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 2015  marzo 07 Sabato calendario

SULLE TRACCE DI TROTULA DE RUGGIERO

Via Tro­tula de Rug­giero La strada non la si vede. Dalla piaz­zetta appar­tata ai piedi della chiesa scon­sa­crata di S. Sofia non appare. Ma inol­tran­doci in dire­zione della fon­tana, ecco che, can­giante e impren­di­bile come il volo di una far­falla, già affiora un bagliore della sua voce. Ho avuto sem­pre il desi­de­rio di cono­scere il fisico della donna … l’animo fem­mi­nile, le sue ango­sce, le sue ansie, le sue neces­sità. È solo esplo­rando con cura che la si scorge: una minu­scola scala, un breve tun­nel, viuzza segreta sul fianco destro della visuale, come un mar­su­pio nasco­sto tra i mean­dri meno bat­tuti della città. Ssst. Non ditelo a nes­suno: è un pas­sag­gio. La mia curio­sità era meto­dica e quasi rituale. Sen­ti­rete il ter­reno iner­pi­carsi, lo spa­zio intorno a voi restrin­gersi, le auto scom­pa­rire for­za­ta­mente dal vostro campo visivo. Pure imboc­ca­telo senza timore, la sua voce vi sarà bus­sola e luce, quando nasce­rete dall’altra parte, mille anni indie­tro o forse nel tempo che verrà, tra le brac­cia della Salerno medie­vale più sag­gia e radiante, Salerno della Scuola Medica. Ma chi avrebbe ispi­rato la mia opera? Essa doveva par­lare alle donne …Mostrare la mia mae­stria oltre l’ostetricia e la gine­co­lo­gia. Si sale, men­tre i colori con­no­tanti dei limoni e degli ulivi sbu­cano dai ter­razzi delle case. Se indos­sas­simo abiti simili ai suoi, una sem­plice tunica con gamurra, allora sen­ti­remmo un vento leg­gero insi­nuarsi lungo la schiena; e i capelli, che spesso por­tava liberi dal sog­golo, un copri­capo di allora, librarsi flut­tuanti e aerei. Per­ché rifug­gire il pia­cere? Il pia­cere di un bagno, di notte nel mare, senza i vestiti addosso. Il pia­cere dell’acqua sulla pelle, dell’aria che asciuga il corpo bagnato … Pen­sare che molti reli­giosi con­si­glia­vano la castità come salu­tare! So solo io quante reli­giose ho dovuto curare con impac­chi di muschio e menta … per cal­mare le irri­ta­zioni date dal desi­de­rio ses­suale trat­te­nuto. E con­ti­nuiamo a salire, men­tre si respira già il fuo­ri­campo del mare la cui vista infi­nita sul golfo ci si aprirà dall’alto, in un silen­zio sem­pre più rare­fatto, e nell’approssimarsi del luogo più pul­sante, il Giar­dino della Minerva. Gra­zie a me la città si ammantò di verde … e le donne, face­vano a gara a venire a con­sul­tarmi per la col­ti­va­zione delle erbe medi­che … Ormai Salerno era tutto un opi­fi­cio di pro­dotti far­ma­ceu­tici e cosme­tici … Avrei fatto espe­ri­menti e studi a capo di una schiera di disce­pole di ogni etnia e reli­gione: nella mesco­lanza dei saperi si sarebbe mani­fe­stata la vera scienza. Ecco, come una “stella dan­ze­rina”, la sua voce con­ti­nua a balu­gi­nare fino a noi, lungo la via che porta il suo nome. Que­sto è il mio regalo per te, in que­sti semi tro­ve­rai la cura dei mali del tuo tempo. Pian­tali, curali e soprat­tutto ama i loro frutti come fossi io. Tro­tula de Rug­giero.

Magi­stra e spe­cu­lum È da un Medioevo in gran parte depri­vante per le donne, escluse (eccetto casi di reli­giose come Ilde­garda o Eloisa), dal nutri­mento del sapere, inglo­bate nel cul-de-sac di destini obbli­gati — chio­stri e matri­moni come gab­bie — gra­vate dal cielo oscuro di pseu­do­fi­lo­so­fi­che pre­giu­di­ziali miso­gine, da Ari­sto­tele ai Padri della Chiesa, che pro­rompe la voce auto­re­vole e cri­stal­lina di Tro­tula de Rug­giero, proto dot­to­ressa d’occidente, attiva nell’XI secolo: colei che non solo com­pie rego­lari studi di medi­cina, ma la prima donna cui dalla Scuola Medica Saler­ni­tana è rico­no­sciuta uffi­cial­mente la dignità dello sta­tus di medico, non­ché di quello pre­sti­gio­sis­simo di Magi­stra. A ciò si aggiunga la sua ante­si­gnana atti­tu­dine a siste­ma­tiz­zare e tra­man­dare per iscritto le sue cono­scenze cli­ni­che, attra­verso il primo com­pen­dio di medi­cina fem­mi­nile scritto da una donna, di cui si abbia noti­zia. Anche autrice dun­que, del De pas­sio­ni­bus mulie­rum curan­da­rum, un trat­tato di gine­co­lo­gia e oste­tri­cia (noto come Tro­tula maior), e del De ornatu mulie­rum, un trat­tato di cosmesi (Tro­tula minor). Ecco, intro­du­cendo il testo sulle malat­tie delle donne, di cui sot­to­li­nea la dif­fe­rente fisio­lo­gia, scrive di volerne minu­ta­mente illu­strare e curare le infer­mità, prima durante e dopo il parto, pale­sando come “per pudore e per innata riser­va­tezza non osino rive­lare a un medico maschio le indi­spo­si­zioni” legate agli organi della pro­crea­zione e dun­que alle loro parti intime. È il punto. Di fatto una pre­cor­ri­trice rivo­lu­zio­na­ria messa a fuoco della spe­ci­fi­cità di genere, inter­re­lata trama di natura e malat­tia, corpo e psi­che, biso­gni e desi­deri. Que­sto le donne chie­dono, essere curate da una donna: spe­cu­la­rità dol­cezza, pro­te­zione del loro nucleo più pri­vato ed empa­tia. E lei, Tro­tula, medi­chessa del futuro, le ascolta le cura e ne scrive: dal XII secolo il suo cor­pus si irra­dia così per l’Europa, men­tre alla ver­sione ori­gi­nale in latino si aggiun­gono le tra­du­zioni in lin­gue vol­gari, inglese fran­cese tede­sca, ita­liana, ebraica e olan­dese. Ma come è pos­si­bile che que­sto avvenga? Come fa un rag­gio di ener­gia così nitida a insi­nuarsi attra­verso fine­stre pres­so­ché oscurate?

Visioni di Hip­po­cra­tica civi­tas “In quella scuola per la prima volta si sve­gliò quell’energia intel­let­tuale che scosse l’occidente dal sonno, e inau­gurò quel periodo di ope­rosa atti­vità che fu germe e prin­ci­pio della scienza moderna”. Così Sal­va­tore De Renzi nella sua miliare otto­cen­te­sca Col­lec­tio saler­ni­tana. Ecco, per pro­vare a rispon­dere alle domande di cui sopra è neces­sa­rio innan­zi­tutto immer­gersi nel con­te­sto più lumi­noso della sto­ria di Salerno e non solo, quello del ful­gore della sua Scuola Medica. Felice con­ver­gere di matrici geo­gra­fi­che (secondo Erchem­perto il nome della città deri­ve­rebbe dall’unione del mare “salus” e del fiume “Lirino”, ossia Irno, dalle rive adorne di gigli), e storico-economiche e cul­tu­rali, la Scuola, anche nelle sue espres­sioni ini­ziali (VIII-IX sec.), meno codi­fi­cate e meno sup­por­tate da testi­mo­nianze, si carat­te­rizza infatti per l’accoglienza nei con­fronti delle tra­di­zioni di sapere più dispa­rate, per un sin­cre­ti­smo che la leg­genda della sua fon­da­zione bril­lan­te­mente sem­bra resti­tuirci. (Sarebbe stato l’incontro tra quat­tro vian­danti, il greco Ponto, il latino Salerno, l’ebreo Elino e l’arabo Abdela, ritro­va­tisi a discu­tere di medi­cina nei pressi dell’acquedotto lon­go­bardo, a gene­rarla). È que­sta ten­denza tra­sver­sale e cosmo­po­lita — soste­nuta da un ric­chis­simo lavoro di tra­du­zione di testi arabi — che, unita a una fon­da­men­tale impronta laica e a un clima di aper­tura pro­pul­siva, le con­sente, sor­pren­den­te­mente e natu­ral­mente, di schiu­dere le sue porte alle donne. Al loro immane poten­ziale, al loro inso­sti­tui­bile apporto.

Sha­ke­speare era in realtà quat­tro donne? Ovvero: Tro­tula, chi era costei? La scuola è ancora lon­tana da una strut­tu­ra­zione più for­male, non­ché da una sua legit­ti­ma­zione isti­tu­zio­nale, che giun­gerà nel 1231 gra­zie a Fede­rico II e alle Costi­tu­zioni mel­fi­tane, quando Tro­tula vi viene accolta. “Nell’anno 1059 Rodolfo cogno­mi­nato Mala-Corona venne in Utica ed ivi per lungo tempo abitò … ebbe altresì cogni­zioni tanto estese delle cose fisi­che, che, nella città di Salerno, ove, fin dai tempi anti­chi si ave­vano le migliori scuole di medici, eccetto una sapiente matrona, non trovò alcun altro che avesse potuto star­gli a para­gone”. Così rac­conta Ode­rico Vitale a pro­po­sito del viag­gio in Ita­lia di Rodolfo Mala­co­rona, stu­dioso nor­manno reduce dalla Scuola di Char­tres, a pro­po­sito del suo entrare a con­tatto con quella saler­ni­tana. 1059: attorno a que­sto polo tem­po­rale ruota la data­zione della vita di Tro­tula de Rug­giero. Ancora, come riporta Erika Maderna nel suo Medi­chesse, La voca­zione fem­mi­nile alla cura, Chau­cer, in The wife of Bath, uno dei Rac­conti cari a Paso­lini, narra di lei. Men­tre nel Dict de l’Herberie, mono­logo di un ciar­la­tano ven­di­tore di pre­sunte erbe medi­ci­nali, del tro­va­tore pari­gino Rute­beuf , attivo tra il 1215 e 1280, il pro­ta­go­ni­sta ostenta di essere al ser­vi­zio di una nobil­donna saler­ni­tana di nome Trota, “la plus sage dame” al mondo.

Ciò nono­stante, e mal­grado la vasta riso­nanza delle sue opere, non­ché la testi­mo­nianza sto­rica rela­tiva ad altre medi­chesse che ope­re­ranno nella Scuola (Abella, Rebecca Guarna, Mer­cu­riade), l’esistenza di Tro­tula sarà nel tempo messa in dub­bio, e a lungo si cer­cherà di svuo­tarla di con­si­stenza e verità. Agli studi sopra citati di De Renzi, segui­ranno quelli di Boggi, Can­ta­lupo, Ber­tini, F. Ben­ton e H. Green, pure ancora fino a noi si ipo­tiz­zerà che la sua sia solo una leg­genda, o che il suo nome, inver­sa­mente dal “para­dosso sha­ke­spea­riano” di Woody Allen, adom­bri banal­mente l’opera di un uomo. Per­ché? Forse la sua è una sto­ria troppo lumi­nosa per poter essere reale? Oppure invece si tratta di un’opera scan­da­lo­sa­mente ante lit­te­ram, por­ta­trice del potere immane di noi donne di tra­sfor­mare noi stesse, il nostro tempo e quello a venire?

“Tro­tula, voci” Forse per que­sto, in cerca delle sue tracce lumi­ne­scenti, in meno di due anni, accanto agli studi sto­rici, nell’arco pos­si­bile tra la sto­ria accer­tata e i suoi vuoti, sono apparsi tre romanzi a lei dedi­cati, come ponti extra-temporali tra sen­si­bi­lità affini, elet­tive. I primi, due opere pon­de­rose ger­mi­nate da mani di scrit­trici, l’una fir­mata da Paola Pre­sciut­tini (edi­zioni Meri­diano Zero), l’altra da Doro­tea Memoli (Mar­lin, Ava­gliano); infine, qual­che mese fa, il romanzo breve di Vicente Barra (Prin­tart edi­zioni). Tre tim­bri dun­que, tra loro for­te­mente dif­fe­renti, da mil­len­nio a mil­len­nio, si sono mossi alla volta di lei, pro­vando a ria­bi­tarne la pelle, il cer­vello, il cuore. Ecco: sono ger­mo­gliati della loro scrit­tura gli echi di Tro­tula, che ci hanno accom­pa­gnato in que­sto nostro ingresso al suo mondo, tra i vicoli più intimi di Salerno contemporanea.

Di donna in donna “Dalle mie ossa nascerà una donna sapien­tis­sima che … darà la salute a tutte le donne”. È la pro­fe­zia ripor­tata dalla stu­diosa di sto­ria saler­ni­tana Doro­tea Memoli nell’incipit del suo Io, Tro­tula, ad avva­lo­rare la pre­zio­sità della genea­lo­gia fem­mi­nile in cui la nascita di lei si trova inscritta: dalla visio­na­rietà appena citata della bisnonna Teo­dora, mae­stra delle mulie­res saler­ni­ta­nae (prime depo­si­ta­rie di una antica sapienza fem­mi­nile), fino all’eredità greco-bizantina della nonna Rode­linda. Per non dire delle ori­gini lon­go­barde, per via materna, e nor­manne per quella paterna. In me pul­sano tre cuori. Tro­tula, o pic­cola trota: secondo quell’amore per la fauna del mare che Memoli ascrive alle sue radici normanno-vichinghe?

“Trota, tro­tina tro­tella, porta il ragno sulla spalla”. Se ripenso ai primi anni della mia esi­stenza rivedo mani bian­che pronte ad acco­gliere i miei primi passi … unghie listate di nero, ginoc­chia sbuc­ciate, stelle altis­sime nella notte … Sgorga puris­sima, curiosa del mondo e imper­ti­nente, la mera­vi­gliosa nar­ra­zione di Tro­tula bam­bina dalle pagine di Paola Pre­sciut­tini (fine cono­sci­trice di donne, benes­sere e malat­tia, per anni si ritira in un vec­chio mulino iso­lato, dando spa­zio a colei che, in appa­renza da un mondo lon­tano, le chiede di par­lare). Ben­ché erede di una nobile fami­glia saler­ni­tana lon­go­barda giunta da Bene­vento al seguito del prin­cipe Are­chi, la prima Tro­tula che ci si para davanti è dun­que, a sor­presa, una bam­bi­netta scalza, asse­tata di natura e scor­ri­bande, che parla un dia­letto incom­pren­si­bile. Intorno a que­sto nucleo di riso­nanze, l’autrice ha poi imma­gi­nato una poli­fo­nia mul­ti­pro­spet­tica di nar­ra­zioni in prima per­sona, tutte ruo­tanti nell’universo Tro­tula, come riflessi di lei, e tutte sor­rette da una ragion d’essere non comune. Tra que­ste, si sta­glia fin dai pri­mordi quella di Gerardo, amle­tico frate bene­det­tino suo primo men­tore, non­ché quella strug­gente della tata Iuz­zella, anal­fa­beta eppure prima mae­stra di rimedi erbo­ri­stici: resterà zoppa in un incen­dio, che insieme alla morte per parto prima di una cuoca e poi della stessa madre di Tro­tula (cul­trice di Deme­tra, Pomona e Luna), la pro­iet­terà bru­sca­mente “fuori dal giar­dino dell’infanzia”.

Scene da un ano­malo matri­mo­nio medie­vale Mai sazia di cono­scere, Tro­tula, ritratta da Pre­sciut­tini (nel cuore l’ardire intel­let­tuale di Santa Cate­rina d’Alessandria, raf­fi­gu­rata nel grande affre­sco nella Cap­pella Pala­tina), osa osa osa. Sem­pre spo­stando in là i con­fini della pro­pria odis­sea di donna. Il per­ché della vita mona­stica, il dia­co­nato fem­mi­nile, fino alle domande teo­lo­gi­che più scot­tanti: per­ché nella Genesi la donna nasce dall’uomo men­tre nella vita reale è l’inverso? Fino a recarsi, mossa dalla rab­bia più cocente, ad assi­stere alle lezioni della Scuola Medica in cerca di colui che non è riu­scito a impe­dire la morte di sua madre. Sarà quella moti­va­zione così visce­rale a deter­mi­nare, dopo la fre­quen­ta­zione delle mulie­res del con­vento di San Gior­gio, il suo incon­tro con i cena­coli dei medici saler­ni­tani: sarà quello il suo ingresso alla Scuola, non­ché il luogo in cui cono­scerà colui che diverrà suo marito. Da qui in poi, dal matri­mo­nio di Tro­tula con il medico Gio­vanni Pla­tea­rio il Vec­chio, nar­rato da De Renzi, dai tre romanzi rami­fi­cano qua­dri dif­fe­renti. Memoli, che imma­gina l’amore di Tro­tula rivolto pla­to­ni­ca­mente verso il cugino Edoardo il Con­fes­sore, re d’Inghilterra, la vede ras­se­gnata nell’accettare un marito che non ama, come unica rea­li­stica poli­tica via per diven­tare medico (per quanto acces­si­bile, il per­corso fem­mi­nile nella Scuola era comun­que sot­to­po­sto a restri­zioni). Un vin­colo che però col tempo, con la nascita di due figli, futuri medici anch’essi, e gra­zie allo scam­bio con la suo­cera, l’ostetrica Gio­vanna, si tra­mu­terà in un quieto tenace sen­ti­mento. Anche Vicente Barra, nella vita medico di ori­gine vene­zue­lana, autore di una nar­ra­zione oni­rica sospesa tra l’oggi e il tempo di Tro­tula, non rie­sce a sen­tire la sua medi­chessa (alla cui scuola il suo alter ego, il gine­co­logo Lorenzo, rive­lando lun­gi­mi­ranza e sen­si­bi­lità, si ritro­verà non solo in sogno), felice nell’unione col marito. Sol­tanto Paola Pre­sciut­tini le dona acu­ta­mente una sto­ria matri­mo­niale pro­fon­dis­sima, di ine­nar­ra­bile riso­nanza ero­tico intel­let­tuale, ma anche di dolo­ro­sis­sima con­flit­tua­lità (per quanto più aperto anche di tanti uomini del tempo a venire, lui non riu­scirà ad accet­tare com­ple­ta­mente una moglie più sapiente), cui segui­ranno defla­granti sepa­ra­zioni e dolci ricon­giun­gi­menti in tarda età.

L’alba della gine­co­lo­gia Allora Gio­vanni e io resta­vamo soli ad aspet­tare che la notte si disten­desse sul mare. Poi … ci roto­la­vamo sulla riva mischiando i baci col sapore dell’acqua salata. In quei momenti sen­tivo il mio corpo sano e felice, ogni cen­ti­me­tro della mia pelle vibrava, il san­gue scor­reva fluido nelle vene e tutti gli ele­menti erano tem­prati in un equi­li­brio per­fetto. In que­sta sen­suale avven­tura che per Tro­tula è l’amore, la vita, il con­tatto con la natura, da fem­mi­ni­sta oltre il tempo, parte da sé dal suo corpo, dall’esplorazione della pro­pria ses­sua­lità come della pro­pria anima. E, come rac­conta, lo fa in linea con quanto appreso presso la Scuola: l’unione più che com­pe­ne­trata di filo­so­fia e medi­cina, il pre­ci­pi­tato del sapere dei filo­sofi natu­ra­li­sti greci e lo scri­gno delle cono­scenze di Ippo­crate, Galeno, ma anche di Pla­tone e Ari­sto­tele, non­ché l’apporto arabo fil­trato dalle tra­du­zioni di Costan­tino l’Africano. E poi la pre­gnanza asso­luta del numero 4, come le sta­gioni, le età della vita, gli evan­ge­li­sti, e come nella teo­ria tetra­dica degli ele­menti (aria acqua fuoco e terra), cui cor­ri­spon­dono 4 umori del corpo – san­gue, flegma, bile gialla e bile nera — 4 modi di ritem­prarsi e 4 tem­pe­ra­menti. E dove la malat­tia è espres­sione del Kaos, di un dise­qui­li­brio, il buon medico cono­sce la cru­cia­lità dell’ascolto e della dia­gnosi, di un approc­cio al male che sia dolce e indi­retto, l’importanza dell’aprirsi a più di una tra­di­zione. Que­sta deve essere la medi­cina delle donne, oltre l’asfissia dell’accademia e della cura delle sole nobili, tutt’uno con l’afflato di riforma pau­pe­ri­stica della Chiesa: tra­sfe­ri­tasi in seguito alla sepa­ra­zione nel quar­tiere popo­lare della Giu­decca, Tro­tula offre il suo sapere alle donne più povere e alle pro­sti­tute, sfida la guerra e le epi­de­mie, cura e difende le reli­giose vio­len­tate, denun­cia i chie­rici stu­pra­tori. Sono sem­pre più con­vinta che si debba andare nelle cam­pa­gne, par­lare con le leva­trici, inse­gnar loro a lavarsi le mani. Igiene, dun­que, e riposo e dieta mode­rata, come nella notis­sima mas­sima del Regi­men sani­ta­tis, il Flos, appunto, sboc­ciato dalla Scuola. Che senso ha un sapere che non deter­mina un benes­sere tan­gi­bile? E allora andare, oltre l’anatema sca­gliato sulle donne nella Genesi e dire durante una lezione che sì, udite udite, il dolore del parto può essere lenito, che il “mestruo”non è una con­danna all’impurità, ma un modo pre­ci­puo del corpo fem­mi­nile per equi­li­brare i suoi umori, che è natu­rale come splen­didi “fiori”, e ancora come favo­rire il con­ce­pi­mento e come evi­tarlo, nota bene la ste­ri­lità può avere anche causa maschile, e come simu­lare la ver­gi­nità per non morire schiac­ciate da quel “morbo cul­tu­rale” che ci oppri­merà fino all’Agnesuzza di Germi, e oltre.

E infine la bel­lezza. A par­tire dalla sua, incon­fu­ta­bile. Non qual­cosa di fri­volo, no, bensì la tra­spa­renza dell’anima, la cosmesi come spec­chio del Cosmo. Le donne saler­ni­tane non potranno più fare a meno di lei, del suo Orto Magno del cuore, delle sue erbe, dei suoi unguenti, per capelli, viso e denti (o per alle­viare l’alitosi dei mariti). “Prendi rose sec­che, chiodi di garo­fano, noce moscata … Lascia che tutti que­sti … ven­gano mesco­lati con acqua di rose. Con quest’acqua vi spruzzi i capelli, così che avranno un pro­fumo migliore”.

L’abitudine di tor­nare — Dopo uno strug­gente incon­tro con Alfano I, il dotto arci­ve­scovo di Salerno, e dopo aver seguito l’ispirazione a scri­vere, dona­tale da Sichel­gaita, sposa di Roberto il Gui­scardo e amica lungo il filo di una vita, Tro­tula sente giunto il momento di lasciare il suo ama­tis­simo corpo e di librare altrove le sue ali. Adieu, au revoir, ecco risuona da quella strada ascen­dente e colma di gra­zia, che stiamo attra­ver­sando. Se Bri­ga­doon si risve­gliasse, ancora vedremmo il cor­teo di tre chi­lo­me­tri che quel giorno non poté fare a meno di aver cura di lei, di accompagnarla.