Fabio Isman, Il Messaggero 10/3/2015, 10 marzo 2015
BUONARROTI, IL TESTO RUBATO
Qualcuno ha visto i due documenti con in fondo la firma di Michelangelo, e uno tutto scritto da lui, sottratti in Vaticano dalla Fabbrica di San Pietro. Li ha visti; e uno, perfino fotografato. Li ha studiati, e pubblicati. Ma poi, quando è ritornata per controllarli ancora, non li ha più ritrovati. E l’ha segnalato a chi di dovere. Era il 1997. Lucilla Bardeschi Ciulich ha scritto una mezza dozzina di libri sui documenti e la vita di Michelangelo, e sulla sua grafia: un paio anche con Pina Ragionieri, che dirige Casa Buonarroti a Firenze. Lucilla è la massima autorità per la sua scrittura, che ormai riconosce a vista: il primo libro nel 1973, l’ultimo nel 2010. «Quanto valgono quelle carte? Chi le vendesse, potrebbe comperarsi una villa». Quanti documenti totalmente di pugno di Michelangelo ha trovato in quell’archivio? «Uno soltanto; ma la seconda volta non l’ho cercato di nuovo». E padre Federico Lombardi, il portavoce del Vaticano, ha ammesso che una tra le carte sottratte è proprio un suo scritto. Il primo dei documenti è del 1562: grafia del Soprastante Cesare Bettini, con una postilla di Michelangelo che assevera quanto si afferma, poi firma. E l’altro, «del 1560 circa», è tutto di mano dell’artista. E’ diretto ai «Deputati» della Fabbrica: «Signior Deputati, io mi rachomando alle Vostre Signorie e dico che già più mesi sono che, se io avessi avuto autorità, senza rispecti avrei cacciato della fabrica di Santo Pietro Agostino pe’ sua buon portamenti, che mi sono facti intendere. Le Vostre Signorie me perdonino se son troppo prosontuoso». Insomma, questo Agostino, che lavorava lì, non gli andava giù. Forse per le diffamazioni che metteva in giro: sappiamo che erano tante le voci, e tantissime le discordie.
LA SPARIZIONE
Questi documenti, Lucilla Ciulich li ha visti negli anni Settanta. Di uno ha perfino la fotografia: quello scritto integralmente da Buonarroti. «Quando sono tornata a fine Anni 90, a compiere riscontri per il mio volume sui suoi Contratti, il primo non lo ho più trovato. L’ho scritto in una nota del libro, che è del 2005. E l’ho comunicato». Ma la studiosa racconta anche che «la prima volta, io chiedevo i documenti da consultare all’archivista, don Cipriano Cipriani. Me li consegnava, e poi lavorava al mio fianco, impegnato nei suoi studi»; insomma, non la lasciava un attimo. La seconda volta, però, l’archivio della Fabbrica era cambiato: i documenti si chiedevano sulla base degli inventari; poi, li consegnavano e si studiavano. «Quello con la postilla di Michelangelo, di cui possedevo un’antica segnatura, nei nuovi inventari non risultava. Speravo in un disordine; che sarebbe riapparso». Invece, evidentemente, non era così. Era già stato rubato.
OMICIDI E BANCHIERI
«Al contrario delle lettere familiari, delle poesie e dei documenti del periodo fiorentino, di solito olografi, buona parte degli atti firmati da Michelangelo che ho consultato in quell’archivio, erano di tenore amministrativo: relativi alla costruzione di San Pietro. Talora, scritti da Bettini, Soprastante della Fabbrica, e controfirmati dall’artista». Almeno, fino al 1563: perché l’8 agosto, il funzionario, di Casteldurante e voluto in quel ruolo da Michelangelo nel 1560, è pugnalato tredici volte in piazza San Pietro, dal cuoco del Vescovo di Forlì; l’aveva trovato a letto con la propria moglie, alla quale, di coltellate, ne riserva solo quattro. «Poi ci sono le ricevute dei pagamenti, ovviamente vergate da altri, che Michelangelo sottoscrive; spesso, per il Papa saldava il banchiere Bindo Altoviti». Il cui volto conosciamo: da giovane, ce l’ha lasciato Raffaello; e già anziano, Benvenuto Cellini e Jacopino del Conte. Il quadro di Raffaello stava a Firenze fino al 1809. Vasari scrive: è «stupendissimo». Quando fugge, giunge a Monaco. Nel 1938 il museo lo reputa «sdolcinato e di un allievo», e lo cede; va al magnate americano Samuel H. Kress. Il «re dei mercanti» Joseph Duveen lo trasporta a New York, sul transatlantico Normandie: a bordo, pure Marlene Dietrich e Cary Grant. Lo «squilionario» (come Bernard Berenson li chiamava) poi lo dona alla National Gallery di Washington. Altoviti viveva sul Tevere: palazzo davanti a Castel Sant’Angelo, villa a Prati, con dipinti di Vasari e statue da Villa Adriana. Per edificare i Muraglioni sul fiume, abbattuto il palazzo; e, per le speculazioni di monsignor Francesco Saverio De Mérode, anche la villa, poco dopo l’Unità d’Italia.
TRAME
Ma torniamo ai nostri documenti. Morto Bettini, Buonarroti vorrebbe per Soprastante il suo allievo Pierluigi Gaeta. Si oppone Nanni di Baccio Bigio, che riesce a essere nominato. Per un mese intero, Michelangelo diserta il cantiere. Torna solo su richiesta di Pio IV de’ Medici, da cui ottiene che Nanni sia cacciato. Gli succede Pietro da Cortona. Sappiamo che, allora, furono mobilitati anche dei cardinali: tempi e intrighi non molto diversi da quelli assai più moderni.