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 2015  marzo 09 Lunedì calendario

1. ALDO BUSI CONTRO TRAVAGLIO, DIFENSORE DELLA PRIVACY OMOSESSUALE DI LUCIO DALLA - 2. “QUESTO DIRITTO ALLA PRIVACY SESSUALE PERÒ “IL FATTO” NON L’HA MAI RISPETTATO VERSO LA SESSUALITÀ DI SILVIO BERLUSCONI, MENO IMMORALE DI QUELLA DI DALLA PERCHÉ ESIBITA” [2

pezzi] –

MAIL DI ALDO BUSI A DAGOSPIA
Se mai dagospia.com deciderà di pubblicare il mio testo apparso oggi lunedì 9 marzo su “il Fatto”, benché Vi sarei grato se non lo pubblicaste, desidero si sappia che ho strenuamente tentato di ritirarlo per dissociarmi da quella testata ma era già andato in stampa, e questo subito dopo aver letto l’articolo di Marco Travaglio in difesa dell’indifendibile Lucio Dalla.

Tale articolo del Direttore, del 7 marzo, è apparso a fianco di quello di Pino Corrias, articolo, quello di Corrias, che senza altri ammennicoli nei dintorni avrebbe fatto il punto sull’unica cosa che ancora si poteva dire e ribadire senza altre divagazioni minate dalla sufficienza del dandy da strapaese: che la furbesca, miope, tenebrosa, omofoba e angosciante condotta di Dalla è stata disastrosa non solo per la crescita civile e culturale della nazione ma persino per il suo compagno di una vita, spacciato in chiesa durante le esequie per suo “fedele collaboratore”, il quale, in mancanza di un testamento, è stato privato di ogni diritto di successione patrimoniale - elemosine a parte, forse.

Travaglio si lancia in una difesa spericolata e romantica, per non dire altro, del diritto alla privacy in tema di sessualità, cioè, nello specifico dallesco, offre uno scudo all’ipocrisia più nefasta e nefanda che permette ai suoi interessatissimi e disgraziati adepti di mietere ricchi allori in ogni campo (a loro gli onori e a me, tanto per citarne uno perché poi così tanti non siamo, gli oneri, le querele e ogni smacco e marameo).

Io non ne posso più di gente che miete solo messi altrui senza aver mai seminato niente su cui fondare un cambiamento di civiltà, una speranza politica e laica per tutti i cittadini indistintamente, niente ha mietuto mai questa genia saprofita di ligi chierichetti a buco ritto a parte il facile sentimentalismo canzonettaro o letterario di uno zero come tanti, non isolato, però di panza, panza molto capiente in fatto di mercato e quindi di ogni specie di santi in paradiso, a destra, a sinistra, dove più fa comodo a entrambe le parti una e trina e, se occorre, doppia, sdoppiata, rasente e anche in absentia per accordi tra collusi al business del consenso.

Il Dalla, abile facitore e propalatore di marcette populiste, omosessuale rinnegatore di se stesso non certo a letto ma dove conta affermarsi se si ha il talento della libertà da diffondere dando il buon esempio, cioè sulla pubblica piazza, e menefreghista doc, non ha fatto niente per i diritti civili, quindi remandovi scientemente contro, dei più deboli, tra cui quei cittadini cosiddetti gay e lesbiche che tuttora in Italia sono visti come degli appestati dalla clericalissima e corrottissima classe politica dominante che premia i “diversi” se si attengono al ruolo di macchietta o di “discreto” e “insospettabile”, che della macchietta è la ridicola esaltazione piccolo borghese ovunque, televisione, parlamento, spettacolo, Chiesa, imprenditoria, sport e, ovviamente, nel giornalismo anche più impegnato (anche se, per quanto a schiena dritta, si direbbe impegnato a raddrizzare le zampe ai cani tanta è la paura dell’omosessuale occulto di venire azzoppato lui: perché chi parla di politica e di etica civile senza esprimersi sul motore stesso dell’economia, cioè sulla propria inconfessabile sessualità e sui suoi fantasmi desideranti o rimossi o frustrati o vissuti di nascosto anche da se stesso, non ha ancora detto nulla in tema di politica e di riforme e di cambiamento che valga la pena di ascoltare, tesi centrale del mio ultimo e imminente romanzo).

Questo diritto alla privacy sessuale però “il Fatto” non l’ha mai rispettato verso la sessualità di Silvio Berlusconi, seppure parimenti devastante su altri piani ma infinitamente meno immorale di quella di Dalla perché manifesta, esibita sia al pubblico ludibrio dei bacchettoni sia alla segreta invidia dei più italioti, e però oziosamente perseguita e perseguitata nei tribunali per una faccenda, massimamente, di un paio di mesi in meno rispetto a una età del consenso saltata ormai da almeno trent’anni nella vita sociale e civile e sessuale in ogni parte del mondo e che nelle prostitute schiavizzate sotto gli occhi di tutti ai cigli delle strade nostrane arriva a malapena ai sedici senza che nessuno muova istituzionalmente una falange (basti vedere di che cosa sono capaci le baby gang di quattordicenni organizzate probabilmente dai genitori stessi molto più vampiri pedofili sfruttatori dei loro eventuali estimatori da ricattare, anche se a costoro ben gli sta e malgrado dovrebbe essere un reato da depenalizzare almeno oltre i quattordici anni ovvero da aggiornare nei suoi ipocriti, obsoleti e patetici paletti anagrafici portatori di criminalità indotta poi soggetta alla discrezionalità di giudici più o meno ammanicati con la classe sociale o di potere degli accusati, che alla fine della sonata giuridica e mediatica mi sembra la facciano spudoratamente fin troppo franca).

Secondo lo zelante Travaglio che, almeno sul giornale, ha l’ultima parola e azzera di fatto l’opinione di Corrias ridotta a mero pretesto per il suo direttoriale testo con tutti i crismi della sacralità più monsignorile, Dalla, al contrario quindi di me, ci avrebbe dato “una lezione di eleganza, di discrezione e di stile” risparmiandoci “il rito tragicomico del coming out”, che sarebbe una forma di esibizionismo consona tutt’al più ai programmi di Barbara d’Urso (eh sì, la signora è dei “de” con la minuscola) ovvero, deduco, ai carri mascherati di pessimo gusto di gentaglia, sempre come il sottoscritto, che farebbe meglio a stare zitta e a spargersi cenere sul capo secondo riti più discreti, eleganti e dallo stile più di inconfondibile e permessa grazia. Convinto lui...

Morale: Travaglio stia pure con i suoi cadaveri di fatto o ambulanti che siano, un vivo come me è al di sopra della sua portata e del suo foglio. Mi tolgo di mezzo più che volentieri, e rimpiangerò solo di aver dato alla Società Editoriale il Fatto ben due libri - per fortuna, secondo i resoconti rapportati alla tiratura, andati malissimo.

Non mi è riuscito di bloccare il testo pubblicato oggi, ma di sicuro “il Fatto” non avrà, come mi ero ripromesso, l’anticipazione di Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata) in uscita tra una decina di giorni.

Spero almeno che tanta fatica sprecata serva a fare un bel po’ di pubblicità anche al mio romanzo: è proprio bello, divertente, sessuale, logico, compassionevole, avveniristico, anticlericale e di quella sana oscenità pagana di una volta, e non c’è niente di paragonabile in giro in libreria, figuriamoci sui giornali, uno si rifà proprio la bocca e i sensi tutti.
Bella forza, m’ha detto uno che ha avuto il privilegio di leggerlo in anteprima, l’hai scritto tu.

Aldo Busi

«IPOCRITA SU DALLA E IL CAV» ALDO BUSI MOLLA TRAVAGLIO –
Libero
C’è il giornalista della carta stampata, ma anche dirigente di lungo corso di Rai Fiction, che taccia Lucio Dalla di ipocrisia per avere sempre glissato circa la propria omosessualità. C’è il corsivista notissimo, fresco direttore del quotidiano da lui co-fondato, il quale, rivendicando una salda benché tardiva amicizia con Dalla, ribatte che la riservatezza del musicista sulle sue inclinazioni sessuali è, al contrario, una lezione di stile e di eleganza. C’è infine il romanziere prolifico e narciso, che del suo essere omosessuale ha sempre fatto una bandiera, il quale informa che lui, con il quotidiano diretto dal corsivista notissimo, non collaborerà più perché è assolutamente vero che Dalla fosse un ipocrita e perciò chi lo difende è ipocrita quanto Dalla se non di più. Chissà se l’ultima polemica «impegnata» prodotta dall’intellettualità italiana si arricchirà di nuovi partecipanti oppure - dopo avere rapidamente consumato il proprio ciclo vitale come oggi accade a qualunque dibattito più o meno definibile come culturale - è già prossima a concludersi, magari con lo scrittore prolifico che fa la pace con il notissimo direttore di giornale. Per adesso i tre protagonisti della querelle hanno dato vita a un vivace scambio di punti di vista che, dopo l’intervento tra l’isterico e l’avvelenato del prolifico scrittore, ha corso il rischio di trasformarsi in rissa. Lo scrittore prolifico, lo si sarà capito, è Aldo Busi, mentre il famoso corsivista-direttore è Marco Travaglio, e i tavoli su cui i due si sono finora confrontati sono il quotidiano Il Fatto e il sito Dagospia. A dare inizio a tutto è stato però Pino Corrias (il giornalista e dirigente Rai di cui sopra), che proprio sul Fatto ha rivolto a Dalla un risentito attacco: «Ma siccome (di essere omosessuale, ndr) ce lo ha tenuto nascosto da uomo pubblico dotato di immensa libertà, oltre che status e ricchezza, immenso è stato il suo inganno. (…) L’ipocrisia è stata il suo limite». Travaglio, sempre sul Fatto, ha puntualizzato che Dalla, curioso di tutto, era di ampie vedute anche sotto il profilo sessuale e quindi non lo si può in alcun modo definire «gay» (Travaglio giura che gli piacessero pure le donne). Busi, a questo punto, perde le staffe e consegna a Dagospia un lungo sfogo in cui rincara la dose contro Dalla («menefreghista doc» che non ha mai mosso un dito per i diritti civili e si è disinteressato delle sorti del suo compagno di vita Marco Alemanno) e, come del resto aveva già fatto giorni fa a proposito della vicenda Rcs-Mondadori, prende nientemeno le parti di Berlusconi, la cui sessualità il Fatto non ha mai rispettato malgrado essa sia «infinitamente meno immorale di quella di Dalla perché manifesta». «Travaglio stia pure con i suoi cadaveri, di fatto o ambulanti che siano», conclude Busi prendendo cappello, poiché «un vivo come me è al di sopra della sua portata e del suo foglio». Salvo piazzare lì, con sfacciato colpo di coda, uno spottone al suo prossimo romanzo Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata), di imminente uscita, definito sobriamente «proprio bello, divertente, sessuale, logico, compassionevole, avveniristico, anticlericale e di quella sana oscenità pagana di una volta». Sempre su Dagospia, Travaglio replica a Busi sottolineando come «attendere la morte di Lucio Dalla per cominciare a rinfacciargli i suoi presunti peccati che, lui vivo, non gli sono mai stati rimproverati, non sia proprio una lezione di eleganza». Già. Ma in fondo la stessa cosa, nei confronti di Dalla, l’ha fatta Corrias, che Travaglio ci tiene a definire «suo amico». E forse non è tanto elegante neppure ricorrere all’autorità «direttoriale» (come la chiamerebbe Busi) per disinnescare l’opinione di una propria firma, vizio peraltro frequente al Fatto visto che qualche mese addietro la stessa cosa era capitata all’esperto di antiriciclaggio Ranieri Razzante, titolare di un blog sul sito del quotidiano e mazzuolato pubblicamente da Peter Gomez per avere osato invocare sanzioni contro chi vilipende le istituzioni dello Stato (da allora Razzante non ha più aggiornato la sua pagina). Chi ha ragione, dunque? Dal momento che vedere un proprio articolo rubato da Dagospia, rappresentando una delle poche speranze di essere letti da qualcuno, è ormai la principale e addirittura dichiarata - altro che l’omosessualità di Dalla - aspirazione di chi pratica il cosiddetto «giornalismo culturale», forse alla fine hanno tutti ragione. O, più probabilmente, tutti torto.
Giuseppe Pollicelli