Alberto Mattioli, La Stampa 7/3/2015, 7 marzo 2015
IL CAPITANO IN FELPA A RISCHIO SOVRAESPOSIZIONE
Se accendete la televisione, è probabile che ci troviate un uomo in felpa. La scritta sulla felpa varia a seconda della località in cui l’uomo si trova. Sopra, però, ci sarà sicuramente la faccia di Matteo Salvini. È lui la vera star tivù del momento e, a parte forse le previsioni del tempo, non c’è momento della giornata in cui non si materializzi (però, giurano i suoi guru della comunicazione, non è mai capitato di vederlo in contemporanea su due canali diversi: «Ci stiamo attenti»).
Ma la tracimazione televisiva del Capitano (così lo chiamano i leghisti veraci) è solo un lato di una strategia di comunicazione basata su tre componenti: social network, territorio e, appunto, tivù. Salvini va a concionare in un posto? Subito su Facebook e su Twitter viene rilanciato l’appuntamento e alla tivù che chiede l’intervista viene chiesto di mandare lì la troupe. Lo stesso Salvini, un uomo che vive in simbiosi con il suo tablet come il paguro con l’attinia, fotografa la gente che lo fotografa. Poi viene postato il tutto, il cortocircuito è completo, l’audience massima.
In realtà, il «Matteo giusto» (sempre come da gergo militante) è un finto ingenuo che sa usare benissimo i media. E in ogni caso lo sa fare la squadra che lo circonda, piccola ma molto agguerrita. Risultato: 689.800 «mi piace» per la pagina Facebook di «Matteo Salvini politico» (il «Matteo sbagliato», insomma Renzi, è più avanti, ma di poco: 795 mila e rotti) e 127 mila followers su Twitter.
Ma naturalmente quel che colpisce di più è l’ubiquità televisiva. E qui bisogna ammetterlo: magari quel che Salvini dice non piace, ma è innegabile che sappia dirlo. Insomma, in tivù funziona. Perché? Intanto, è un personaggio molto caratterizzato e qui aiutano le felpe e le t-shirt con messaggio, da «Sono un populista» a «Renzi a casa», ordinate a una stamperia milanese. Poi, Salvini dà sì l’impressione di dire quel che crede, senza molti freni, ma anche di credere in quel che dice. E lo fa con un linguaggio molto più diretto della maggior parte dei politici, battute in dialetto milanese comprese (la preferita? «Va a ciapà i ratt», vai a prendere i topi, possibilmente a quel paese). Infine, riesce a stabilire un’empatia con quasi tutti i conduttori, anche quelli che stanno molto più a sinistra di lui e ai quali lui in teoria dovrebbe stare sulle scatole. Non a caso, è andato benissimo con Fazio e Floris e ha quasi flirtato con la Bignardi, una che normalmente avrebbe dovuto liquidarlo come la lady che per sbaglio trova il suo stalliere seduto al tavolino del thé.
Così i signori della tivù gli perdonano moltissimo, certificando il suo definitivo passaggio dallo status di «uno degli ospiti» a quello di «ospite principale». Per lo staff di Salvini, i giorni deputati a pianificare la settimana tivù del caro leader sono il lunedì e il venerdì. Poi però capita che la sua agenda anarchica da politico on the road gli impedisca di andare in studio. Ma, pur di averlo in trasmissione, tutti accettano che si colleghi da fuori, com’è successo all’ultimo «Virus».
C’è un paradosso. L’uomo, si sa, da sempre adora andare in tivù, come dimostrano le sue giovanili comparsate a «Il pranzo è servito» e «Doppio slalom». Però non ama guardarla e infatti lo fa poco. Il programma preferito è «Chi l’ha visto?», seguito, chi l’avrebbe detto?, dai documentari di storia. I talk politici, evidentemente, gli piacciono solo se ci parla lui.