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 2015  marzo 10 Martedì calendario

L’IMPORTANZA DI ESSERE CLAUDIO


[Claudio Bisio]

Rimpianti? No, no, nessuno. Da sempre sono alla ricerca di storie diverse, originali, e rivendico anche i flop. Per esempio? La gente che sta bene, un film che ho fortemente voluto perché il romanzo di Federico Baccomo mi aveva entusiasmato. Ma il pubblico e la critica non l’hanno capito. Pazienza. A volte succede». Onesto, sincero, senza troppi giri di parole Claudio Bisio fa il punto su una carriera lunga trentadue anni, una montagna russa che parte da Sogno di una notte d’estate del socio Gabriele Salvatores, era il 1983, seguito due anni dopo dal set di Scemo di guerra, con la strana coppia Dino Risi e Beppe Grillo: «Sono migliorato però, eh?» ride. «Ero ancora acerbo, solo poi ho imparato tempi e modi del set, anche se devo dire che non ho mai più rivisto i miei primi film. A parte Mediterraneo, che i miei figli amano molto». Rileggere la carriera di Bisio significa passare in rassegna tre decenni di cultura pop made in Italy, tra tv e cinema, dal geniale Rapput al messicano Alex di Puerto Escondido, dal Giacomo Fiori di Sud a La tregua di Rosi fino al cult Si può fare. «Ma lo sa che ci sono ancora associazioni che ci contattano per proiettarlo? Non sarà stato campione d’incassi, ma ha una vita molto lunga. Ma il cinema è così, non è come il teatro dove è più facile osare: qui a volte cerchi di fare cose diverse, come La cura del gorilla o Asini e il pubblico non ti segue». In realtà però il grande pubblico Bisio lo ha sempre seguito, anche al cinema, basti ricordare i 54 milioni di euro incassati dai due Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord oppure l’exploit di Benvenuto Presidente!. La nuova sfida? Si chiama Ma che bella sorpresa, arriva in sala l’11 marzo e vede Bisio diretto da un altro figlio dell’Elfo – nel senso del teatro milanese – ovvero Alessandro Genovesi. «Che ho imposto io. La storia era bella, pescata da Maurizio Totti della Colorado Film, ma con un regista sbagliato poteva finire male. Invece così credo sia nelle mani giuste». Remake del brasiliano A Mulher Invisível di Cláudio Torres, film brasiliano del 2009, vede Bisio nel ruolo di un insegnante di liceo a Napoli. «No, fermo. Non è una replica di Benvenuti al Sud, anzi, questa è la prima volta che giro a Napoli, mai successo prima. Fosse stata una replica di quel film, non l’avrei mai fatta. Ho rifiutato molte offerte che mi proponevano ruoli troppo simili». Nel film Bisio, inguaribile gigione romantico, è sospeso tra tre donne: la compagna Anna (Anna Ammirati), la vicina Giada (Valentina Lodovini) e la ragazza dei suoi sogni, Silvia (Chiara Baschetti). «Guido è un sognatore, uno che sente le voci, che vede una realtà solo sua, tipo Michael Keaton in Birdman. Pensa di essere felice, ma poi quando la compagna lo lascia, sprofonda nella depressione più nera, salvato da Silvia. La Boschetti? Una rivelazione, nessuno se l’aspettava, mentre la Lodovini l’ho chiesta io: dopo due film in cui era la fidanzata di Siani questa volta sta con me». Ecco, al posto di Siani, la spalla di Bisio in Ma che bella sorpresa è Frank Matano, fenomeno rivelato prima dal web, poi dai due film di Paolo Ruffìni, Fuga di cervelli e Tutto molto bello, che qui riesce a non essere demenziale come al solito, ma si mette al servizio della storia, senza strafare, anzi, rubando la scena in un paio di momenti a fianco della coppia (notevole) Ornella Vanoni & Renato Pozzetto. «Negli ultimi anni a Zelig facevo anche il talent scout, quindi di comici giovani ne ho visti parecchi. Non tutti sono talenti, ma Frank lo è, senza dubbio. Abbiamo passato molto tempo assieme, lo considero una specie di fratello anche se è più vicino a essere mio figlio, visto che ha solo 25 anni. Insieme faremo anche Italias Got Talent in tv e mi piacerebbe pensare ad altro con lui in futuro, magari non solo in italiano visto che lui è bilingue, la madre è americana. Arrivato a 57 anni mi piacerebbe aprire un’altra fase della mia carriera. Perché? Se c’è una cosa che mi sta stretta è che poi le nostre storie, i nostri film, una volta che arrivi a Mentone o in Svizzera non li conosce più nessuno. Ed è un peccato». A questo punto il discorso cade, inevitabilmente, sullo stato della commedia italiana e sulla necessità di farla più o meno sempre simile, ripetendo situazioni e schemi, attori e idee. «Senza dubbio ce il timore di fare un passo falso», riflette Bisio, «e se una cosa funziona la tentazione è quella di continuare a ripeterla identica. Pigrizia? Senza dubbio, i remake dovrebbero farli gli altri, non noi, ma la pigrizia non c’è solo da parte di produttori e sceneggiatori, ma anche da una parte del pubblico. Qualche giorno fa ho visto Birdman, un film incredibile, ma gli incassi però li fa Cinquanta sfumature di grigio. Non è facile proporre cose diverse: ricordo bene la scommessa che nel 2006 cercammo di fare con La cura del gorilla, dal romanzo di Sandrone Dazieri, tentativo di fare un noir all’italiana che non andò bene». Intanto, fino al 3 aprile, Bisio ha deciso di tornare all’antico amore, il teatro, portando in giro per l’Italia Father and Son, diretto da Giorgio Gallione su testi di Michele Serra. E la storia continua...