Ann Friedman, D, la Repubblica 7/3/2015, 7 marzo 2015
UN UOMO AL MIO SERVIZIO
Suona il campanello, e nella veranda vedo un’ombra a forma di uomo. Le mie amiche, otto delle quali sono in salotto con i bicchieri in mano, attaccano a ridere. Prima di raggiungere la porta vibra il telefono. Un messaggio: «Ciao, Ann! Matthieu è qui e sta aspettando fuori. Buona serata». Comincio a sudare. «Buonasera, signora», dice lui quando apro. Matthieu è di una bellezza aggraziata, sui 25 anni, con morbidi capelli castani che scoprono la fronte come un principe Disney. Indossa un completo blu scuro attillato e quasi lucido. Mi porge un mazzo di tulipani avvolti in una striscia di iuta. Con l’altra mano regge un cestino pieno d’uva. Matthieu (nome d’arte scelto per dare un tocco europeo alla sua immagine) è qui per servirmi. E adesso io devo capire cosa diavolo fargli fare per le prossime due ore.
Ho pagato ben 125 dollari alla start-up ManServants per avere un gentiluomo che per 120 minuti soddisfi ogni mio capriccio. O meglio, ogni mio capriccio non sessuale: Matthieu infatti deve tenersi i vestiti addosso. A San Francisco, città dove abbondano sia i soldi che i servizi finanziati da venture capital per spenderli, le donne possono acquistare per i loro addii al nubilato e le loro serate fra ragazze, lo svago ideale per dare piacere agli occhi senza compromettere la virtù. Non riesco a stabilire se sia un trionfo per il femminismo o la cosa più retrograda mai sentita. Ma oggi posso scoprirlo da me. Siamo tutte a disagio. Molto a disagio. La tensione nell’aria e più spessa della fetta di brie sul tavolino. Matthieu chiede se può offrirci un cocktail, poi si guarda intorno e vede che abbiamo già un bicchiere di vino in mano. Oops: ci siamo già dimenticate che è qui per servirci. Lui cerca di intavolare una conversazione. Non capisco come mai continui a chiederci se abbiamo letto le ultime notizie sull’epidemia di Ebola. Cerchiamo di cambiare discorso, ma lui continua a snocciolare titoli sconfortanti sul numero di vittime in Africa occidentale. Sono confusa. Poi mi ricordo il modulo, nel quale ho scritto anche: «Mi piacciono gli uomini che leggono il giornale». Comincio a sudare copiosamente, così gli chiedo di farmi vento.
ManServants cerca di rispondere a un’annosa domanda: che cosa vogliono le donne? «Il punto non è che cosa vogliono secondo gli uomini. É che cosa vogliono davvero», dice Dalal Khajah, cofondatrice di ManServants. Lei, Wai Lin, la cofondatrice, e Annie Pariseau, la «direttrice del traffico» di ManServants, hanno tutte tra i 20 e i 30 anni, e una certa eleganza West Coast: stampe colorate, lunghi capelli mossi. Non sembrano donne che la compagnia maschile devono pagarla. A sentire loro, vogliamo essere adorate. Ed essere viste mentre veniamo adorate. Vogliamo un bell’uomo in completo elegante che ci inondi di complimenti e intuisca al volo ogni nostro bisogno. Vogliamo un tocco di teatralità e il brivido delle attenzioni di un uomo, senza preoccuparci di trasmettere i segnali sbagliati o dovercene sbarazzare a fine serata.
Nell’epoca di Tinder, la App per trovare partner disponibili in zona, creare un’azienda con una visione così morigerata della sessualità femminile può sembrare sciocco. Ma ManServants rappresenta anche un ribaltamento dei ruoli. «Abbiamo capito che le donne vogliono un servitore. Un gentiluomo elegante che non punti subito al sesso. Che sia premuroso, affascinante. E per un giorno ti faccia sentire regina», Khajah.
Ma se il servitore non si spoglia, che fa? Il sito offre suggerimenti. Per le serate fra ragazze: «In discoteca, sarà la vostra guardia del corpo: vi andrà a prendere da bere, terrà alla larga i seccatori, vi accompagnerà in macchina o verrà a prendervi all’ingresso». Per gli addii al nubilato: «Immaginate una via di mezzo fra un elegante maggiordomo e un tuttofare sexy: vi verserà da bere, servirà gli affettati e fotograferà tutto l’evento». Matthieu ha portato con sé un flacone di nebulizzatore per viso Evian («Non rovina il trucco!»). Mi fa aria con un ventaglio e mi serve svariati piatti di formaggio e frutta. Declinando un massaggio alle mani, gli ordino educatamente di massaggiarle a una mia amica. Un’altra prende una raccolta di poesie di Anne Sexton dalla libreria e gli chiede di leggerne una. Matthieu incespica su alcune parole, e a un certo punto si interrompe per chiederci: «Qualcuno sa cosa sia uno scirocco?». Gli chiediamo di cercarlo su Google. Questa faccenda del servitore comincia a piacerci. Dopo un approfondito servizio fotografico, qualche altra spruzzata di Evian sul viso e tanti complimenti («Siete tutte così belle e spiritose»), esauriamo le opzioni di intrattenimento casalingo, quindi decidiamo di spostarci in un bar. Ed è li che il servitore si rivela davvero utile. In un bar piccolo e affollato, Matthieu trova un tavolo abbastanza grande per tutte e noi decidiamo di ordinare altro vino. Consegno a Matthieu la mia carta di credito e lo spedisco al bancone. Quando il barista ci porta due bottiglie di rosé, lui e Matthieu si squadrano per capire chi avrà l’onore di servircelo. «Ah, ho capito di che si tratta», dice poi il barista, lasciando fare a Matthieu. Nel frattempo tutto il bar si é accorto di noi. E ci fissa.
Mentre il tasso alcolico aumenta, Matthieu provvede a un secondo massaggio alle mani, a un’altra amica. Mi fa un sacco di domande. Scatta una foto a due delle presenti e mette a disposizione le sue competenze di «esperto di Instagram», applicando filtri lusinghieri e inserendo l’hashtag #zigomialti. Una di noi accenna al fatto che insegna yoga in una palestra di Potrero Hill. Matthieu drizza le antenne. «Io vado spesso a Potrero Hill», dice. «Mi potete trovare al Whole Foods di Potrero il lunedì, il martedì e il giovedì». Ah, quindi non è un dipendente di start-up che nel weekend scambia la felpa con lo smoking per intrattenere le donne. È un aspirante modello-attore che lavora in un supermercato e fa gli occhi dolci alla mia amica insegnante di yoga.
Proprio quando stiamo per andarcene, al tavolo viene servito un vassoio di bicchieri di champagne. Non è chiaro se sia un regalo di Matthieu o del barista, che sembra in competizione con lui per stabilire chi é più premuroso. Mi torna in mente il mio fidanzato quando gli ho detto che avrei assunto un servitore: «Ma ce l’hai già, un servitore!». Forse l’effetto collaterale più interessante di questo servizio é il modo in cui sfrutta la competitività maschile a vantaggio delle donne. Puntualmente, gli uomini vogliono surclassare il manservant. Controllo l’ora e mi accorgo che abbiamo sforato di quindici minuti. Gli straordinari hanno un costo esorbitante. «Ok!» esclamo. «È ora di andare». Matthieu mi rassicura: non ci farà pagare il tempo extra. Più tardi, quando io non posso sentirlo, dice ad alcune delle mie amiche il suo vero nome. Ma qui non lo scriverò. Violerebbe il codice di condotta.
(Guardian News&Media Ltd-Traduzione di Matteo Colombo)