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 2015  marzo 09 Lunedì calendario

NON BASTA LEGGERE SUL PROGRAMMA SOLO LA PAROLA «PORNO»

Si è svolto a New York, dal 27 feb­braio al 1 Marzo, la prima edi­zione del New York City Porno Film Festi­val. L’annuncio era stato dato lo scorso novem­bre dall’organizzatore, Simon Leahy, che aveva pre­sen­tato la ras­se­gna come un’occasione col­let­tiva di dare visi­bi­lità ai film per adulti intesi come una signi­fi­ca­tiva e poli­tica forma d’arte, «mirando a sfi­dare l’ipocrisia ed i luo­ghi comuni che cir­con­dano la por­no­gra­fia per esa­mi­nare il suo impatto cul­tu­rale e sociale». Lo spon­sor della ras­se­gna è stato Por­n­hub, sito web di con­di­vi­sione libera di mate­riale por­no­gra­fico, il luogo che l’ha ospi­tata, il Secret Pro­ject Robot, è uno spa­zio auto­ge­stito che ad un occhio euro­peo ricorda luo­ghi ber­li­nesi come Tache­les. Nel Secret Pro­ject Robot si svol­gono costan­te­mente eventi musi­cali ed arti­stici e si trova nella parte più esterna di Bush­wick, zona indu­striale di Broo­klyn, famosa per essere diven­tata negli ultimi due anni l’epicentro dell’underground new­yor­chese in con­ti­nua migra­zione a causa dei costi ecces­sivi in cui pre­ci­pi­tano i quar­tieri della città, diven­tando rapi­da­mente da acces­si­bili ad intoc­ca­bili. Ora il cuore della con­tro cul­tura new­yor­chese batte in que­sta zona che cor­ri­sponde, come in una pola­roid, alla descri­zione della sporca New York così come tra­smessa da cinema e tele­vi­sione e non poteva esserci uno spa­zio migliore per ospi­tare un festi­val dedi­cato alla por­no­gra­fia, intesa come con­tro­cul­tura.
Ad andare in scena al festi­val non è stato il porno main stream, quello pati­nato dei film a luci rosse di pro­du­zione indu­striale, il pro­gramma della ras­se­gna è molto più com­plesso, com­po­sto da pro­ta­go­ni­sti diversi, come l’icona tran­sgen­der e pro­dut­tore di film per adulti Buck Angel, o il cor­to­me­trag­gio Inte­rior. Lea­ther Bar diretto ed inter­pre­tato da James Franco e Tra­vis Mat­thews, già sele­zio­nato al Sun­dance Film Festi­val e con­te­nente diversi momenti di sesso più che espli­cito.
L’idea e l’organizzazione del festi­val è di Simon Leahy, nome noto nel pano­rama arti­stico e crea­tivo della scena new­yor­chese, cono­sciuto anche per essere il ful­cro di un altro festi­val che si svolge sem­pre a Bush­wick, il Bush­wig feti­val, tre giorni di cul­tura drag, amore e libera espres­sione, per­for­mance e dj set.
«L’idea di un porno film festi­val mi è venuta in quanto il sesso mi piace, — dice Simon Leahy – la sua rap­pre­sen­ta­zione mi piace, ma non quella arti­fi­ciale, cana­liz­zante bensì quella libe­ra­to­ria, auten­ti­ca­mente tra­sgres­siva che rap­pre­senta, abbat­tendo le limi­ta­zioni di genere, con­te­sto, prassi. Ciò che ho fatto è stato met­tere insieme e coor­di­nare un gruppo di per­sone che con­di­vi­des­sero que­sta visione di porno come espres­sione anche poli­tica di con­tro­cul­tura e si occu­pas­sero della sele­zione dei corti da mostrare, degli ospiti da invi­tare».
Il sesso, come qual­siasi altro ele­mento, è un atto poli­tico, e que­sto con­cetto viene ripe­tuto in tutte le salse ed in tutti i modi sot­to­li­nean­done il suo valore libe­ra­to­rio e a sua poten­zia­lità come ele­mento i rot­tura delle con­ven­zioni. Incluse quelle visive e rap­pre­sen­ta­tive.
La ras­se­gna si è svolta tra pro­ie­zioni, dibat­titi, con­fe­renze che pre­ve­de­vano un apporto attivo da parte del pub­blico. Si è par­lato molto della defi­ni­zione di porno (post porno, indie porno) così come inteso da orga­niz­za­tori ed avven­tori, per defi­nire una rap­pre­sen­ta­zione del sesso che non sot­to­stà, non solo ai canoni este­tici del main stream, ma nem­meno a quelli cul­tu­rali.
«L’idea che il sesso debba essere o etero o omo – dice San­dra, art direc­tor e fre­quen­ta­trice del festi­val – che debba ecci­tare riper­cor­rendo per­corsi patriar­cali e fon­da­men­tal­mente sce­vri da ogni tipo di iro­nia, è un’idea rea­zio­na­ria. Il porno, come lo intendo io, cele­bra il pan­ses­sua­li­smo, il polia­mo­ri­smo, biso­gna libe­rare l’immaginario ero­tico, per fare ciò il primo passo è abo­lire ogni defi­ni­zione».
Que­sta idea è con­di­visa da molti, ed i dibat­titi pro­se­guono spesso al bar, dopo le pro­ie­zioni e gli incon­tri con gli autori.
Uno degli incon­tri più seguito ed accla­mato è stato quello con l’artista e film­ma­ker Bar­bara Ham­mer, nata nel 1938, pio­niera del porno lesbico e parte del movi­mento di rivo­lu­zione ses­suale degli anni ’60 sulla west coast cali­for­niana. Tra uno spez­zone e l’altro dei suoi lavori, la Ham­mer ha pre­sen­tato il suo pen­siero e la sua filo­so­fia di vita ed ha rac­con­tato parte dell’esperienza per­so­nale e col­let­tiva dell’essere lesbica in un’era pre-pride: «Certo che ses­suale è poli­tico! Io sono stata etero per nove anni poi tutta la mia vita è cam­biata nel corso di una notte e nulla è stato più uguale, tutto era un segnale che man­da­vamo all’esterno. Era­vamo ragazze lesbi­che dichia­rate e lo dichia­ra­vamo anche taglian­doci i capelli o por­tando le unghia corte, in un’era in cui nes­suna donna lo faceva e il per­ché por­tas­simo le unghia corte era evi­den­te­mente cor­re­lato alle nostre scan­da­lose pra­ti­che ses­suali – dice ridendo davanti al pub­blico che l’applaude ogni due minuti – Così ripren­de­vamo pos­sesso dei nostri corpi, destini, sen­sa­zioni, sen­ti­menti. Già essere lesbica aveva una valenza poli­tica, rap­pre­sen­tare il lesbi­smo, poi, era l’apoteosi. La mia tele­ca­mera doveva viag­giare, muo­versi, ondu­lare, seguire i movi­menti, non essere ferma davanti ad un atto mec­ca­nico». Bar­bara Ham­mer sor­ride, parla dol­ce­mente, è iro­nica ed autoi­ro­nica e anche molto con­sa­pe­vole: «Viviamo in una società più aperta, non solo all’omosessualità, ma anche alle diverse forme espres­sive di amore e di sesso, quindi di vita, ma que­sto accade in una por­zione di New York, in una por­zione di San Fran­ci­sco o di Los Ange­les, non è un oriz­zonte più ampio di così».
I cor­to­me­traggi sele­zio­nati spa­ziano dalle anime giap­po­nesi ai «passo uno» cari agli anni ’80 e ’90, alle spe­ri­men­ta­zioni visive di ogni decade, un corto con­si­ste in uno schermo rosa men­tre l’audio sono gemiti e i sospiri, si va dal bsdm al queer al voyeu­ri­smo, sono rap­pre­sen­tate dav­vero tutte le espres­sioni pos­si­bili dell’eros. Un ele­mento è subito evi­dente: la pre­senza di corpi diversi, non omo­lo­gati ad un unico ste­reo­tipo di forma repli­cata chi­rur­gi­ca­mente all’infinito. Seni, pance, gambe, nasi, accon­cia­ture diverse tra loro rap­pre­sen­tanti imma­gi­nari ero­tici varie­gati.
«Sono felice che que­sto si noti – dice Julian Curico, pro­ve­niente da Ber­lino, uno dei cura­tori e sele­zio­na­tori dei corti pre­senti alla ras­se­gna – Ovvia­mente, non ponendo cen­sure di nes­sun genere all’immaginario di nes­suno, non ne pongo nem­meno a quello che si rivolge all’idea di corpo rica­vato dalla chi­rur­gia este­tica, se que­sto è uno degli imma­gi­nari ses­suali pos­si­bili, non se è l’unica espres­sione del porno. Io sono anche un video­ma­ker, la defi­ni­zione migliore che si può‘ dare del porno così come amo rap­pre­sen­tarlo, l’ha data Anaïs Nin, ne Il Delta Di Venere, scri­vendo che ‘Solo il bat­tito unito di sesso e cuore pos­sono creare l’estasi’. Il porno non è solo un pro­dotto, ma un pro­cesso, un gruppo di per­sone che si uni­scono e creano qual­cosa, è un’esperienza con­di­visa. Ogni film esplora le poten­zia­lità arti­sti­che e poli­ti­che di que­ste col­la­bo­ra­zioni e ci invita a ri-immaginare cos’‘e il porno e che cosa può diven­tare».
Della ras­se­gna se ne sono occu­pati i gior­nali ame­ri­cani e new­yor­chesi curiosi di sapere cosa stesse acca­dendo ed anche un gruppo di con­te­sta­tori si è pre­sen­tato sabato, munito di car­telli, davanti all’ingresso del Secret Robot Pro­ject. «C’erano una ven­tina di mani­fe­stanti sono arri­vati qua davanti – rac­conta Simon Leahy – ci accu­sa­vano di essere vei­coli di un pen­siero patriar­cale ed hanno con­te­stato il festi­val. Che razza di gior­nata, ma dico io: ma avete letto il pro­gramma del festi­val? Non basta leg­gere solo la parola porno. Alla fine è dovuta venire la poli­zia a proteggerci».