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 2015  marzo 07 Sabato calendario

PERDERE APPOSTA. QUESTA SI È UNA FEDE


Chi è d’accordo lo definisce un modo brillante di pianificare il futuro, un progetto scientifico raffinato. Chi no, accusa i Philadelphia 76ers di “tanking”, cioè perdere apposta per assicurarsi le più alte probabilità alla lotteria per la scelta n.1 del draft, e di cinismo, sfruttando un sistema messo in piedi per aiutare le squadre deboli, non per ricompensare l’incompetenza intenzionale.
Lo ha inventato Sam Hinkie, il general manager preso nel 2013 dagli Houston Rockets, dove era assistente di Daryl Morey, uno che crede all’analisi dei dati con la foga di un predicatore televisivo. Hinkie ha portato la fede nelle statistiche in territori inesplorati. Sta rifondando la squadra sul principio-base della nuova religione: il processo che porta a una decisione, sia essa la selezione di un tiro o la scelta di un investimento, è più importante del risultato. E il risultato è che l’anno scorso i Sixers hanno chiuso la stagione a 19-63 (il secondo peggior risultato della Lega, eguagliando anche il record per la striscia di sconfitte consecutive, 26) e quest’anno le proiezioni li danno a 17-65 (ancora secondi, migliori solo dei New York Knicks).
Adottando una logica controintuitiva, quella per cui la miglior strada per la vetta passa attraverso gli abissi, i Sixers si sono trasformati da squadra di basket in esperimento d’avanguardia. Prendono al draft giocatori che non possono giocare (come Joel Embiid, per infortunio, o Dario Saric, per limiti di età) e scambiano quelli che invece possono per future scelte. Negli ultimi due anni hanno messo sul mercato tutti i giocatori di qualche talento: Jrue Holiday, Thaddeus Young, Evan Turner, Spencer Hawes e Michael Carter-Williams. Sempre fidando sui numeri: Carter-Williams, per esempio, è 45° fra i play nonostante fosse stato l’anno scorso il rookie of the year.
Così hanno ammassato un patrimonio enorme: quattro potenziali scelte al primo turno e sei al secondo nel prossimo draft, oltre che nove al secondo fra il 2016 e il 2020. Ma anche intangibile e precario: niente è meno certo del talento che verrà. In più sono 11 milioni sotto il tetto salariale e hanno un margine di manovra doppio rispetto a qualsiasi altra franchigia. Ma pagano un prezzo altrettanto alto. Oltre a numeri imbarazzanti nella casella vittorie-sconfitte, schierano gente nota solo alla propria cerchia familiare, che non sarebbe in quintetto in nessun’altrasquadra. Eccetto, forse, i Knicks.
I rumorosi tifosi di Philadelphia stanno alla finestra. Tra i favorevoli è popolare l’hashtag #INHINKIEWETRUST; uno, Eric Negron, si è fatto un cappellino di lana con un carro armato che ha sulla fiancata il logo dei Sixers. I contro si limitano a disertare il Wells Fargo Center (terzultimo nella Lega per numero di spettatori) o a inscenare contestazioni ironiche: al Martin Luther King Day, due si sono presentati sugli spalti con un sacchettodi carta in testa e la scritta: “Ho un sogno... ma i Sixers l’hanno scambiato per una scelta al secondo giro”.
Se i draft saranno fortunati; se Embiid, Saric e Nerlens Noel (n.6 nel 2013, mollato dai New Orleans Pelicans per un infortunio e preso in cambio di Holiday e una scelta al primo turno) saranno all’altezza del loro potenziale, se lo spazio nel tetto salariale sarà usato per mettere sotto contratto free agent di valore, allora i Sixers diventeranno presto una squadra dominante. Sono molti se. E serviranno a stabilirne un altro, il più intrigante di tutti: se Hinkie è davvero un genio o solo un genio nel far credere di essere un genio.