Roberto Napoletano, Il Sole 24 Ore 7/3/2015, 7 marzo 2015
QUELLA VOCE PIENA DI VITA CHE BUCA LA RAGNATELA DI CLAUDIO
Egregio direttore,
leggo il Suo Memorandum di un paio di domeniche fa, una giornata che peraltro nella sua espressione numerica sembra chiudere tutto lì, quindici/due/quindici.
Lei invece lascia tutto aperto, aperto alla possibilità per eccellenza, spalanca le porte alla vittoria sulla morte, che non ha l’ultima parola.
Grazie. È un brano molto incoraggiante, è un brano che parla di fede (e chi ha il coraggio e oserei dire, l’orgoglio di parlarne di questi tempi ?), è un brano che non consente alla morte di vincere.
La morte però lacera, drammaticamente, nei modi e nei tempi più inaspettati.
La morte fa schifo direttore, specie quando colpisce persone care, e anche no, la morte fa schifo sempre, e fa di tutto per avere l’ultima parola, lascia dietro di sé una scia nera, puzzolente, sgradevole, che ti avvolge come una ragnatela da cui non ci si districa, per molto, molto tempo, chissà, forse fino all’ora della nostra.
Grazie, cordiali saluti.
Claudio Della Pietà
Ho perso mio padre, stroncato da un infarto a 59 anni, dalla sera alla mattina quando ne avevo ventitré, secondo di cinque figli con la fortuna di avere già un lavoro e, soprattutto, di fare il lavoro che avevo desiderato dalla terza elementare. Caro Claudio, anche a me che ho ricevuto il dono della fede, quella morte è sembrata ingiusta, non riuscivo a capacitarmi di come avrei potuto andare avanti senza la specialissima “Cassazione” che era mio padre. Andavo sempre da lui ogni volta che avevo un problema e avevo bisogno di un consiglio, sapevo che la sua “sentenza” mi avrebbe guidato nelle cose piccole e grandi della vita, aiutandomi a fare le scelte giuste. Improvvisamente non c’era più, mi mancavano i suoi occhi pieni di intelligenza e la sua allegria, ho provato un vuoto terribile, un senso completo di smarrimento. Ho capito, per la prima volta, la profondità del dolore e ricordo che per mesi avevo difficoltà a concentrarmi, mi ritrovavo assente e scivolavo agli angoli dei marciapiedi.
Posso, però, dire, dopo tanti anni, che mio padre non è mai uscito dalla mia vita, ogni sera mi accompagna in quell’esame di coscienza che mi aveva insegnato da bambino («Ripassa la giornata, se ti accorgi che hai sbagliato o sei stato ingiusto con qualcuno, chiedi scusa la mattina dopo, fallo subito») e quante volte (quante!) mi sono scoperto a chiedermi che cosa avrebbe detto, che cosa avrebbe voluto lui e che cosa avrei dovuto fare io, quante volte mi capita proprio di “risentirlo” con quelle sue frasi dirette: «Se ci credi non mollare, ma non fare compromessi»; «la gioia è sudore, fatica, se vuoi camminare a testa alta ricordati di essere sempre leale». Posso dire, con un sorriso, che la morte non ci ha divisi, non mi ha mai separato dalla sua severità burbera e da quella voce cavernosa che trasmettono un’idea piena della vita e la dignità di un sentimento pulito, fatto di sostanza non di forma, nel rapporto con gli altri ovunque, nello svago, in famiglia e al lavoro. Non so se sono stato sempre all’altezza di quell’insegnamento e di quell’esempio, so di mettercela tutta. Sono certo che la morte non ha avuto l’ultima parola tra noi due e sento che non l’avrà mai.