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 2015  marzo 07 Sabato calendario

«Mi sembra di essere come un bambino a dieta in un negozio di dolci». A parlare è il direttore finanziario di una delle maggiori aziende italiane che, nell’era del «quantitative easing» della Bce, ha un problema che in fondo vorremmo avere tutti: ha accesso a troppa liquidità

«Mi sembra di essere come un bambino a dieta in un negozio di dolci». A parlare è il direttore finanziario di una delle maggiori aziende italiane che, nell’era del «quantitative easing» della Bce, ha un problema che in fondo vorremmo avere tutti: ha accesso a troppa liquidità. Troppi soldi bussano alla sua porta, ma lui non ne ha più bisogno. Per cui deve dire di no. E di “bambini” nelle stesse condizioni, in Europa, ce ne sono tanti: molte grandi aziende, che hanno un’elevata affidabilità creditizia, oggi possono ottenere fondi sul mercato obbligazionario (o anche in banca) praticamente illimitati pagando interessi intorno allo zero. O addirittura sotto. È il caso di gruppi come Nestlé, Shell o Bmw, che nelle scorse settimane hanno visto i rendimenti di alcuni loro bond scendere sul mercato a livelli negativi. In Italia nessuna azienda arriva a tanto, ma un gruppo come Terna ieri aveva sul mercato un bond triennale con un tasso dello 0,48%. Il problema è che questo “privilegio” è per ora riservato a pochi big: in Europa il mercato obbligazionario è infatti un canale di finanziamento marginale per le imprese. In Italia solo 80 aziende (tutte grandi) hanno bond sul mercato internazionale, per un valore (secondo Dealogic) di 174 miliardi: poco, se si considera che il totale credito bancario al settore privato ammonta a 1.556 miliardi. Effetto Draghi sui bond Il fenomeno dei tassi a zero è figlio del «bazooka» di Draghi. Da lunedì la Bce avvierà infatti il «quantitative easing»: inizierà cioè a stampare moneta e, con i soldi “nuovi”, comprerà sul mercato titoli di Stato (non solo) per un ammontare mensile di 60 miliardi. Questa campagna acquisti creerà un effetto scarsità senza precedenti: gli Stati nel 2015 emetteranno infatti meno titoli, al netto dei rimborsi, rispetto agli importi che saranno comprati dalla sola Bce. Gli investitori lo sanno, e dunque da mesi acquistano a piene mani per anticipare l’Eurotower: così i prezzi dei “BTp” di tutta Europa continuano a salire e i rendimenti a scendere. Tanto che ormai il 35% dei titoli di Stato in Europa ha tassi d’interesse negativi. Ovvio che per “spuntare” rendimenti più appetibili, da tempo i famelici investitori comprano anche corporate bond. Cioè obbligazioni emesse da aziende. Così anche i loro rendimenti si sono ridotti a livelli senza precedenti. Soprattutto quelli con rating elevati: ieri un bond di Bayer poco sotto i 4 anni quotava sul mercato al tasso dello 0,161% e uno delle ferrovie tedesche girava a 0,07%. E anche in Italia i tassi, per i bond delle grandi imprese con alto rating, sono molto bassi. Questo, ovviamente, incoraggia le emissioni. Molte aziende lanciano nuovi bond anche solo per ricomprare quelli vecchi: «Vediamo sempre più operazioni di liability management - osserva Antonio Guadagnino, capo debt capital market corporate di SocGen in Italia -. Le favorevoli condizioni del mercato inducono infatti molte aziende a emettere bond a lunga scadenza per riacquistare titoli vecchi con elevate cedole». È il caso di Telecon, Enel, Atlantia e A2A. Insomma: l’abbondanza è tale, che i big vanno sul mercato anche solo per un “lifting” al proprio indebitamento. «Questo dovrebbe piano piano ridurre l’appeal sui bond con elevata affidabilità e portare gli investitori sempre più verso le aziende di minori dimensioni e con rating più bassi - auspica Luca Falco, responsabile desk origination di Unicredit -. Mi aspetto presto che nuove aziende accedano al mercato». Il nodo delle Pmi Il punto è capire quanta di questa abbondanza riesca ad arrivare fino in fondo: cioè alle piccole e medie imprese, che in Europa - secondo Rbs - creano l’80% dei nuovi posti di lavoro e che dall’inizio della crisi hanno perso 580 miliardi di euro di credito bancario (100 dei quali in Italia). Qui di euforia se ne sente molta meno, anche se qualche segnale positivo - come annunciato dallo stesso Draghi - inizia a vedersi. Secondo gli ultimi dati dell’Abi, a gennaio 2015 il credito bancario al settore privato in Italia risulta sceso del 2% rispetto al gennaio 2014. Questo significa che qualcosa migliora (nel mese precedente la variazione era stata -2,1%), ma che non possiamo dirci fuori dal guado. Anche i tassi d’interesse medi calano (si veda grafico a fianco). L’abbondanza di credito a basso costo inizia però a vedersi per le Pmi di migliore qualità. «Abbiamo erogato un finanziamento a 4 anni a un’impresa italiana, di ottimo livello, al tasso Euribor più appena 45 punti base», racconta un banchiere. «Ho incontrato un imprenditore che ha ottenuto un prestito a 7 anni all’1,25%», riferisce un consulente. Qualcuno inizia a beneficiare, insomma, dell’abbondante liquidità. Il problema è per tutte le altre Pmi. Se la loro affidabilità creditizia non è elevatissima, le banche ancora oggi faticano ad erogare credito. Per vari motivi. Innanzitutto perché gli istituti sono zavorrati da 183 miliardi di euro di crediti in sofferenza. Inoltre perché la liquidità è abbondante, ma il capitale per concedere credito a imprese meno affidabili - secondo le nuove regole di Basilea - non è altrettanto capiente. Infine perché il mercato delle cartolarizzazioni, che un tempo permetteva di impacchettare i crediti appena erogati per poi venderli sotto forma di bond, fatica a decollare, nonostante l’aiuto della Bce stessa. Dunque per ora il «bazooka» ha prodotto solo metà del suo effetto sull’economia. Ma si può dire che il bicchiere è mezzo pieno.