Mario Giordano, Libero 7/3/2015, 7 marzo 2015
MA ALLORA SI PUO’: LICENZIATO PROF INCAPACE
Un professore è stato licenziato per demerito. Avete letto bene: per demerito. Non ha preso a botte un collega, non ha sputato in faccia al preside, non ha confuso la sua cattedra con le vacanze alle Bahamas e non ha nemmeno molestato le ragazzine del primo banco. Macché: semplicemente non sapeva insegnare. Era una capra docente. Avrebbe dovuto spiegare educazione tecnica, ma probabilmente confondeva la proiezione ortogonale con la proiezione cinematografica e pensava che gli assi cartesiani fossero quelli da calare quando si gioca a briscola. E così, anziché bocciare gli studenti, per una volta è stato bocciato lui. La storia che arriva dall’Istituto superiore Einaudi Scarpa di Montebelluna, in provincia di Treviso, fa impressione. Un dipendente pubblico che perde il posto di lavoro è già una rarità assoluta. Un dipendente pubblico che perde il posto di lavoro per demerito è ancor più raro. Che tutto ciò, poi, accada proprio nella scuola dove la difesa del corpo insegnanti da qualsiasi tipo di valutazione è stata sempre ferrea, sembra quasi incredibile. Gli esperti, andando a scartabellare negli archivi, hanno tirato fuori un unico possibile precedente, nel 1987, a Padova. Ma i contorni sono piuttosto incerti. Per il resto niente. Il professore d’italiano che scriveva: «Smettetela se no non ce la facete a passare l’hanno»? Mai rimosso. E quello di geografia che annunciava: «Per completare gli Usa ci manca solo il Canada»? Sempre al suo posto. E quella di storia che definiva la Sacra Rota una ruota benedetta del Papa? Insegna liberamente. Secondo le stime più attendibili sono 22mila i docenti completamente inadeguati che circolano per le classi d’Italia. Il 3 per cento del totale. Non è mica poco. Ci sono professori di matematica che vacillano di fronte alle tabelline («Quanto fa 7 per 8? 48)». Ci sono professori di scienza convinti che i polmoni pompino sangue nel corpo (evidentemente confondono i bronchi con il cuore: chissà se confondono anche la testa con i piedi…). Ci sono professori di inglese che non saprebbero nemmeno ordinare un tè a Londra. E professori di francese convinti che mon cheri si traduca con “cioccolatino”. E allora la domanda è: perché non si possono cacciare? Perché l’incapace di Treviso prede il posto e loro se lo tengono stretto? Perché i ragazzi dell’Einaudi di Montebelluna devono essere giustamente messi in grado di imparare l’educazione tecnica e quelli del resto d’Italia invece non possono imparare l’italiano o la matematica? Si badi bene: il professore licenziato in tronco non era un precario. Non era un neo assunto o un debuttante ancora sottoposto alla valutazione di merito. No: era regolarmente in cattedra. Aveva un incarico fisso e definitivo. Ma i genitori degli studenti si sono ribellati e hanno ottenuto l’intervento drastico del preside. Che ora commenta con un’alzata di spalle: «Di solito si pensa che licenziare nella scuola sia impossibile, ma non è così…». Così come se avesse appena bevuto un bicchier d’acqua. E non come se non avesse appena compiuto uno dei gesti più rivoluzionari dell’amministrazione pubblica: la cacciata di un prof incapace… Oh benedetto uomo, ma visto che a lei sembra tutto semplice, ci può spiegare perché gli altri non lo fanno? Ha per caso trovato una ricetta magica? Un apriti-sesamo speciale? Un’abracadabra scolasticamente efficace? E perché non lo diffonde subito a tutti i suoi colleghi? Certo: lo sappiamo che adesso si leverà il solito coro degli insegnanti e dei loro rappresentanti, lo sappiamo che «bisogna fare attenzione ai criteri discrezionali» e «è pericoloso affidare la valutazione dei docenti al preside» (ma chi li deve valutare allora?), lo sappiamo che «questa scelta priverebbe chi sale in cattedra anche delle più normali tutele contrattuali» e blablabla con i soliti ritornelli in sindacalese. Lo sappiamo. Ma, abbiate pazienza, noi siamo convinti che la scuola sia arrivata a questo disastro proprio perché per troppo tempo ha tutelato gli incapaci senza premiare i meritevoli. E allora, se per rivoltare tutto non ci vuole nemmeno una legge o una riforma, ma basta la volontà, come il caso di Montebelluna (Treviso) dimostra, l’unica domanda che ci viene è: che diavolo aspettiamo a farlo?