Roberto De Ponti, Corriere della Sera 7/3/2015, 7 marzo 2015
D’ANTONI E MILANO «LA MIA MAGLIA SIMBOLO DEL GRUPPO»
Una canottiera appesa a un soffitto può fare miracoli: «Non vedrete nessuna lacrimuccia, mi comporterò da duro come sempre. Però confesso: sono emozionato, in realtà non so quali reazioni potrei avere a caldo. Ma non lo dica a nessuno». Troppo tardi.
Michael Andrew D’Antoni, detto Mike, detto Michelino, detto Arsenio Lupin, è felice come un bimbo: domani mattina sbarcherà a Milano con la moglie Laurel e il figlio Michael jr, venerdì sarà al Forum e durante l’intervallo di EA7-Malaga vedrà la sua maglia salire verso il soffitto del palazzo, a fianco degli stendardi che ricordano i trionfi del basket milanese. E nessun giocatore dell’Olimpia potrà mai più indossare il numero 8.
Quanto è legato a quel numero?
«Tanto, così tanto da averlo inserito anche nel mio indirizzo email...».
E quanto è legato a Milano?
«Qui ci ho vissuto 17 anni, sono cresciuto come giocatore e come persona, ho trovato moglie, ho avuto un figlio nato alla Mangiagalli. Sembra casa».
Da quanto tempo non viene a Milano?
«Da tre anni, ero l’allenatore dei Knicks e venimmo a giocare l’amichevole con l’Armani. Siamo rimasti qui due giorni. Troppo pochi».
Stavolta avrà qualche giorno in più. Che cosa farà?
«Mio figlio vuole andare a vedere la clinica dove è nato. Io e mia moglie Laurel gireremo un po’».
Primo posto da visitare?
«Ancora non ne ho idea... C’è ancora il Torchietto?».
Il ristorante storico dell’Olimpia? Ha chiuso ed è stato riaperto.
«Allora magari...».
Perché il Torchietto?
«Era la nostra casa, la casa di una squadra di basket inimitabile. Eravamo sempre lì, dopo una vittoria, dopo una sconfitta. Tra quelle pareti abbiamo costruito una chimica di gruppo unica. I nostri trionfi nascevano lì».
Parliamone, di quella squadra.
«Mi ha regalato momenti indimenticabili. Il mio sogno sarebbe allenare una squadra che abbia lo stesso spirito, ma so già che sarà impossibile ritrovare un gruppo con quei valori, unito, compatto, capace di superare qualsiasi difficoltà».
Raccontano che quando vi ritrovate a cena, lei e Bob McAdoo discutiate animatamente su chi fosse il migliore fra i due.
«Nessuna discussione. Vinco io sempre».
Be’, anche McAdoo non era poi così male...
«...e i suoi 4 anni a Milano sono stati i migliori della sua carriera. Ma vinco io lo stesso».
Eravate davvero la ventiquattresima squadra della Nba?
«Ci piaceva pensarlo. Eravamo forti, questo è sicuro».
La differenza principale tra il basket europeo e la Nba?
«I tifosi. La passione dei tifosi. Qualsiasi dirigente Nba, quando viene in Europa, rimane impressionato dalla partecipazione dei tifosi in tribuna. In America non è così».
Però anche in America, come in Italia, i tifosi non perdonano le sconfitte.
«E ancor più che i tifosi, i giornalisti. Quanto vi rimpiango, voi giornalisti italiani...».
Dicono tutti così, dopo.
«Uno come il mio vecchio amico Oscar Eleni in America non esiste. Purtroppo, dico. E magari anche per fortuna...».
I rumors americani dicono che D’Antoni potrebbe diventare allenatore di Danilo Gallinari a Denver.
«Solo voci. Credo che a Denver siano molto lontani dal decidere qualcosa».
I rumors italiani dicono che D’Antoni potrebbe avere un futuro a Milano.
«Come tifoso di sicuro. Come allenatore? Nemmeno ci penso, non sarebbe giusto per chi sta lavorando così bene».
Che cosa penserà vedendo la sua maglietta appesa al soffitto del Forum?
«Che assieme alla mia maglietta dovrebbero stare lassù anche quelle di tutti i miei compagni. Senza di loro non sarei mai diventato quello che sono». Parola di capitano.