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 2015  marzo 09 Lunedì calendario

ADDIO PALLONE: UN GOL NON VALE UN POSTO FISSO

La scelta di Michele. Quando preferire la fabbrica al pallone non è un atto rivoluzionario, di rottura, ma un gesto normale, che tutti intorno a te e da te si aspettano. E quindi viene naturale. Michele Pini, 28 anni, fino all’altro giorno un difensore centrale del Lumezzane, 20 presenze finora in stagione, da questa settimana comincerà a lavorare come operaio in fabbrica, alla Cospea Snc di Manerbio: piccolo comune di 13mila abitanti situato a ridosso di una delle tante zone industriali della Bassa Bresciana, pianura circondata a oriente dalle colline moreniche del Garda e a occidente da quelle della Franciacorta. Lì dove il cielo è plumbeo, l’inverno freddo e nebbioso, l’estate calda e umida. Lì dove è nato e ha sempre vissuto. “Non è che ho cominciato a cercare un nuovo lavoro, è successo tutto quasi per caso – ci racconta Michele al telefono -. È successo che un mio amico delle elementari lavora in un’azienda vicino a quella dove andrò a lavorare io, e un giorno che nevicava sulla via del ritorno ha preso un passaggio dal titolare, che gli ha detto che aveva bisogno di qualcuno. Questo amico, uno di quelli con cui parlavo spesso della vita e del futuro, ha fatto il mio nome e mi ha detto se volevo andare a parlarci. È andata così”.
Quando lo sentiamo al telefono, mercoledì scorso, il Lumezzane è in pullman per andare a giocare in trasferta di Pavia (dodicesima giornata del girone di ritorno di Lega Pro, partita finita 0-0). I suoi ex compagni hanno stipato i borsoni nel bagagliaio e ripassano le ultime indicazioni del mister Maurizio Braghin, lui no, lui sta andando in banca, poi a fare delle commissioni. Come un ragazzo normale. “Michele l’ho avuto per sette anni, era il mio prediletto – ci dice Renzo Cavagna, il patron del Lumezzane -. Ha fatto un percorso per qualche anno, poi evidentemente ha capito che poteva prendere gli stessi soldi facendo un lavoro più sicuro, più tranquillo e di prospettiva che non il calcio. Ha pensato giustamente di fare una scelta di vita”. Con il contratto con il Lumezzane in scadenza il 30 giugno, e nessuna certezza del rinnovo, un figlio appena nato e un futuro da costruirsi in epoca di crisi, ecco che appendere gli scarpini al chiodo per andare in fabbrica diventa una scelta lungimirante. “Avendo 28 anni sicuramente non sono vecchio, però diciamo che la parentesi calcistica tra uno o due anni si sarebbe comunque conclusa, e non avendo niente in mano per il dopo ho fatto questa scelta – prosegue Michele, consapevole che con le regole della Lega Pro che incentivano l’uso di Under 21, in cambio dei contributi sviluppo che spesso tengono in vita una società di medio-bassa classifica, più si va avanti con l’età più è difficile strappare un contratto -. Non mi sono stufato del calcio, è stata una scelta che ho dovuto fare. Uno pensa alla famiglia, poi viene il bene personale. Troverò una squadra amatoriale alla sera, che concili sia il lavoro sia il divertimento, per continuare a giocare”. Michele è sereno, non vuole parlare del lato oscuro del calcio minore. Tra squadre che falliscono a ripetizione, stipendi non pagati, infiltrazioni criminali per il controllo politico del territorio, la Lega Pro è una terra di mezzo del pallone che rappresenta quasi l’80 per cento del calcio italiano - dai piccoli comuni dove si gioca per passione alle grandi città dove il declino del calcio è simbolo di un più ampio degrado – e vale circa il 5 per cento della sua industria in termini di costi e di ricavi. Un purgatorio dal quale è difficile emergere e dove è molto più facile scomparire. Il presidente del Lumezzane Cavagna, che pur non volendo qualificarsi come “opposizione” ci racconta di aver “contestato personalmente Lotito al telefono”, e di essere tra quelli che in Assemblea non ha accettato il bilancio in perdita da 1,2 milioni della Lega Pro presentato dal presidente Mario Macalli (uomo di riferimento per Tavecchio e Lotito), smuovendo così una delle tante faglie sommerse che stanno facendo tremare il calcio italiano, è assai duro sulla situazione del basso impero del pallone. “Michele ha fatto una scelta logica. Non solo etica e morale, ma funzionale al suo futuro. Percepivo che non si sentiva più sicuro del mondo del calcio, e non solamente della mia società, perché il calcio si sta sciogliendo come la neve di marzo al sole – dice Cavagna -. Ma non per il Parma, per i debiti che hanno tutte le società. Il sistema non può più funzionare. Il sistema calcio in Italia è saltato da tempo, e oggi affiorano le conseguenze di quanto è stato fatto negli ultimi anni”. E così Michele, rifiutata ogni etichetta di eccezionalità alla sua scelta, da questa settimana andrà a fare l’operaio, assemblaggio di stampi alla Cospea Snc - “in prova retribuita fino a luglio, che giustamente chi va ad assumerti deve avere certe garanzie, ed è meglio anche per me, per vedere se ho fatto la scelta giusta, poi se tutto va bene da luglio il contratto dovrebbe essere a tempo indeterminato” - guadagnando alla fine poco meno dei 1,500 euro di minimo federale che prendeva da calciatore. “Non ho mai visto il calcio come un lavoro, ma come un divertimento. Che poi alcune persone abbiano la fortuna di divertirsi ed essere pagate per questo, è un’altra cosa – continua nel suo racconto Michele -. Io non l’ho mai considerato un lavoro perché effettivamente con il calcio non dai niente. Nel senso che dai uno svago alle persone che vengono a vederti. Però in fondo non produci niente”. Da qui l’ovvia scelta di non pensare a un futuro nel pallone, a differenza di molti suoi colleghi che cercano di riciclarsi come allenatori, osservatori, procuratori, commentatori e opinionisti tv.
“Ho cominciato come tutti da ragazzino, poi a diciassette anni dopo le giovanili sono passato professionista. Ho fatto due anni in B come prima esperienza, poi ho avuto la fortuna di tornare alla Cremonese, la squadra da cui provenivo. Ho fatto sei mesi lì e poi sono arrivato al Lumezzane dove tra un giro e l’altro sono rimasto sette anni”. Fino a ieri. Oggi è un altro giorno, e all’orizzonte c’è la fabbrica. Gli annunci della formazione dello speaker saranno sostituiti dalla sirena che annuncia l’inizio del turno di lavoro. E Michele è contento così: “Io sinceramente non sono mai stato un grande appassionato di calcio, al di fuori del giocare non è che lo seguissi particolarmente. Facevo gli allenamenti, giocavo, mi divertivo, mi impegnavo sempre al 110%. Ma finito quello nella vita c’è altro: gli amici, andare in giro, una vita da ragazzo normale. Non c’è solo il calcio”.