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 2015  marzo 09 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - VOTO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE


REPUBBLICA.IT
ROMA - Sul nuovo Senato, Forza Italia conferma il voto contrario ma rinuncia all’Aventino mentre il Movimento 5 Stelle annuncia la propria mossa: il gruppo non si limiterà al pollice verso, domani uscirà dall’aula. Alla vigilia del voto sul riordino costituzionale alla Camera, dopo la rottura annunciata da Silvio Berlusconi, gli azzurri si ricompattano attorno al leader sul no alle riforme. Renato Brunetta, capogruppo di Fi a Montecitorio, ha ribadito su Twitter la posizione del partito: "Le cronache narrano di un Matteo Renzi nervoso con sua minoranza e con Forza Italia per voto contrario a riforme e chiede aiuto a Verdini. Che paura, brrr". E ancora. "Riforme costituzionali, Matteo Renzi: ’Puntiamo a referendum’. Brunetta-Fassina-Gotor: ’deriva plebiscitaria’. Alto Colle glielo faccia notare".

Sulla stessa linea anche Giovanni Toti, europarlamentare e consigliere politico di Fi: " Renzi ha sempre detto di essere autosufficiente nelle sue scelte, anche se il percorso delle riforme ha detto che si faceva insieme. Fi voterà compattamente secondo le indicazioni di Berlusconi, perché il voto è conseguente al fatto che Renzi ha violato il principio di condivisione. Dopo, se c’è qualche sensibilità diversa nei gruppi parlamentari, è legittimo un voto diverso". Una presa di posizione che farà dire al leghista Roberto Maroni che, se così sarà, "potrebbe cambiare la prospettiva politica" sulle alleanze nel perimetro del centrodestra.

Il Movimento 5 Stelle, intanto, fa sapere che domani i suoi deputati usciranno dall’aula anche domani quando l’assemblea di Montecitorio si esprimerà nel terzo passaggio parlamentare.

Sul fronte Pd, invece, alle parole di Berlusconi ha replicato in una intervista al Qn il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio: ""Abbiamo la maggioranza. Che poi Berlusconi si sottragga al voto dopo aver approvato la riforma risulta difficile da capire, ma ce ne faremo una ragione".

"Il Paese ha bisogno di quelle riforme e noi andremo avanti", ha detto il ministro per l’Ambiente Gian Luca Galletti, a Firenze per partecipare ad un evento organizzato da Cia, ai giornalisti che gli chiedevano se temesse dei rallentamenti dell’iter delle riforme. "Credo che questo governo stia dimostrando la forza e la tenacia con il quale persegue l’obiettivo delle riforme - ha concluso Galletti - il lavoro dei ministeri continua con la stessa intensità e con la stessa volontà di risolvere i problemi".

Agitazione e dubbi arrivano invece dalla minoranza dem. Dal suo blog, Pippo Civati fa sapere che non voterà la riforma: ""Come hanno fatto Chiti e Tocci al Senato. Così voterò anche io alla Camera. Non darò il mio voto alla riforma costituzionale. Lo faccio in ragione di una posizione ’di merito’ che accompagna le mie azioni dal gennaio del 2013. Lo faccio senza pensare alla questione delle correnti del Pd e ai rapporti con la segreteria, perchè questa è la costituzione"." Vincenzo Vita - prosegue Civati - mi fa notare che la proposta sulla Rai del governo, se è quella anticipata da Repubblica, in verità è una controriforma. In sintesi: via i partiti (chissà) e dentro fino in fondo il governo nella gestione diretta dell’azienda. Le lancette dell’orologio tornano indietro di quarant’anni. Vale a dire a prima della legge 103 del 1975, una delle grandi riforme italiane"

Critiche al premier arrivano anche da Cesare Damiano: "Sulle riforme Renzi fa male a non tornare indietro, la minoranza dovrebbe dire quello che ha conquistato, non è tutto quello che volevamo ma vanno apprezzati i passi avanti". Rispetto al comportamento della minoranza Pd domani in aula, Damiano ha aggiunto: "La minoranza - aggiunge - è plurale, io quello che non farò è votare contro o uscire dall’aula. O mi astengo o voto sì".

In una intervista al Corriere della Sera, Miguel Gotor ha invitato Renzi a compattare il Pd: "Il punto non è votare insieme a Berlusconi, a favore o contro la riforma. Il punto è che il Pd deve essere unito e deve essere all’altezza delle sue responsabilità. Renzi ci ha sempre detto: sono d’accordo con voi ha aggiunto Gotor - ma l’accordo con Berlusconi mi impedisce di intervenire sulle riforme. Ora decida: o recupera il patto oppure, se è finito, non può pensare di riformare la Costituzione facendo a meno di noi e raccattando i voti sparsi dei verdiniani".

Ed è il vicesegretario dem, Lorenzo Guerini, a tentare di richiamare tutti all’ordine al termine della riunione dei parlamentari Pd col premier Renzi: "Mi aspetto il sostegno con impegno da parte di tutti. Spero che la riforma costituzionale possa vedere in aula la presenza di tutti i gruppi politici", ha aggiunto Guerini a proposito dell’annunciata ’diserzione’ da parte dei 5 Stelle: "Vedremo domani. Se qualcuno decide di chiamarsi fuori, ne prenderemo atto, ne sarei dispiaciuto". Infine, a proposito della riunione della minoranza dem, questo pomeriggio, Guerini ha sottolineato che "la proposta che arriva in aula è il frutto di una discussione molto serrata" nel partito "e di un dibattito molto articolato".

LASTAMPA.IT
francesco maesano
Un ministero, perché no? L’idea la butta lì il senatore Lorenzo Battista, ex del M5S oggi iscritto al gruppo per le Autonomie. Il primo dei transfughi del Movimento di Grillo e Casaleggio ad essere entrato in maggioranza. Per ora a fare il grande passo sono stati in due, l’altra è la sua collega a palazzo Madama Fabiola Anitori, entrata in Ncd. Non più sussurri da corridoio ma una lunga lettera aperta agli esuli Cinque stelle, un appello pubblico per la «costituzione di un gruppo che ambisce a entrare in maggioranza con un’eventuale richiesta di avere un dicastero – spiega Battista – la cui direzione potrebbe anche essere ricoperta da un tecnico. Si è responsabili delle linee politiche di quel ministero».
Un’operazione che per il senatore triestino avrebbe il senso di ottenere risultati di concerto col Governo. «Un’eventuale costituzione di un gruppo parlamentare troverebbe modo di dimostrare cosa si è capaci di fare – spiega – e quindi dovrebbe essere un gruppo che si potrebbe anche proporre come forza di maggioranza e come tale forza di governo. Siate coraggiosi, non dico che si debba restare insensibili ad evidenti storture, il voto di fiducia sui decreti (tanti, troppi) vi dà comunque la possibilità di farvi sentire anche non partecipando al voto, così come ho fatto io sul decreto Ilva che, a mio avviso, poneva la non responsabilità penale del commissario come qualcosa di non digeribile».
Non solo. Battista invita anche l’ala sinistra degli ex a unirsi a Sel: «In questo modo potreste raggiungere un duplice risultato: confluire in un gruppo omogeneo e dare la possibilità al gruppo misto di strutturarsi con una composizione maggiormente rappresentativa della eterogeneità del misto». Gruppo che, al momento, è guidato di fatto dai membri del partito di Vendola che all’atto della sua costituzione, a inizio legislatura, ne detenevano la maggioranza assoluta.

ARTICOLI DI STAMATTINA
DI CARO SUL CDS
ROMA Ribadisce il no alle riforme. Si appella, accoratamente, all’unità del centrodestra. Bacchetta quelli che nel suo partito peccano di «egoismo». Silvio Berlusconi torna sulla scena da leader che ha finito di scontare la sua pena e, in attesa del verdetto della Cassazione su Ruby previsto per domani, detta la linea a Forza Italia sui tre temi cardine che stanno caratterizzando il travagliato momento del centrodestra. Lo fa collegandosi telefonicamente con Bari, dove viene presentato il candidato alla presidenza della Regione Schittulli in una convention che vede la plastica spaccatura che attraversa FI: ci sono Giovanni Toti e Maurizio Gasparri in rappresentanza del partito, la Poli Bortone, Quagliariello per Ncd mentre l’uomo forte della Puglia, Raffaele Fitto, parla da Palermo dove fa tappa il suo tour dei Ricostruttori.
Restano lontanissimi Berlusconi e Fitto. Il primo non cita nemmeno il suo sfidante, ma sembra alludere a lui quando chiede lo stop agli «egoismi e alle rendite di posizione». Il secondo, che a Bari ha organizzato per sabato prossimo una manifestazione pro Schittulli alla Fiera del Levante dove conta di portare molti più sostenitori di quelli radunati ieri, continua a lamentare nei suoi confronti azioni ostili, minacce, commissariamenti, espulsioni, un clima «da coprifuoco».
Il rischio che si finisca con le carte bollate resta alto, anche se Toti considera «fantascienza» l’ipotesi che possa essere inibito l’uso del simbolo a FI e a Berlusconi. Ma certo il clima è tesissimo: i fedelissimi dell’ex premier contano di escludere i fittiani dalle liste e sperano che l’ex governatore presenti una sua civica in Puglia, lui giura che non si presterà al gioco e accusa il leader che si rinchiude «nel bunker».
A complicare la situazione, sono anche le divisioni interne al partito sulle riforme e quelle nel centrodestra sulle alleanze. Sul primo punto, non c’è dubbio che in FI molti siano scettici sulla linea dura che Berlusconi ha ieri ribadito di voler sostenere: «Noi avevamo creduto fino in fondo al patto del Nazareno, accettando sulle riforme cambiamenti che non ci piacevano e che ci siamo resi conto servivano solo a rafforzare un’unica parte politica: il Pd ha l’arroganza e la prepotenza di chi si ritiene a torto moralmente superiore», e per questo «voteremo contro le riforme» e contro un Renzi che per Berlusconi ha violato i patti: quelli per cui sarebbe dovuta finire «la guerra civile» che divide da 20 anni il Paese.
Ma i verdiniani da una parte, i moderati azzurri dall’altra (da Romani a Gelmini) vedono con timore al solco che si sta allargando con Renzi, pur sapendo che in questa fase, con la Lega che pretende da FI scelte nette di opposizione per concedere un’alleanza, e con le regionali che impongono una linea non ambigua, Berlusconi non può che confermare il suo no alle riforme. Dopo, si vedrà.
Ma nonostante tutto, sulle alleanze l’accordo non c’è. «Non abbiamo ancora trovato un’intesa», conferma Altero Matteoli. Perché fino a quando Tosi non scenderà in campo e l’Ncd non farà la scelta di appoggiarlo, lasciando libera FI di sostenere Zaia, il quadro non potrà definirsi. E perché restano problemi con la stessa Lega, che presenta ovunque — dalla Liguria alla Toscana alle Marche — propri candidati senza consultarsi con i potenziali alleati, e provocando grossi mugugni fra gli azzurri. Nelle Marche FI e Ncd sostengono Spacca, in Campania le pressioni di Renzi su Alfano per sostenere De Luca rendono non scontato il patto tra azzurri e centristi, che infatti ancora non è stato messo nero su bianco. Non a caso Schifani, capogruppo ncd, fa sapere che oggi «il centrodestra, con questa Lega lepenista, non può tornare insieme». Rischia dunque di cadere nel vuoto l’appello di Berlusconi ad evitare «i narcisismi, le corse solitarie» che condannerebbero i moderati alla «irrilevanza».
Paola Di Caro

LABATE
ROMA «Guardate che Matteo Renzi si sta innervosendo con la minoranza del suo partito. Se quelli si mettono di traverso, lui coglierà la palla al balzo per trascinare tutti a elezioni anticipate. E quanti dei nostri saranno ricandidati, se crolla tutto?». Nelle ultime due settimane ne avrebbe avvicinati parecchi, di parlamentari forzisti, Denis Verdini. E a tutti avrebbe sottoposto lo stesso schema. «Se poi Renzi ci trascina alle urne a causa dei veti del suo e del nostro partito sulle riforme, tu sei sicuro di essere ricandidato ed eletto?».
E così, grazie alla moral suasion verdiniana, un pezzo consistente del gruppo parlamentare di Forza Italia starebbe rivedendo — in senso nettamente più «morbido» — la sua posizione su riforma costituzionale e Italicum. E il sommovimento non dev’essere di poco conto se è vero che anche il presidente del Consiglio, l’altro giorno, ha scommesso sull’ipotesi che un nutrito gruppetto di azzurri alla fine voterà a favore della riforma elettorale alla Camera.
Protetto dalla scelta tattica di farsi vedere di meno (ma non troppo) nella sua stanza al quartier generale di San Lorenzo in Lucina (magari prima ci stava fino al venerdì, oggi rientra a casa già il giovedì), Verdini sta sondando un po’ tutti.
L’altro giorno ha parlato a lungo con Saverio Romano, luogotenente siciliano dell’area di Raffaele Fitto, e anche con Pino Galati, calabrese di simpatie fittiane leggermente più sbiadite. Senza tralasciare che anche il massimo teorico del berlusconismo in salsa democristiana, e cioè Gianfranco Rotondi, adesso sarebbe più sintonizzato con le antenne di Verdini che non con quelle di Arcore.
Parlare di una corrente organizzata è eccessivo. Ma quella pattuglia che prima poteva contare soltanto sulla falange composta dai «fantastici quattro del verdinismo ortodosso» (Ignazio Abrignani, Gregorio Fontana, Luca d’Alessandro e Massimo Parisi), adesso ragiona su numeri più estesi. Al punto che, secondo alcuni calcoli fatti tra i parlamentari, sulle posizioni di Verdini — e cioè quelle di raccogliere i cocci dello «schema Nazareno» — si attesterebbero quindici senatori e ventotto deputati. Molti dei quali si muovono con un unico obiettivo: scongiurare del tutto anche la più remota ipotesi che Renzi provochi la fine anticipata della legislatura. E così, nonostante il niet di Arcore, dentro Forza Italia cresce la voglia di non distanziarsi troppo dal treno delle riforme. «Per coerenza, non possiamo votare contro le riforme. Un voto contrario sarebbe incomprensibile nonché coerente», ha affermato ieri Manuela Repetti, che ha congelato le sue dimissioni da Forza Italia. Una tesi che sarebbe condivisa anche dal suo compagno Sandro Bondi, che — non a caso — con Verdini ha (quasi) sempre avuto ottimi rapporti.
I maligni arrivano a dire che, se il Parlamento si trasforma un Vietnam, è tra i vecchi e i nuovi verdiniani che potrebbero nascondersi coloro che, abbandonando Forza Italia, potrebbero costruire un gruppo di «Responsabili» a sostegno del governo Renzi. Fantapolitica? Chissà. Di certo c’è che Verdini non ha affatto abbandonato il «canale diretto» con Palazzo Chigi. E anche che, dopo un silenzio lungo un mese, lo stesso senatore toscano avrebbe dovuto incontrare Silvio Berlusconi la settimana scorsa.
La frattura al malleolo dell’ex premier, però, ha fatto saltare il faccia a faccia. E lo scontro, adesso, potrebbe arrivare direttamente all’assemblea dei gruppi parlamentari. O forse, addirittura, all’interno di quell’ufficio di presidenza di cui più d’uno chiede una nuova convocazione. Potrebbe essere quello il teatro dello scontro finale. Che Berlusconi, vista l’aria che tira all’interno del partito, vorrebbe a tutti i costi rinviare. Quantomeno a dopo le Regionali.
Tommaso Labate

CORRIERE
GALLUZZO
ROMA Tutto il merito, scrive, è «del 41% che abbiamo preso alle elezioni europee, ci ha dato una forza straordinaria ovunque, in Italia e in Europa, anche dentro il nostro partito, ma non come forma di ricatto, ma come richiamo alla responsabilità».
Come spesso accade Matteo Renzi domenica pomeriggio scrive la sua cosiddetta e-news, un elenco di programmi, risultati, appuntamenti, commentati alla luce degli ultimi avvenimenti o di quello che sta per succedere nella settimana che sta per iniziare. Ebbene il richiamo a tanta forza politica in questo caso vale come risposta alla minoranza interna del suo Pd e soprattutto alle parole di Berlusconi, che promette solo voti negativi contro le riforme e nessuna ulteriore collaborazione.
Per Renzi poco male, vede avvicinarsi un appuntamento decisivo, domani sulla riforma costituzionale «ci siamo, andiamo alla Camera con il voto finale della seconda lettura: puntiamo al referendum finale perché per noi decidono i cittadini, con buona pace di chi ci accusa di atteggiamento autoritario; il popolo, nessun altro, dirà se i parlamentari hanno fatto un buon lavoro o no». Insomma, come detto altre volte, per il premier non è una preoccupazione non ottenere una maggioranza qualificata, cosa che permetterebbe di evitare il referendum. Anzi, un confronto con gli italiani è proprio l’obiettivo che insegue, alla fine del percorso di riforma della Carta costituzionale.
E nessun cruccio anche sulle difficoltà che affronterà la legge elettorale, fra qualche tempo: non c’è il timore di una saldatura fra malumore interno al Pd e opposizione di Forza Italia, c’è invece la convinzione di una buona legge che garantirà, «certezza del vincitore, ballottaggio, garanzia di governabilità, parità di genere, metà preferenze e metà collegi, manca l’ultima lettura — quella finale — alla Camera» conclude Renzi, lasciando intendere che non ci saranno modifiche.
Insomma ottimismo e semmai voglia di accelerare, anche perché «il Paese si sta rimettendo in moto, l’Italia sta davvero cambiando verso, passando dal meno degli ultimi anni al più, ma proprio per questo adesso dobbiamo intensificare gli sforzi: in un anno sono aumentati i posti di lavoro, più 134 mila; con le misure della legge di Stabilità, zero tasse per chi assume, e con la riforma del lavoro (Jobs act), sarà ancora più facile assumere. E nel primo trimestre è probabile che il Pil torni positivo dopo decine di rilevazioni negative. Tutto questo deriva dalla solidità delle nostre riforme, il quadro economico non è mai stato così invitante, fuori torna a splendere il sole, per questo non possiamo fermarci».
Renzi accenna anche al ddl sulla scuola, che verrà inviato in Parlamento in settimana e che non sarà trasformato in decreto se le opposizioni non faranno ostruzionismo. Continuerà a storcere il naso invece una buona fetta del Pd: alla riunione su fisco, P.a. e terzo settore, convocata per oggi in tanti non andranno, come il deputato bersaniano Davide Zoggia, la giudica «una comparsata». Mentre Gianni Cuperlo offre questa chiosa del momento: «Non aiutano le parole di Renzi, invita alla discussione ma dice che tanto poi fa quello che vuole».
Marco Galluzzo

INTERVISTA A GOTOR


Lunedì 9 Marzo, 2015
CORRIERE DELLA SERA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Votare con Forza Italia? Non è un problema Renzi pensi a unire il Pd»
Gotor: Italicum e Senato, intervenire si può
ROMA «Basta con le schermaglie, con la propaganda e i puntigli. Renzi metta da parte la retorica dei gufi e dei frenatori e cambi passo. Prenda atto che il patto del Nazareno è finito e unisca il Pd per cambiare riforma del Senato e legge elettorale». Miguel Gotor è uno degli esponenti della minoranza del Pd più agguerriti.
Ma il patto del Nazareno è finito davvero?
«Sussiste un ambito economico-finanziario, che tutela gli interessi di Berlusconi: si è capito quando ha votato l’Italicum, in modo politicamente irragionevole, 24 ore prima delle urne per il presidente. Ma dal punto di vista politico, il patto ha subito un colpo».
Con che conseguenze?
«Il patto è stato usato, da una parte come una clava contro di noi, per dare le botte in testa alla minoranza pd; dall’altra, come spauracchio per Berlusconi. Renzi ci ha sempre detto: sono d’accordo con voi, ma l’accordo con Berlusconi mi impedisce di intervenire sulle riforme. Bene, ora decida: o recupera il patto oppure, se questo è finito, non può pensare di riformare la Costituzione facendo a meno di noi e raccattando i voti sparsi dei verdiniani».
Se l’accordo non si trova, voi vi trovereste a votare, contro la riforma, insieme a Berlusconi. Un patto del «diavolo», altro che del Nazareno. Non sarebbe imbarazzante votare al suo fianco?
«Ma non c’è nessun serio riformista in Italia che pensa che Berlusconi sia il diavolo. Questa è una caricatura: c’è il massimo rispetto per la persona e la storia politica. Le riforme della Costituzione vanno fatte coinvolgendo l’opposizione: è l’idea di patto che non andava. Quindi il punto non è votare insieme a Berlusconi, a favore o contro la riforma. Il punto è che il Pd deve essere unito e deve essere all’altezza delle sue responsabilità».
Però Renzi, Boschi e Serracchiani non lasciano aperti spiragli.
«C’è ancora spazio per riprendere l’iniziativa politica e trovare una sintesi».
Cosa si deve cambiare?
«Riforma del Senato e legge elettorale vanno viste nell’insieme, perché modificano gli equilibri democratici e la forma di governo. Non può funzionare un Senato composto da eletti di secondo grado e una futura sola Camera politica composta a maggioranza di nominati. È inutile che Renzi continui a sparigliare per nascondere questa relazione. Per questo diciamo che se non cambia la riforma del Senato, l’Italicum così com’è non si può votare».
Ma se la Camera cambia la legge elettorale, poi deve tornare al Senato e rischia.
«È un ragionamento falso e offensivo nei nostri confronti. Intervenendo sui capilista nominati, ci sarebbe tranquillamente l’unità del Pd e una buona maggioranza».
La minoranza si riunisce il 14, con Area Riformista, e poi il 21 marzo. Lo spauracchio della scissione c’è ancora?
«No, sono voci assurde. La sinistra del Pd deve restare dentro il partito per evitare un possibile esito del disegno di Renzi».
Quale disegno?
«Quello di un Pd neocentrista pigliatutto, con due minoranze radicali urlanti: Salvini da una parte, Landini dall’altra. Un Pd così, diventerebbe un luogo consociativo e un fattore di trasformismo: alla fine, di conservazione. La democrazia respira con due grandi polmoni, non con un grande centro che pensa di prendersi tutto».
Alessandro Trocino

stefano folli

NAZIONALE - 09 marzo 2015
CERCA
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POLITICA E GIUSTIZIA
IL PUN TO
DI STEFANO FOLLI
Il piano di Renzi aprire ai bersaniani tutelando la ditta
Il premier accetta l’idea di un partito strutturato ma avverte che sulle riforme non si torna indietro
IL voto contrario annunciato per domani da Berlusconi sulla riforma del Senato cambia lo scenario politico. Era atteso, anzi ormai scontato dopo la rottura del famoso patto del Nazareno. Ma è comunque un passaggio che incrina il castello di carte della legislatura. Si può certo immaginare che nulla è per sempre e che la convergenza di interessi produrrà prima o poi un riavvicinamento fra il centrosinistra renziano e quel che resta del partito berlusconiano. Intanto però la realtà è un’altra.
Nel giorno in cui finisce di scontare la sua pena ai servizi sociali, il fondatore di Forza Italia cerca di riconquistare un ruolo abbracciando le tesi più radicali. Inseguendo il leghista Salvini sul suo terreno nel «no» intransigente a tutto. Contraddicendo tutto quello che il centrodestra ha fatto nell’ultimo anno in sintonia con l’amico Renzi, oggi apparente arci-nemico: a cominciare dalla legge che supera il bipolarismo paritario e dal nuovo modello elettorale. Berlusconi ritiene che attraverso questa giravolta, cioè il voto di domani, emerga «l’unità del centrodestra », ma nemmeno questa consolazione è fondata. Come chiunque può verificare, il centrodestra non è mai stato così frantumato, al punto che uno spezzone (i centristi di Alfano) se ne sta al governo con Renzi e un altro spezzone, la nuova Lega, non lo vuole come alleato nemmeno alle regionali. L’operazione ha quindi poco senso sul piano politico. È una forma di radicalizzazione rabbiosa e frustrata che si spiega con l’essersi ritrovati all’improvviso senza politica e senza un alleato che non sia l’emulo italiano di Marine Le Pen, il quale peraltro fa corsa a sé.
Tutto bene per Renzi, allora? Non proprio. E non tanto per una questione di numeri, che probabilmente sulla riforma del Senato ci saranno: più esigui ma sufficienti. Il problema è di natura politica. L’intesa con il centrodestra aiutava Renzi a dare equilibrio alla legislatura, in una chiave che si può definire «costituente ». Lasciava intravedere una prospettiva in cui, dopo Berlusconi, avrebbe preso forma un’alternativa moderata e conservatrice al «renzismo». Ora invece comincia una storia diversa, non necessariamente più vantaggiosa per il presidente del Consiglio. Il quale è obbligato a disinnescare le piccole e grandi mine di cui la minoranza del Pd costella il cammino del governo e il percorso delle riforme. Un’intesa di lungo periodo con gli avversari interni è consigliabile e forse anche indispensabile, prima di qualche incidente in Parlamento.
Ma è evidente che Renzi cercherà innanzi tutto di dividere il fronte, così da non dover pagare prezzi troppo alti. Ecco allora l’importante intervista all’»Espresso». In cui da un lato il premier annuncia l’intenzione di andare avanti senza tentennamenti, cioè senza concedere alcuna correzione alla riforma elettorale. E dall’altro apre a una diversa organizzazione del Pd. La ragione? «Un partito che punta al premio di lista — parole di Renzi — deve essere meno leggero di quanto io immaginassi in origine. Serve una strada nuova rispetto al vecchio modello di partito ormai superato, ma anche rispetto al partito all’americana che era il mio sogno iniziale. Un partito che non sia solo un comitato elettorale. Se nel Pd si vuole discutere di questo sono pronto. Anche se so che una parte dice di no a tutto per principio ».
In altri termini, chi crede ancora nel partito strutturato, radicato nel potere locale dei «quadri», sarà accontentato. Il messaggio è chiaro: c’è uno spazio a disposizione degli oppositori che vogliono collaborare. Uno spazio che significa posti nelle liste elettorali e in Parlamento. La «ditta» viene garantita, anche se attraverso un modello meno tradizionale di quello a cui pensava Bersani. Solo un trucco di Renzi timoroso che le sue riforme non passino? Può darsi. Forse invece il premier comprende che un eccesso di arroganza è deleterio, soprattutto se Berlusconi si ritira dal tavolo da gioco. Una qualche intesa con la minoranza è inevitabile, come già è accaduto nell’elezione di Mattarella. Non tutto può risolversi con il referendum finale sulle riforme, già oggi impostato dal premier come un plebiscito su se stesso.