Michele Farina, Corriere della Sera 8/3/2015, 8 marzo 2015
GLI EROI SU QUEL PONTE VISTO CON GLI OCCHI DI UNA BAMBINA E DI UN REPORTER RAGNO
Le immagini scattate da James Martin del Birmingham News, un giovane bianco soprannominato il «ragno» per le sue leve, indignarono l’America e fecero il giro del mondo. «Mi misi in cima al ponte — ha ripetuto chissà quante volte — Mi tenevo a 10-20 metri dall’azione, senza sapere dove avrei puntato l’obiettivo, come si fa a un partita di football».
Spider Martin non sapeva che quel giorno sull’Edmund Pettus Bridge stava documentando una delle azioni decisive della partita dei diritti civili. Bloody Sunday , domenica di sangue: una storia celebrata di recente dal film «Selma», della regista afroamericana Ava DuVernay, pur rimasta all’asciutto all’ultima serata degli Oscar. Picchiando centinaia di manifestanti disarmati sul ponte di Selma, il 7 marzo 1965 la polizia dell’Alabama fornì un assist forse decisivo, e alla luce del sole, al movimento anti-segregazionista. Martin Luther King si precipitò a Selma, e scortati dalla National Guard i manifestanti marciarono fino alla capitale dello Stato, Montgomery. Fu anche sull’onda di quei fatti che a Washington fu presto approvato il Voting Rights Act che proibiva discriminazioni alle urne e sanciva il pieno diritto di voto dei neri.
Non ci furono vittime, a Selma. Molti rimasero feriti. E se la vide brutta John Lewis, uno dei Big Six alla testa del movimento anti-segregazionista, che oggi siede alla Camera dei Deputati. Sono passati cinquantanni, alcuni libri e almeno un paio di film che portano il nome di Selma in locandina. Il ponte maledetto celebra ancora Edmund Pettus, generale sudista sostenitore della supremazia dei bianchi. Pochi giorni fa Douglas Brinkley, autore di «Rosa Parks» e della prefazione al libro «Across the bridge» del sopravvissuto John Lewis, ha detto che bisognerebbe proprio cambiargli nome. Forse perché l’America è cambiata, o forse proprio perché non è cambiata come speravano «i marciatori» di mezzo secolo fa. In fondo, ha ricordato sul New York Times in un reportage da «arzillo ottantatreenne» lo scrittore Guy Telese, che per quel giornale raccontò i fatti di Selma in qualità di cronista, l’Alabama è lo Stato dove il nero Barack Obama alle ultime elezioni ha ottenuto soltanto il 15% dei voti bianchi.
È l’America di Oprah Winfrey (che ha co-prodotto il film di Ava DuVernay) a celebrare (tardivamente?) Selma al cinema, con l’aggiunto strascico di polemiche sul ruolo avuto dal presidente Lindon Johnson: promotore attivo o riluttante dei diritti civili? Prima, la marcia del ponte aveva attirato le cineprese più «neutrali» di un film minore, datato 1999. La storia vista con gli occhi di un’afroamericana di 11 anni: «Selma, Lord, Selma» andò in onda in tv per l’anniversario della nascita di Martin Luther King. Piccole storie. Eroi per caso, come «il ragno» Martin: il reporter che documentò le violenze di Selma fu ingaggiato tre anni dopo da George Wallace come fotografo ufficiale della sua campagna presidenziale. Wallace era il governatore segregazionista che aveva cercato di impedire le marce di Selma. «Non voterò per te — gli disse il Ragno — ma accetto i tuoi soldi».