Gaia Piccardi, Corriere della Sera 8/3/2015, 8 marzo 2015
ALESSIA ARGENTO VIVO «MI SONO FATTA IL REGALO»
DALLA NOSTRA INVIATA PRAGA Trasportati i suoi 188 centimetri comprensivi di coda di cavallo, orecchini e braccialetto («Me l’ha dato Alberto, il mio moroso, dopo averlo esorcizzato negli esami all’università, andati malissimo…») al di là di quel trekking in volo dentro se stessi che è la gara dell’alto, Alessia ride. «Ero stanchissima, di testa. Ma poi mi sono detta: concretizza un po’ tutto sto lavoro che fai in pedana, cavolo». Ed è lì, sotto il cavolo come i bambini portati dalla cicogna, che Alessia Trost da Pordenone, 22 anni proprio oggi, ha trovato l’argento che salva la spedizione italiana all’Europeo indoor e lancia verso il Mondiale di Pechino il più bel talento friulano dai tempi di Zoff e del Refosco.
Quando ride, il suo viso da donna di Modigliani diventa ancora più lungo. È simpatica, emozionata, vera. È la sua prima medaglia da grande dopo aver fatto scintille da ragazzina. «Un punto d’arrivo? Macché, un punto di partenza» sghignazza Alessia dopo il jump off con la russa Maria Kuchina, il salto di spareggio che nessuno si augurava dopo che tutte e due avevano fallito 1,99 e già ci sentivamo (come a Sopot 2014: Licwinko, prima con 2,02 nelle liste stagionali e ieri solo bronzo, e Kuchina) il dolce sapore del doppio oro in bocca. E invece no. «Abbiamo provato a metterci d’accordo. Poi Maria ha detto: I jump. E io pure: figuriamoci se spreco energie a discutere». Si conoscono da junior, la loro è una rivalità antica. Un salto per misura, ripartendo da 1,99. Niente di fatto. Quando l’asticella scende a 1,97 la Kuchina infila i capelli nella spallina della canottiera e va, rincorsa corta e freddezza come in cima alle vette del suo Caucaso. Alessia è stanca, coi piedi sordi. «Mi era calata la tensione ma sono contenta, dai. Il lavoro paga infatti voglio dedicare questo argento al mio allenatore Gianfranco Chessa, che mi sopporta quando vado al campo arrabbiata».
Ha grandi margini, la nostra Trostova sbocciata a Praga. Nel 2013, proprio in Repubblica Ceca (Trinec), terza donna italiana di sempre dopo Simeoni e Di Martino, ha scavalcato 2 metri, il crinale tra le saltatrici e le campionesse, e intende rifarlo presto. «Mi fermo una settimana, poi vorrei fare più meeting della Diamond League possibile. È presto per parlare di Pechino ma ora ho più consapevolezza: so che al Mondiale posso far bene». Torna al suo Alberto, al secondo anno di Lingue, rifiuta il ruolo di bandiera della festa della donna («I fiori, un bacio come a San Valentino: tutto finisce lì») e di salvatrice dell’Italia («Ho saltato con sano egoismo»), ieri settima nei 3000 con la Viola e ultima nei 400 con Galvan. Passa la veterana Beitia, e le stampa un bacione sulla guancia: «Ci troviamo sempre all’antidoping. Avevamo fatto un patto: o Ruth o io sul podio». Paga la nuova rincorsa lanciata con un appoggio (8) in più, pagano le piccole scaramanzie, paga il sudore come dimostra Lavillenie, quarto oro europeo indoor di fila nell’asta (6,04). «Mi sono fatta un regalo. Hai la testa, ho pensato, usala».
In Alessia we Trost. Finalmente tra le grandi, ora ci crede anche lei.