Matteo Meneghello, Il Sole 24 Ore 7/3/2015, 7 marzo 2015
LA CRISI SPEZZA L’ACCIAIO PER L’EDILIZIA
Le gru rischiano di diventare un’ossessione per buona parte degli imprenditori della filiera dei metalli dedicata al comparto edile. Giuseppe Pasini, leader del gruppo siderurgico Feralpi (circa 1.200 dipendenti e 944 milioni di ricavi prevalentemente nell’acciaio per edilizia) ama spesso sottolineare come all’estero (da qualche anno l’Algeria è un importante mercato di sbocco per le produzioni italiane) i cantieri siano pieni di gru, come non se ne vedono ormai da un decennio almeno in Italia.
Claudio Pinassi, direttore generale di Eredi Gnutti metalli (uno dei segmenti di produzione storici è dedicato ai laminati in rame come pluviali, canali e coperture) ha invece ideato un metodo empirico per le sue personali previsioni di mercato, che consta nel controllare i noleggi delle gru a traliccio, solitamente chiamate a lavorare nelle fasi iniziali della costruzione di un’abitazione. Se non ci sono, significa che il mercato resterà ancora asfittico per mesi e mesi a venire. E questa, purtroppo (nonostante i primi segnali di inversione di tendenza registrati dopo sette anni dall’Agenzia delle Entrate) è ancora la situazione odierna.
L’anno scorso la produzione di prodotti siderurgici «lunghi» ha toccato un nuovo minimo storico, di poco superiore agli 11 milioni di tonnellate, il 25% in meno rispetto al 2004. Il prodotto maggiormente penalizzato è il tondo per cemento armato (il calo a fine 2013 è stato del 32,5% a quota 3,268 milioni di tonnellate), seguito dalle travi (-30,7%, 836mila tonnellate), dai € mercantili (-23,6% per una produzione di 3,499 milioni) e dalla vergella (-17,3% a 3,588 milioni). I dati sul consumo apparente, analizzati dal centro studi Siderweb, rivelano un vero e proprio tracollo, nell’ultimo decennio, per il tondo: il calo è del 66,7 per cento. Pesante rallentamento anche per le travi (-39,6%) e per la vergella (-26,6 per cento).
Gli analisti non hanno dubbi: il settore ha bisogno di una spinta dal mercato interno per ripartire. Ma la ripresa latita ormai da troppi anni e la crisi sta lasciando pesanti strascichi sui territori. La situazione economico-finanziaria dei produttori si è significativamente deteriorata nel 2013: la redditività delle vendite è risultata negativa, così come quella derivante dai mezzi propri. La diminuzione della redditività ha ridotto la capacità di autofinanziamento, facendo aumentare l’indebitamento. A Brescia il gruppo Stefana (4 stabilimenti e circa 700 lavoratori) ha chiesto alla fine dell’anno scorso l’ammissione alla procedura di concordato (si veda anche l’articolo in basso).
«Il secondo produttore di travi italiano che finisce in concordato è un segnale al quale bisogna prestare grande attenzione - spiega Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e amministratore delegato di Duferco Italia -. Sono le prime avvisaglie: il sistema dell’acciaio per l’edilizia è in crisi da troppo tempo. Non è sufficiente affrontare, singolarmente, le crisi Ast, Lucchini e Ilva. Serve un piano anche per la siderurgia dei lunghi e per l’acciaio in generale”. Federacciai è scesa in campo attivamente da tempo intervenendo sui fattori produttivi: da qualche mese ha costituito una società ad hoc per realizzare un’interconnessione fisica con la Francia per garantire al sistema italiano energia a buon mercato. Da poco è stata presentata anche un’iniziativa per realizzare un impianto consortile per la produzione di Dri (preridotto). «A questo proposito stiamo lavorando anche sull’ipotesi di un interconnector per il gas - ricorda Gozzi -. Con il Mise la discussione è avviata da tempo: il Governo si sta mostrando sensibile e collaborativo».
Quelle che mancano, però, nello specifico dell’acciaio da costruzioni, sono le risposte politiche per favorire una ripresa del mercato interno. «Il tema è quello della domanda da investimenti - analizza Gozzi -. È un tema europeo: le politiche di austerity frenano gli investimenti in infrastrutture. Ci sono miliardi immobilizzati nelle casse di migliaia di Comuni italiani virtuosi che non possono programmare investimenti perché hanno le mani legate dal patto di stabilità». Le direttrici di intervento sono chiare: vanno messi in sicurezza gli edifici scolastici, serve una riqualificazione del patrimonio edilizio statale attraverso il sociale housing, «ci sono interi quartieri popolari - aggiunge Gozzi -che hanno più di 50 anni, andrebbero abbattuti per essere ricostruiti con criteri nuovi». E poi c’è il tema del dissesto idrogeologico, che interessa da vicino l’utilizzo di acciaio in grado di dare garanzie di sicurezza e antisismicità.
Giuseppe Pasini, past president di Federacciai, rincara la dose: «Manca ormai da un decennio, in Italia, una politica industriale infrastrutturale - spiega –. Oggi i produttori devono anche fronteggiare un’overcapacity ormai conclamata, ma il nocciolo della questione è nello sviluppo infrastrutturale. Germania, Francia e persino la Spagna in questi anni ci hanno pensato, l’Italia no».
Altro tema fondamentale, poi, è la legalità e l’incertezza normativa: «Si ha spesso una percezione negativa delle grandi opere – spiega Pasini –: tempi lunghi, costi gonfiati. Bisogna voltare pagina».
In questi anni molte aziende hanno continuato a investire. Ferriera Valsabbia, altro big dell’acciaio per edilizia, ha investito 40 milioni per rifare il lay out, installare un nuovo forno fusorio e ammodernare la seconda colata continua. Ma il mercato resta asfittico. «L’edilizia è un asset portante dell’economia reale» dice Claudio Pinassi, direttore generale del Gruppo Eredi Gnutti Metalli. Ricette facili non ce ne sono, ma il manager individua una priorità su tutte. «È necessario - spiega - che il sistema del credito torni a investire in entrambi i campi. Senza il supporto finanziario, anche verso il privato, continueremo a contare immobili invenduti e giovani privi della possibilità di accendere un mutuo».
L’operatività aziendale poi, è spesso, appesantita dalle difficoltà connesse alla giungla normativa. «L’aspetto fiscale della gestione degli immobili - prosegue il direttore generale - è un peso». Ma la vera criticità non è rappresentata dall’imposizione in sè, ma dal fatto che «il calcolo dell’Imu presenta, per noi, diseguaglianze a cinque zeri a parità di assetto industriale per esempio tra Brescia, dove ha sede la capogruppo, e altre città anche a pochi chilometri di distanza. Passi la discrezionalità sulle aliquote, ma non certo quella sul metodo di calcolo o di imputazione dei beni alla costituzione dell’imponibile. Quella dovrebbe essere una costante».
Altra nota dolente sono gli incentivi sul fotovoltaico. «Con lo spalma-incentivi e le altre manovre fiscali il ritorno del nostro investimento, pari a 13 milioni, è passato con leggi retroattive da 8 a 13 anni. E pensare che noi, energivori e non speculatori, la consumiamo tutta. In più, ora ci paghiamo anche l’Imu».
I fattori produttivi sono un’indubbia variabile critica anche per Alfa Acciai, principale produttore italiano di tondo per cemento armato. In questi anni la società ha resistito abbassando il più possibile il punto di break even, ma la crisi continua a mordere: «L’unica strada - ha recentemente spiegato il presidente Amato Stabiumi – è ritrovare competitività nei fattori produttivi, a partire dal rottame. Dovremmo consorziarci per tenere i prezzi bassi». A Catania, dove il gruppo controlla le Acciaierie di Sicilia, l’attività è frenata da criticità riguardanti proprio l’approvvigionamento del rottame e dai costi energetici: a fronte di un potenziale produttivo di 600mila tonnellate, nel 2013 l’output si è fermato a quota 280mila.