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 2015  marzo 10 Martedì calendario

Anche nel comizio di sabato 7 marzo a Venezia – 8 mila partecipanti – Giorgia Meloni ha avuto un bel successo personale

Anche nel comizio di sabato 7 marzo a Venezia – 8 mila partecipanti – Giorgia Meloni ha avuto un bel successo personale. Meloni piace più di Fratelli d’Italia, il partito di cui è fondatrice e presidente. Il cofondatore Guido Crosetto, che oggi ha lasciato la politica, lo spiega così: «Giorgia avanza costantemente nei consensi mentre Fdi sta fermo. Se succede, è perché il partito è diverso da Giorgia». Ossia il vero personaggio non invischiato nelle vecchie diatribe della destra post neofascista è solo la 38enne biondina romana. Meloni è un leader che non ha dietro un partito. O almeno non alla sua altezza. Ad attrarre è lei. Fratelli d’Italia è la sua palla al piede. Alle Europee del maggio 2014 Giorgia, candidata in tutte le circoscrizioni, è stata trombata solo perché il suo partito – fermo al 3,7% – non ha raggiunto il quorum del 4%. Meloni, invece, con le sue 348.700 preferenze è stata la candidata più votata d’Italia. È la foto del divario. Naturalmente se Fdi non sa seguirne il passo la colpa è anche di Giorgia che lo guida. Diciamo che non sa vendere la propria creatura come promuove se stessa. Ma la causa sta nell’inciampo che ha ingarbugliato le cose: l’invasione di campo della Lega Nord di Matteo Salvini. Nell’ultimo anno l’irruente milanese ha scuoiato la Lega bossiana, rivestendola di panni inediti. L’ha dirottata su temi estranei alla sua storia e coincidenti con quelli tradizionali della destra. L’immigrazione e l’ordine pubblico, per dirne due. Per di più, ha nascosto sotto il tappeto il padanismo, la velleità secessionista e l’anti-nazionalismo. Il tutto rafforzato dalla polemica anti-europeista che ha trasformato gli ex padani in quasi alfieri dell’italianità. La destra nazionalista è così rimasta in bermuda. Alla povera Meloni e a Fdi sono state rubate le parole e gli slogan, rendendoli afoni. Agli scippati non è rimasto che accodarsi con Salvini e di andarci, obtorto collo, a braccetto. Come però ognuno capisce, restando così le cose, sarà una batosta alla prima occasione di voto. L’elettore, infatti, preferirà darlo a chi traina piuttosto che al trainato. Da oggi a quel giorno, Giorgia dovrà dare alla sua pietanza un sapore particolare che la differenzi dal piatto della Lega, attirando voti alla propria mescita. Intanto, mantiene alta l’attenzione su di sé che non è tipo da arrendersi. Meloni è la prima donna che abbia fondato un partito presente nel parlamento italiano. È stata anche, a 31 anni (2008), il più giovane ministro della Repubblica come titolare del ministero della Gioventù del Berlusconi IV. Il primo atto, per dire il tipo, fu cambiare la dicitura del ministero che si chiamava delle Politiche giovanili, in quella, appunto, della Gioventù. Un nome più baldo – di destra e futurista – che non l’altro dal sinistro sapore burocratico-assistenzialista. Due aneddoti sul suo carattere. Quando, anni fa, studenti e professori in maggioranza di sinistra manifestarono davanti a Montecitorio contro la riforma Gelmini, il ministro Meloni, faccia da pischella e coda di cavallo, si mescolò ai protestanti. Attaccò discorso e attirò un capannello di gente. Improvvisò, come le è congeniale, un comizio e fu applaudita. Solo dopo fu riconosciuta e gli organizzatori, sulle spine, furono costretti a fare buon viso. Nel 2006, quando 29enne fu eletta per la prima volta alla Camera, decise di smettere con le sigarette. Fumava allora due pacchetti al dì. Per lo stress della rinuncia, ingrassò otto chili. Non so se sia stato il fidanzato del momento a chiederglielo (tuttora non è sposata), fatto sta che decise di tornare in due mesi al peso forma. Allo scoccare del termine, aveva perso i chili di troppo. Giorgia ha il padre sardo e questo spiegherebbe la cocciutaggine. Se non fosse che il babbo, commercialista di professione, se ne andò di casa quando lei aveva 12 anni e da allora non l’ha più visto. Meloni lo ha cancellato. Con l’uscita dell’uomo, la famiglia si trasferì dalla Camilluccia alla più popolare Garbatella, quartiere dove la ragazzina acquisì il forte accento romanesco che oggi è quasi il suo marchio. Crebbe tra donne: la mamma, la nonna, la sorella. Non nuotando nell’oro, scelse studi di pronto impiego: linguistica all’Istituto professionale alberghiero. In attesa di imboccare la propria strada, fece mille lavoretti. È stata barista al Piper, nota discoteca romana; baby sitter di un figlio di Fiorello, il divo tivù; cameriera. Decise di impegnarsi in politica e abbracciare la destra nel giorno della morte di Paolo Borsellino, il giudice vicino al Msi. Era il 1992. Poiché il padre sparito era comunista, si disse che aveva scelto la sponda opposta per reazione. Lei ci ha spesso riso su e pregato i giornalisti di non dipingerla come «la piccola fiammiferaia affranta che diventa di destra per l’abbandono del padre di sinistra». In effetti, la vicenda familiare è talmente suscettibile di applicazioni psicologiche che tutte le volte che Meloni apre bocca, viene rievocata. Giorgia è contro le adozioni gay perché «i bambini hanno diritto ad avere un padre e una madre»? Be’, subito qualcuno sentenzia che a renderla bacchettona è stato il trauma familiare. È il solito teatrino della politica. Ci abbiamo fatto il callo noi, figurarsi se non ce l’ha fatto lei. E, oggi, come sappiamo ha altre gatte da pelare.