Notizie tratte da: Gianni Minà # Il mio Ali # Rizzoli – Rai Eri 2014 # pp. 448, 18 euro., 11 marzo 2015
LIBRO IN GOCCE NUMERO 27
(Il mio Ali)
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IL PUGILE ALÌ SUONÒ E BREZNEV APRÌ –
Negri. «È dura essere un negro. Ti è mai capitato di esserlo? A me sì, una volta, quando ero povero» (Larry Holmes, ex campione del mondo dei pesi massimi ed ex sparring partner di Ali).
Applauso. La sera dell’81 in cui, a trentanove anni, Mohamed Alì (Cassius Clay) tornò sul ring dopo tre anni di inattività e si fece picchiare senza sapersi difendere da Larry Holmes. Nella conferenza stampa dopo il match Holmes non finiva di elogiarlo: «Quest’uomo mi ha insegnato la boxe, mi ha insegnato la dignità, mi ha insegnato a vivere...». Alì allora prese il microfono e guardando Holmes disse: «Ma allora perché mi hai menato?». La sala stampa scoppiò in un applauso fragoroso.
Dundee. Nel 1959 a Louisville (Kentucky) un giovanissimo Cassius Clay si presentò ad Angelo Dundee, allora procuratore del campione del mondo Willie Pastrano. «Venne a trovarmi nell’albergo dove stavo con Pastrano. Lo feci salire. Era lungo e secco. Si presentò subito così: “Sono il più grande pugile che sia mai apparso sul ring. E siccome so che lei è il più bravo allenatore che c’è in America, io voglio farmi guidare da lei». Mi misi a ridere, ma capii che quel ragazzo non mentiva».
Bianchi. Ali rivolto a Frazier, nel gennaio 1974, alla vigilia della rivincita al Madison Square Garden: «Io non sono un nero come te che compri pellicce di visone e Rolls-Royce...». E Frazier: «Io però non vado in Rolls-Royce nei ghetti...». E Ali. «Tu nei ghetti non ci vai proprio, hai troppi amici bianchi».
Inizio. Nel 1955 a Louisville qualcuno aveva rubato la bicicletta di Cassius Clay, fuori da un locale dove era in programma un concerto rock. Cassius andò allora a lamentarsi alla stazione di polizia che stava lì a fianco e un poliziotto gli consigliò di imparare a tirar cazzotti se voleva davvero vendicarsi. Lo accompagnò poi nello scantinato sottostante dove c’era una palestra e gli fece firmare un foglio. Iniziò così la carriera di pugile di Cassius Clay.
Breznev. «Sono arrivato a Mosca e ho suonato il campanello al Cremlino: sono Muhammad Ali, ho detto, e Breznev mi ha ricevuto subito».
Autobus. «A Roma ero diventato campione del mondo e credevo di rappresentare un vanto per il mio Paese. Ricordo che giravo tutto il giorno con la medaglia al collo e non me la toglievo nemmeno quando andavo a dormire. Finirono le Olimpiadi e partimmo per New York. Anche lì feste e complimenti, qualcosa sembrava davvero cambiato nella mia vita di povero nero di Louisville. Ma poi presi un altro aereo e andai a casa. Arrivai in città e presi un autobus; avevo sempre la medaglia al collo ma qualcuno, incurante, mi disse con molta freddezza che essendo nero era meglio che mi accomodassi in fondo alla vettura. Capii che nulla era cambiato nella mia vita, che nulla sarebbe mai cambiato. Rimasi di questa opinione finché non incontrai Elijah Muhammad».
Trucchi. Cassius Clay divenne campione del mondo superando Sonny Liston in due match che, probabilmente, furono truccati. È una storia che nella boxe americana ormai si racconta senza reticenze, perché non intacca il valore e neanche la buona fede di Clay, ma è anche una storia che Clay non ha mai accettato.
Vietnam. Nel 1967 si rifiutò di prestare servizio militare in Vietnam per «motivi religiosi e di coscienza». Fu assolto, ma gli venne ritirata la licenza di pugile per tre anni, dal 1976 al 70. Perse così il titolo mondiale conquistato nel ’64 contro Sonny Liston e, secondo i calcoli degli esperti, circa 10 milioni di dollari dell’epoca per l’inattività.
Dio. «Il mio Dio mi ha dato talmente tanto nei primi quarant’anni che, se adesso mi toglie qualcosa, sono sempre in pari con la vita».
Giorgio Dell’Arti, Il Sole 24 Ore 11/3/2015