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 2015  marzo 08 Domenica calendario

I BINARI ANTICHI E IL CUORE MODERNO DI ANCONA

«Non prendono lo stipendio per continuare a pagarlo ai loro dipendenti, mi creda, non ce la fanno proprio a licenziarli. Sono stampatori, autoriparatori, artigiani delle ristrutturazioni edilizie, industriali della moda nel distretto sociale di Filottrano, sono piccoli imprenditori marchigiani e sono tutti così». Luca scandisce bene le parole e si gira dalla mia parte mentre stiamo correndo, in macchina, dalla città verso l’aeroporto di Ancona-Falconara per rientrare a Roma. Sono passate da poco le diciotto di venerdì e ho finito da qualche minuto di raccontare il mio «Viaggio in Italia», nella sede della Confartigianato, in via Fioretti, con tanti giovani attenti, curiosi e tanti maestri di bottega che hanno scritto negli occhi l’amore per la loro terra e il loro lavoro.
Al volante del suo taxi bianco c’è Benito che è abbastanza in là negli anni ma ha la grinta di un ragazzino e ha promesso di non farmi perdere l’aereo, nel frattempo non rinuncia a dire la sua: «È vero, abbiamo gli artigiani e gli imprenditori più generosi del mondo, ma i binari su cui corrono i nostri treni sono quelli di “nonno Benito” e, alla mattina, per andare da Ancona a Roma si parte alle sei e si arriva alle nove e trenta». Luca ha voglia di aggiungere qualcosa, quasi come se dovesse puntualizzare: «Guardi, qui, in queste terre, nelle cosiddette zone interne, ci sono pezzi di economia che mettono insieme tante cose, la forza della manualità, il valore della manifattura, un certo modo di vivere la tavola e la vita, fabbrica, edilizia e territori, si dovrebbe investire di più nei trasporti per le Marche e collegare di più al mondo ciò che già vive nel mondo con i suoi prodotti e la sua forza imprenditoriale».
Paola mi ha accolto all’arrivo all’aeroporto di Ancona-Falconara e mi accompagna con Luca sulla strada del ritorno, fa un cenno di assenso con la testa e ci mette del suo: «È proprio così, i nostri imprenditori sono persone semplici, attaccate al loro lavoro, non lascerebbero mai nessuno a terra, è più forte di loro, meriterebbero un po’ più di rispetto, qualche collegamento ferroviario moderno in più non guasterebbe proprio».
Il cielo è diventato cupo con un blu intenso e qualche chiazza che ricorda le tinte forti di Van Gogh, il vento fuori sibila, Paola sorride e mi dice: «Oggi il sole non ci ha mai lasciato, mi creda direttore, è stato proprio così, se no non avremmo insistito per farla venire, non si lasci influenzare da questo cielo cupo del tramonto, il cuore marchigiano è fatto di luce, calore, questa è una terra viva, guardi qui a sinistra c’è l’unico pezzo di spiaggia marchigiana senza sabbia, con gli scogli, che si affaccia sulla Croazia e ci sono giorni che sembra quasi di toccarla, a destra c’è il grande ospedale della regione, si parte da Ancona ma qui arrivano tutti». In realtà questo venerdì è il primo giorno dopo la grande tempesta, il vento resta forte, io volevo rimanere a casa e fare per un’altra volta, ma non è stato possibile, bisognava venire dai piccoli artigiani della parte Sud di Ancona e onorare l’impegno preso, posso dire di non essermene pentito. Risenti l’odore di cose semplici e quel tratto umano che non guasta, l’altra faccia di un pezzo d’Italia dove si sono formati a qualche decina di chilometri di distanza i Mattei e i Merloni, il genio marchigiano di Silvano Sassetti («la mia pelle è una scarpa») e dei tanti sarti della calzatura come lui fino al principe NeroGiardini e alla regina Tod’ s di Casette d’Ete. Benito è stato di parola, non ho perso l’aereo, prima di salire sul pulmino che mi porta sull’ATR 72 della Mistral, per il volo serale che parte da Ancona-Falconara per Roma, mi guardo intorno, ho una sensazione di vuoto, lo scalo mi ricorda quello di Reggio Calabria e credo che entrambe le città meriterebbero molto di più. Penso che l’Italia è uno strano Paese e che Luca e Benito hanno ragione.
Roberto Napoletano