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 2015  marzo 08 Domenica calendario

CARMINATI, I BUCHI DEL 41BIS NEL CARCERE DI PARMA

Qui mi danno tutto quello che mi serve, mi trattano bene e sono in buona salute”. Parola di Massimo Carminati, considerato dalla procura di Roma il capo indiscusso di Mafia Capitale, detenuto in regime di massima sicurezza (41bis) nel carcere di Parma. Lo aveva già assicurato a Davide Mattiello, deputato della commissione antimafia, il 30 dicembre. E lo ripete all’avvocato Giosuè Bruno Naso a ogni visita, l’ultima poco più di un mese fa. Per Naso, però, la situazione è diversa: “Difendo Carminati da 30 anni. La sua vita è appesa a un filo dal 1981, da quando un agente della Digos gli ha sparato a bruciapelo in faccia da pochi metri e un proiettile gli è rimasto in testa”. Succedeva al confine con la Svizzera, il “Nero” di Romanzo Criminale diveniva così il “Cecato”, mentre falliva il tentativo di fuga da una retata in corso negli ambienti dell’estrema destra eversiva dei Nar. “Si salvò – dice Naso – grazie all’imprudenza del primo medico che lo operò: sollevò letteralmente a mani nude il cervello di Massimo. Comunque la sua vita rimane tanto appesa a un filo, e al carcere di Parma lo hanno capito, che il 41bis è stato possiamo dire forzato, anche se forse è un’esagerazione, per permettere l’arrivo dall’esterno di alcune speciali bendature”.
Riguardo il carcere di Parma, luogo di detenzione anche del capo dei capi di Cosa nostra Totò Riina, proprio il deputato Mattiello ha denunciato la grave disfunzione del sistema di videosorveglianza e videoregistrazione. E inquietante è stata la risposta del capo del Dap Santi Consolo, in audizione alla commissione antimafia: “I problemi alla videosorveglianza sono noti dal gennaio 2013, da quel momento ci sono stati 33 black out nel 2013, 47 nel 2014 e 10 nel 2015, subito risolti. Purtroppo ci sono stati anche dei black out lunghi: 27 nel 2013, 44 nel 2014 e 8 nel 2015”. Proprio nei giorni scorsi l’impianto è stato sistemato grazie all’installazione di gruppi elettrogeni di continuità in grado di evitare il sovraccarico. Ma per Mattiello “rimane un fatto: non sappiamo e non sapremo mai se qualcuno abbia approfittato di questi black out per eludere le regole previste dal regime carcerario. Chiedo al ministro Andrea Orlando di individuare le responsabilità, anche di un possibile dolo”.
Sul fronte processuale appare sempre più chiaro che la strategia difensiva proverà a negare l’ipotesi dell’esistenza stessa di una mafia romana, magari arrivando quasi ad ammettere i reati di corruzione: “Da parte di Carminati – replica l’avvocato Naso – non vi sarà alcuna ammissione di sorta, né il processo offre, allo stato delle indagini, alcuna prova di responsabilità dello stesso in ordine di ipotesi di corruzione contestate”. I pm accusano il Cecato di associazione mafiosa, estorsione aggravata, trasferimento fraudolento di valori, corruzione, turbativa d’asta e false fatturazioni. “Noi sosteniamo – spiega Naso – che se le indagini hanno fatto emergere un contesto di rapporti, relazioni, condotte, comportamenti tra soggetti operanti nell’ambito delle istituzioni capitoline che in qualche misura sia riconducibile a consuetudini familistiche, partitiche, di gruppi affaristici e di interessi privati nelle quali sono ravvisabili episodi corruttivi, nulla hanno dimostrato in ordine all’esistenza di una realtà di mafia, quella vera, quella che costituisce un pericolo per l’ordine pubblico. Altra cosa è dire che nel nostro Paese è diffusa una cultura mafiosa che è diversa dalla fattispecie penale e che permea in sé anche il funzionamento delle istituzioni. Ad esempio, talvolta lo sfruttamento della prostituzione assume i connotati della riduzione in schiavitù ma sarebbe assurdo, e pertanto illegittimo, vedere in ogni sfruttatore, in ogni pappone, uno schiavista. Lo stesso deve valere per i reati di mafia che non sono tali solo perché riconducibili a gruppi collusi con istituzioni corrotte”. Inoltre, per Naso “le accuse di estorsione sono le più risibili, sono state elevate e confermate in sede di riesame, senza interrogare le presunte persone offese, talune delle quali non si sono riconosciute nel ruolo delle vittime sacrificali loro attribuito e non certo per paura di eventuali ritorsioni ma per la distorsione dei fatti generata dalla sola lettura orientata e preconcetta delle intercettazioni”.
Certo è difficile escludere il ruolo che può giocare in questo caso proprio la paura di ritorsioni, anche rileggendo quanto scrive su Mafia Capitale nell’ordinanza di arresto il gip Flavia Costantini: “La forza di intimidazione del vincolo associativo, autonoma ed esteriorizzata, e le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano, sono generate dal combinarsi di fattori criminali, istituzionali, storici e culturali”. Un episodio simbolo è quello dell’imprenditore Massimo Perazza, malmenato da Riccardo Brugia (anche lui ora al 41 bis) il 5 dicembre 2012 per un debito di 600 euro, in quel caso vittima del sodalizio, ma sparito dai radar, forse al riparo in Sudamerica, già dieci giorni dopo la retata del 2 dicembre 2014; quando veniva accusato dai pm romani, insieme a cinque sospetti complici, dei quali tre graduati della Marina militare, per una truffa da 7 milioni di euro: il rifornimento di carburante (mai arrivato) al porto di Augusta per mezzo di un’imbarcazione naufragata nel 2013, il cui equipaggio risulta in parte ancora disperso.
Tornando a Carminati, sostiene l’avvocato Naso, “non è certo un santo, ma ha già patito lunghe e penalizzanti custodie cautelari per fatti dei quali poi è stato ampiamente assolto e scagionato. Il teorema preconcetto indica il mio assistito come personaggio equivoco al soldo di potentati economici e politici che tramano nell’ombra per l’affermazione di forze oscure, ovviamente di destra, antidemocratiche e persecutorie”.
Giampiero Calapà, il Fatto Quotidiano 8/3/2015