Galileo fu mandato a processo e costretto a ritrattare. Due secoli dopo, Charles Darwin sfuggì alla medesima sorte, ma l’idea che ogni forma di vita sulla Terra derivi da un antenato primordiale e che noi umani siamo lontani parenti di scimmie, balene e persino molluschi degli abissi è ancora difficile da accettare per molti. Lo stesso vale per un’altra nozione ottocentesca, ovvero che l’anidride carbonica, un gas invisibile che respiriamo costantemente e che compone meno dello 0,001 per cento dell’atmosfera, possa alterare il clima terrestre.
Anche quando accettiamo questi principi scientifici sul piano logico, a livello inconscio rimaniamo legati alle nostre intuizioni, che gli scienziati considerano convinzioni ingenue. Un recente studio di Andrew Shtulman dell’Occidental College ha dimostrato che persino gli studenti con un alto livello di istruzione scientifica si trovavano mentalmente in difficoltà quando veniva loro chiesto di confermare o negare che l’uomo discende da organismi marini o che la Terra ruota intorno al Sole. Entrambe queste verità si scontrano infatti con l’intuizione. Anche gli studenti che avevano risposto correttamente reagivano più lentamente a questi quesiti rispetto a quelli in cui veniva chiesto se gli uomini discendano da organismi che vivevano sugli alberi (vero ma più immediato da comprendere) o se la Luna ruoti attorno alla Terra (vero ma intuitivo). La ricerca di Shtulman dimostra che, con l’aumentare della nostra conoscenza scientifica, possiamo reprimere le nostre convinzioni ingenue senza però cancellarle mai del tutto.
Molti di noi si affidano all’esperienza personale e al sentito dire, basandosi su aneddoti e non su dati statistici. C’è chi decide di sottoporsi al dosaggio dell’antigene prostatico specifico, anche se non più raccomandato dai medici, dopo che il test ha diagnosticato il cancro di un caro amico. Oppure ci capita di sentir parlare di una serie di casi di cancro in una città dove ha sede una discarica di rifiuti tossici, e diamo per scontato che sia l’inquinamento a causare i tumori. Ma il fatto che due situazioni avvengano contemporaneamente non implica che una sia la causa dell’altra, e solo perché alcuni eventi si verificano “a grappolo” non significa che non siano frutto del caso.
Facciamo fatica ad accettare la casualità; la nostra mente esige schemi e significati. Tuttavia la scienza ci mette in guardia dal pericolo di ingannare noi stessi. Per essere certi che esista un legame di causa-effetto tra la discarica e i casi di tumore, è necessaria un’analisi statistica che dimostri che il numero di tumori è molto superiore del previsto, che le vittime sono state esposte alle sostanze emesse dalla discarica e che queste sostanze sono effettivamente cancerogene.
Il metodo scientifico è una disciplina complessa per gli stessi scienziati. Come tutti, anch’essi sono esposti al bias di conferma, la tendenza a cercare e vedere solo le dimostrazioni di ciò che ritengono già vero. Ma, a differenza di tutti noi, gli scienziati sottopongono le loro idee a revisione formale da parte di colleghi prima di pubblicarle. Una volta diffusi i risultati, se sufficientemente importanti, altri scienziati cercheranno di riprodurli e, da individui scettici e competitivi per natura, non vedranno l’ora di annunciare che i primi non reggono. I risultati scientifici sono sempre provvisori, suscettibili di capovolgimento da parte di esperimenti od osservazioni successive. È raro che gli scienziati proclamino verità o certezze assolute. Ai confini della conoscenza, l’incertezza è inevitabile.
Capita anche agli scienziati di perdere di vista gli ideali del metodo scientifico. Specialmente in ambito di ricerca biomedica, esiste una tendenza preoccupante a ottenere risultati non riproducibili al di fuori del laboratorio in cui sono stati raggiunti, un fenomeno che ha portato alla richiesta di maggiore trasparenza sul modo in cui vengono svolte le ricerche. Francis Collins, direttore dei National Institutes of Health, teme in modo particolare la “ricetta segreta”, cioè le procedure specializzate, i software su misura e gli ingredienti rari, che i ricercatori non condividono con i colleghi. Ma rimane fiducioso verso il quadro generale.
«La scienza porterà alla verità», dice Collins. «Magari non al primo o al secondo tentativo, ma prima o poi ci riuscirà».

LO SCORSO AUTUNNO il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, composto da centinaia di scienziati che lavorano sotto l’egida delle Nazioni Unite, ha pubblicato il suo quinto rapporto degli ultimi 25 anni, che ribadisce in modo più chiaro e deciso che mai il punto di vista degli scienziati di tutto il mondo: la temperatura della superficie del pianeta è aumentata di circa 0,8 gradi centigradi negli ultimi 130 anni ed è estremamente probabile che le attività umane, tra cui il consumo di combustibili fossili, siano state la causa principale del riscaldamento atmosferico fin dalla metà del Novecento. Molte persone negli Stati Uniti – in percentuale molto maggiore rispetto agli altri paesi – continuano a dubitare delle opinioni degli scienziati o ritengono che gli ambientalisti sfruttino la minaccia del riscaldamento globale per colpire il libero mercato e la società industriale.
L’idea che centinaia di scienziati da tutto il mondo possano collaborare a una farsa di simile portata è ridicola: gli scienziati adorano smentirsi a vicenda. È chiaro tuttavia che alcune organizzazioni, finanziate in parte dall’industria dei combustibili fossili, hanno tentato palesemente di indebolire il sostegno del pubblico verso il consenso scientifico appoggiando un gruppetto di scettici. I mezzi di informazione dedicano ampio spazio a questi cani sciolti, contestatori, professionisti del complotto e urlatori seriali, e al tempo stesso vorrebbero farci credere che la scienza pulluli di strabilianti scoperte fatte da geni solitari. Ma le cose non stanno così. Per quanto noiosa, la verità è che la scienza progredisce in genere a piccoli passi, tramite l’accumulo costante di dati e opinioni raccolte da molte persone nel corso di numerosi anni. Questo è il caso delle scoperte sui cambiamenti climatici, che non svaniranno per magia alla prossima misurazione delle temperature. Per quanto fuorviami, gli sforzi di “pubbliche relazioni” del settore industriale non bastano a spiegare perché, secondo il più recente sondaggio del Pew Research Center, soltanto il 40 per cento degli americani riconosce che l’attività umana sia la causa principale del riscaldamento globale.
Il “problema di comunicazione della scienza”, come viene banalmente chiamato dagli specialisti, ha portato a svariate nuove ricerche sul modo in cui le persone decidono di credere a qualcosa e sul perché si oppongano così spesso al consenso scientifico. Secondo Dan Kahan, della Yale University, non si tratta di un problema di comprensione. In uno studio, Kahan ha chiesto a un campione rappresentativo di 1.540 americani di attribuire un punteggio da uno a dieci alla minaccia dei cambiamenti climatici. Ha poi correlato i punteggi analfabetismo scientifico dei partecipanti, scoprendo che a un maggiore livello di conoscenza corrispondevano opinioni più nette, a entrambi gli estremi della scala di punteggio. La conoscenza scientifica produceva quindi una polarizzazione delle opinioni sul clima, non un consenso. Secondo Kahan, ciò è dovuto al fatto che le persone tendono a usare la conoscenza scientifica per rafforzare convinzioni precedentemente formate secondo la loro visione del mondo.
Kahan sostiene che gli americani si dividono in due categorie. Quelli con una mentalità più egualitaria e comunitaria tendono a sospettare del settore industriale, a credere che l’intervento del governo sia necessario per regolarne le malefatte, ed è probabile che percepiscano il rischio del riscaldamento globale. Al contrario, le persone con una mentalità gerarchica e individualista rispettano i leader dell’industria e non vogliono che il governo interferisca nei loro affari; tendono a respingere gli allarmi sui cambiamenti climatici perché consapevoli di ciò che provocherebbe la loro accettazione, ovvero qualche tipo di imposta o legge per ridurre le emissioni.
Negli Stati Uniti, il riscaldamento globale è diventato una sorta di cartina di tornasole che identifica l’appartenenza dei cittadini a una di queste due tribù antagoniste. Kahan afferma che, quando discutiamo di cambiamenti climatici, in realtà stiamo affermando la nostra identità e la nostra appartenenza a un gruppo. Siamo convinti che le persone a noi simili la pensino allo stesso modo e che quelle diverse da noi la pensino diversamente. Per un individualista gerarchico, dice Kahan, negare la scienza del clima non è una questione di irrazionalità: accettarla non sarebbe la fine del mondo, ma lo farebbe probabilmente cacciare dalla sua stessa tribù.
La scienza fa appello alla nostra razionalità ma le nostre convinzioni sono dettate in gran parte dalle emozioni, e la motivazione più grande è quella di rimanere uniti ai nostri simili. «È come se fossimo ancora al liceo», dice Marcia McNutt. «Le persone sentono ancora la necessità di far parte di un gruppo, ed è un bisogno così forte da far sì che i valori e le opinioni locali abbiano sempre la meglio sulla scienza. E continueranno ad avere la meglio, specialmente perché non esiste alcun effetto collaterale evidente nell’ignorarla». Nel frattempo Internet aiuta gli scettici dei cambiamenti climatici e i dubbiosi di ogni genere a trovare informazioni ed esperti che confermino la loro visione. Sono ormai lontani i tempi in cui un numero limitato di istituzioni autorevoli – le università più esclusive, le enciclopedie, i colossi dell’informazione e persino National Geographic – erano i detentori dell’informazione scientifica. Il web ha reso democratica l’informazione ma, insieme alla televisione via cavo, ci permette di vivere in una “bolla filtrata” a cui possono accedere soltanto le informazioni con cui già concordiamo.
Come possiamo far scoppiare la bolla? E come convertire gli scettici del clima? Fornire loro altri dati non serve. Liz Neeley, che aiuta gli scienziati a migliorare la comunicazione presso un’organizzazione chiamata Compass, afferma che le persone hanno bisogno di ricevere le informazioni da fonti fidate, che condividono gli stessi valori fondamentali. La Neeley lo ha vissuto sulla sua pelle; il padre è infatti uno scettico del clima che si informa principalmente tramite mezzi di comunicazione di impronta conservatrice. In preda all’esasperazione, Neely ha affrontato il padre chiedendogli: «Credi più a loro o a me?», e dicendogli che lei stessa aveva fiducia negli scienziati del clima e ne conosceva alcuni personalmente. «Se pensi che io abbia torto», ha aggiunto, «significa che non hai fiducia in me».

SE SIETE DEI RAZIONALISTI, vi sentirete un po’ scoraggiati da tutto ciò. Secondo la teoria di Kahan sul modo in cui decidiamo in che cosa credere, le decisioni sembrano talvolta frutto del caso. Noi che ci occupiamo di comunicazione scientifica ci comportiamo in modo settario come tutti gli altri, mi ha rivelato. Crediamo nelle idee scientifiche non tanto perché abbiamo esaminato tutte le prove a disposizione, ma per la nostra affinità verso la comunità scientifica.
Quando ho detto a Kahan di credere profondamente nella teoria dell’evoluzione, mi ha risposto: «Credere nell’evoluzione è solo un modo per descrivere chi sei, non come ragioni».
Forse è così, tranne per il fatto che l’evoluzione esiste realmente. Senza di essa, la biologia sarebbe inspiegabile. Non tutte le cose hanno un rovescio della medaglia. I cambiamenti climatici si stanno realmente verificando. I vaccini salvano davvero la vita. Avere ragione ha la sua importanza, e la tribù scientifica ha dimostrato numerose volte di essere dalla parte della ragione. La stessa società moderna si basa su intuizioni su cui la scienza ha fatto centro.
Anche dubitare della scienza può avere le sue conseguenze. Le persone (spesso istruite e benestanti) che credono che i vaccini provochino l’autismo espongono “l’immunità di branco” al rischio di malattie come la pertosse e il morbillo. Il movimento anti-vaccini è andato rinforzandosi da quando la prestigiosa rivista medica britannica Lancet ha pubblicato uno studio nel 1998 che associava un comune vaccino all’autismo. In seguito la rivista ha ritirato lo studio, ampiamente screditato, ma la possibilità di un legame tra vaccino e autismo ha ricevuto il sostegno di personaggi famosi ed è stata corroborata dai consueti filtri forniti da Internet (l’attrice Jenny McCarthy, attivista anti-vaccini, ha affermato all’Oprah Winfrey Show di essersi «laureata all’Università di Google»).
Nel dibattito sul clima, le conseguenze del dubbio saranno probabilmente durature e di portata globale. Negli Stati Uniti, gli scettici del clima hanno raggiunto il loro obiettivo principale: bloccare interventi legislativi per contrastare il riscaldamento globale. Non hanno nemmeno dovuto dimostrare di avere ragione: è bastato loro fare abbastanza rumore per fermare l’adozione di leggi che limitassero l’emissione di gas serra.

ALCUNI AMBIENTALISTI vorrebbero che gli scienziati rinunciassero al loro isolamento per sporcarsi le mani con le battaglie politiche. Secondo Liz Neeley, questa strada richiede molta cautela: «Una volta oltrepassato il confine tra la comunicazione scientifica e l’attivismo è molto difficile tornare indietro». Nel dibattito sui cambiamenti climatici, l’accusa principale degli scettici è che le affermazioni scientifiche sulla veridicità e la gravità di questo fenomeno siano influenzate dalla politica e guidate dall’attivismo ambientalista, non dai numeri. Ciò è falso e offende gli scienziati onesti, ma potrebbe essere percepito come plausibile se gli scienziati varcassero la soglia della conoscenza professionale per farsi sostenitori di determinate politiche.
È proprio il loro distacco, il cosiddetto “approccio a sangue freddo” della scienza, a renderla uno strumento invincibile. È il modo in cui la scienza ci racconta la realtà, non quello che vorremmo sentire. Gli scienziati possono essere dogmatici come chiunque altro, ma i loro dogmi sono costantemente a rischio di smentita grazie alle nuove scoperte. Per la scienza, non è peccato cambiare idea quando i risultati lo richiedono. Per alcune persone, l’appartenenza alla tribù conta più della verità; per i migliori scienziati, la verità è più importante della tribù.
Il pensiero scientifico deve essere insegnato, e talvolta non viene insegnato correttamente, afferma la McNutt. Gli studenti concludono che la scienza è un insieme di fatti, non un metodo. La ricerca di Shtulman ha rivelato che persino molti studenti universitari non comprendono appieno il significato di prova scientifica. Il metodo scientifico non è un concetto innato ma, a pensarci bene, non lo è nemmeno la democrazia; nessuno dei due è esistito per gran parte della storia dell’umanità. Gli uomini si sono uccisi per conquistare un trono, hanno pregato il dio della pioggia e, nel bene ma soprattutto nel male, si sono comportati in modo simile ai propri antenati preistorici.

OGGI ASSISTIAMO a cambiamenti repentini, il che può talvolta spaventare, e non tutti portano al progresso. La nostra scienza ha reso l’uomo l’organismo dominante (con tutto il rispetto per le formiche e le alghe verdi-azzurre) e stiamo trasformando l’intero pianeta. Naturalmente è giusto avere dubbi su alcune delle cose che la scienza e la tecnologia ci consentono di fare. «Tutti dovremmo porci delle domande», dice McNutt. «Questo è il segno distintivo di uno scienziato. Ma poi dovremmo usare il metodo scientifico, o fidarci di chi lo applica, per decidere da che parte stare riguardo a queste questioni». Dobbiamo migliorare il modo di trovare le risposte, perché quel che è certo è che le domande non diventeranno più semplici.

Joel Achenbach, corrispondente scientifico del Washington Post, scrive per National Geographic dal 1998.