Franca Valeri, Corriere della Sera - La Lettura 8/3/2015, 8 marzo 2015
QUESTA MALATTIA È QUASI UNA FIABA (E SI PUÒ SORRIDERE)
Io Alice la conosco bene, o almeno credo. Non è più come una volta che quando avevi la fortuna di conoscere uno scrittore, anche giovane, non c’era dubbio.
Il caso di Alice è più complicato perché lei è anche un’attrice. Per un individuo che ha vissuto molto come me, i travestimenti sono infiniti. Non c’è regola che definisca una professione, età o stato sociale. Bisogna entrarci, conoscere almeno come io conosco Alice, perché anche il mistero di ognuno, se ce l’ha, fa parte della conoscenza.
Alice è venuta a fare un provino per una parte in una mia commedia, Il cambio dei cavalli , poi andata in scena all’ultimo Festival di Spoleto. Senza far torto alle altre deliziose concorrenti, mi è sembrato che Alice andasse oltre le mie parole, rivelandomi il personaggio. E l’ho scelta.
Così, quando mi ha detto: «Sto scrivendo un libro», l’ho trovato più che possibile. Le parole le si addicono. Sapevo anche della sua malattia che non si addice certo alla sua giovinezza così vitale. Ho avuto non il presagio, ma la certezza che ne avrebbe scritto. Ho pensato: «Tutti i giovani scrivono, se scrivono, di una loro malattia, dovunque si annidi. Non si sentiranno dunque mai sani? Forse considerano la vita una malattia».
Alice no, se ci parla di «un’altra sete». Cominciamo col chiederci come è scritto questo libro, incaricato di raccontarci due mali inguaribili: un diabete giovanile e una morte. E Alice sembra aver deciso che la sua sofferenza non deve essere quella del lettore. Usa perciò la sua tavolozza verbale senza dimenticare le sue attitudini all’umorismo. Chi ne è dotato, ne investe i casi della sua vita, anche quando agli altri sembrerebbe impossibile. Per Alice, come per un omaggio al teatro, infermiere e dottori sono le sue comparse. Sbucano dalle sue pagine. Sono quei personaggi brevi ma necessari, spesso investiti proprio del risvolto drammatico; come non ridicolizzarli un po’?, sembra dirci la penna di Alice. «Questa cavolo di malattia me li ha messi a disposizione», forse pensa lei.
Il teatro è certamente come un mantello difficile da levare. In questo libro due persone di quelle che fanno parte di tutte le vite, la madre e la migliore amica — la signora Ada e Petra — meritano il diploma letterario di personaggi. Chapeau !, come dicono i francesi. La mamma alla quale la preoccupazione non impedisce di distrarsi, si porta in clinica la vita di casa. Il suo linguaggio, sempre un po’ polemico, ti fa immaginare la solitudine del suo ritorno a casa.
Petra, l’amica, è invece di quei personaggi che hai talmente conosciuto che ne ritrovi sia il nervoso sia la simpatia che hanno sempre seminato. Io che sono molto più grande di queste ragazze, cosa che si può anche considerare una fortuna, quando il personaggio va sul classico lo capisco bene e ne godo. Ma l’autore di questo libro, Alice Torriani, che finora ho chiamato confidenzialmente Alice, sa di aver scritto un romanzo e che i suoi mali sono due. Fuori, nella sua vita quotidiana, c’è anche per lei un ragazzo, Luca. Anche qui qualche volta lo vede, in questa stanza, vicino al suo letto. Saltuariamente. Le vengono in mente cose successe con lui, Luca, il suo ragazzo.
È solo alla fine del libro che l’abile romanziera ci racconta. Luca anche mentre guidava voleva fare l’amore, con lei naturalmente, ma Luca dov’è?
Al centro del libro c’è un percorso quasi fiabesco della malattia, esposto all’attenzione del lettore da una grafica a sé, ogni fase con un titolo attraente. Abaco, Corpo, Fame, Penna, tappe certo che la giovane malata ci racconta quasi con brio, non dimentichiamoci il suo mantello teatrale.
Non mi ha saputo specificare quale sia esattamente «l’altra sete», contando forse sull’evidenza del caso. Alla sua età il mondo è pieno di fontane e di assetati.