Dante Isella, “Per la ristampa di ’Goccie d’inchiostro’" in Carlo Dossi, Goccie d’inchiostro, A cura di Dante Isella, Adelphi 1978, 9 marzo 2015
«Due, e nettamente distinti, sono i tempi dell’attività letteraria del Dossi: il primo, tra il ’66 e il ’78, milanese (con l’intervallo del ’72, che egli visse in buona parte a Roma per il suo primo ingresso nella carriera diplomatica, ventitreenne appena: e a fine anno, vinto dalle delusioni e dalla solitudine se ne dimise); l’altro, romano, tra il ’78 (che segna il suo rientro nel Ministero per gli affari esteri) e l’’87
«Due, e nettamente distinti, sono i tempi dell’attività letteraria del Dossi: il primo, tra il ’66 e il ’78, milanese (con l’intervallo del ’72, che egli visse in buona parte a Roma per il suo primo ingresso nella carriera diplomatica, ventitreenne appena: e a fine anno, vinto dalle delusioni e dalla solitudine se ne dimise); l’altro, romano, tra il ’78 (che segna il suo rientro nel Ministero per gli affari esteri) e l’’87. La stagione propriamente creativa (esclusi “Amori” e qualche cosa di minor conto) è tutta lombarda: dai precoci racconti dell’adolescenza che preparano da presso l’“Altrieri” e la “Vita di Alberto Pisani”, sulla svolta degli anni Settanta, fino a “La desinenza in a” del ’78; ed è il periodo delle tirature in cinquanta o cento esemplari fuori di commercio, stampate a proprie spese con l’assistenza editoriale dell’amico Gigi, l’inseparabile (e indispensabile) Luigi Perelli. Unica eccezione “La desinenza”, il libro col quale il Dossi prende di nuovo, e meno provvisoriamente, congedo da Milano, affidandolo qui per la stampa a un editore vero e proprio (o, meglio, a un giovane quale era allora Angelo Sommaruga che stava per diventarlo in grande, e con idee nuove, benché fin dall’inizio tra continue difficoltà finanziarie, in mezzo ai debiti della sua vita dissoluta). Gli anni romani, sempre più duramente assorbiti nelle mansioni dell’ufficio ministeriale e in altri incarichi, sono invece gli anni, si può ben dire, del rilancio editoriale del libri già stampati privatamente per sé e per gli amici: un rilancio questo che vede ancora in primo piano il Perelli, finalmente sceso anch’egli a Roma per dirigervi lo Stabilimento tipografico italiano, dove si stampava “La Riforma”, il quotidiano politico collegato con il clan di Crispi e più tardi affidato alla direzione di Primo Levi, amicissimo del Dossi e del Perelli. Per iniziativa loro, e qualche anno dopo del Sommaruga, calato nella capitale a tentare la fortuna con la sua impresa ’bizantina’, tutte le opere del Dossi, salvo “Il regno dei cieli”, vedono nuovamente la luce nell’aria di Roma: prima nelle ’appendici’ letterarie della "Riforma", poi in volume, con tirature editoriali sulle mille e più copie». I caratteri del Dossi “microscopici, puntigliosi” «involto e fantasticante» «la forma in cui cristallizza in prima istanza la sua scrittura è la prosa breve lavorata a sé, in assoluta indipendenza da qualunque assunto narrativo». In tal senso tutta l’opera del Dossi può dirsi una collezione di “goccie d’inchiostro”, anche quando la loro autonomia d’origine è stata successivamente sottomessa a un ‘genere’ di statuto largamente omologato dalla società letteraria del suo tempo e a un impianto più vasto di libro». «Storie di amori goduti e sofferti intensamente, con totale inettitudine a tradursi al di fuori, a determinarsi in azione»