Tommaso Labranca, Libero 11/3/2015, 11 marzo 2015
I VERI PROTAGONISTI DEI FILM? PER HITCHCOCK ERANO GLI ACCENDINI
I film non sono fatti solo di personaggi e di storie, di città e grandi spazi. Questi sono tutti elementi che creano l’illusione e aumentano la distanza con lo spettatore. Rendono impossibile, per chi guarda, l’immedesimazione diretta.
Un’ambientazione storica ricostruita, gli scenari creati con i computer sono spettacolari, ma lontani. Gli animi più semplici possono provare fratellanza con donne sedotte e abbandonate, con quarantenni in crisi e con tutta quell’umanità che si agita nella pellicola. Ma è un altro il vero momento in cui scatta la perfetta coincidenza tra quelli fatti-di-luce sullo schermo e noi fatti-di-carne in platea. Questo momento arriva quando la camera entra in una casa, ce ne mostra le stanze, si sofferma sugli oggetti. E noi, di volta in volta, scopriamo di avere case simili, di possedere quegli stessi oggetti. Oppure di desiderare quelle abitazioni e quelle cose. Il ruolo degli oggetti nel cinema è ora approfondito in maniera più che appagante da Antonio Costa nel suo libro La mela di Cézanne e l’accendino di Hitchcock (Piccola Biblioteca Einaudi, 35 euro). Il sottotitolo del saggio, Il senso delle cose nei film, indica subito dove indugi l’occhio di Antonio Costa, saggista e storico del cinema oltre che professore presso diverse università in Italia, Francia e Canada.
Un occhio allenato a sezionare le pellicole, quello di Costa, corroborato da una perfetta miscela tra curiosità ed erudizione che fa scoprire cose altrimenti invisibili allo sguardo del profano. Chi dei tanti cultori di Woody Allen e del suo film Provaci ancora, Sam si è mai accorto che sulla scacchiera che appare in una scena tra Allen e Tony Roberts è ricostruito lo stesso schema studiato da Bogart in Casablanca? Pochi, e questo è un peccato perché si perde l’impegno profuso dai registi nel mandare certi segnali.
Segnali che a volte sono richiami sornioni, come quello di Allen, a volte sono elementi fondamentali in una trama, come l’accendino citato nel titolo e che appare in Delitto per delitto di Alfred Hitchcock. A volte entrano quasi involontariamente, quasi spinti dall’inconscio, in pellicole persino ingenue come quelle della protocommedia all’italiana. E, infine, a volte inseriti a forza nel fotogramma dal regista per costruirsi l’aura di manipolatore del nostro inconscio (non dovrei fare nomi, ma il sopravvalutato Lynch mi pare uno di questi). Spesso sono gli oggetti anonimi, secondari, silenziosi, finiti quasi casualmente dentro l’inquadratura e a creare lo spirito del tempo e a rendere indimenticabile una pellicola. E ancora più forte è l’effetto se oggetto e film sono contemporanei, non ricostruzioni storiche, sia maniacali come quelle di Luchino Visconti, sia sciatte come quelle di Franco Zeffirelli che non badò molto alla congruità tra epoca e modelli d’automobile quando girò il poco memorabile film su Maria Callas.
Forse i più interessanti sono i film in cui l’azione dello scenografo è irrilevante. Quelli in cui la camera irrompe quasi all’improvviso in una casa e ce la offre così com’è, senza fare distinzioni qualitative. La camera a spalla traballante di Dogma 95 che entra e riprende quello che trova ha lo stesso valore testimoniale di certi film con Nino d’Angelo girati, per risparmiare sui costi, nell’appartamento stesso del produttore. Che per l’inutile studioso di inutilità (il «ropografo» per citare un termine degli studiosi d’arte riproposto anche da Antonio Costa) ha una preziosità simile a quella che una villa pompeiana preservata dall’eruzione e completa di affreschi e arredi ha per un archeologo.
Gli oggetti che dalla vita quotidiana arrivano sullo schermo tornano poi nella vita di tutti i giorni carichi di un nuovo «senso delle cose».
Diventano la spinta a un nuovo tipo di immedesimazione che va oltre il semplice identificarsi in un un personaggio copiandone l’abbigliamento, lo sguardo o i comportamenti. L’immedesimazione moderna è fatta più che altro di lifestyle, in quanto lo spettatore è convinto di essere già affine al personaggio. La signora disinibita ha già in sé il Dna libertino di Carrie, quello che le manca per perfezionarlo è la doppia coppa Martini da cui sorseggiare il Cosmopolitan. L’omosessuale trentenne ha già in sé tutte le sofferenze delle creature özpetekiane, quello che gli manca per perfezionarle è un tavolone rustico di legno intorno al quale sciorinarle ad amici più sofferenti di lui.
Ecco dunque che gli interni e gli oggetti sono il vero elemento che fa scatenare l’emulazione. E oltre: sono il vero elemento che dà a un film il valore di testimonianza storica del momento in cui è stato realizzato, più della storia che racconta. Un modello dimenticato di televisore appena intravisto in un film degli Anni 70 ha più forza evocativa per il periodo di qualsiasi riferimento sociale sviscerato lungo tutta la pellicola.